di E. B. 1
Premessa
Questo articolo, scritto sette anni dopo la rivoluzione del Sessantotto, raccoglie le prime reazioni di diversi intellettuali e politici francesi che all'indomani del grande cambiamento iniziarono a denunciare con forza la deriva nichilista in cui stava sprofondando la società. Le speranze illusorie accese dal rivolgimento sessantottino iniziavano a lasciare il posto alla realtà di tragiche conseguenze pratiche che scossero gli animi anche di personalità laiche o agnostiche come quelle interpellate.
Slogan come «la fantasia al potere», ripetuti ad nauseam dai fautori della rivolta contro l'establishment politico e religioso, non erano che il frutto di una perniciosa utopia che di lì a poco avrebbe mostrato il suo volto più autentico: quello di una società sempre più mostruosa finalmente affrancata dalle pesanti catene di una cultura oppressiva fatta di divieti (i tabù), imposti da leggi umane e divine ormai desuete. A norme inviolabili universalmente riconosciute e al di sopra di tutti sono state preferite nuove regole più «democratiche» che non sono nient'altro che l'espressione del capriccio umano.
Privato di qualsiasi norma superiore che travalichi le singole opinioni umane, l'uomo «liberato», in preda ai proprî istinti più bassi, sta rapidamente regredendo verso forme di comportamento sempre più bestiali. Oltre ciò, l'individualismo più sfrenato e il conseguente relativismo morale hanno via via resa impossibile ogni forma di consorzio umano. In mancanza di regole comuni e di un linguaggio condivisibile, l'individuo non riesce più a vivere e a comunicare con il suo prossimo.
Malgrado tutte le prospettive più rosee annunciate dai guru della controcultura, senza un fine ultimo più elevato da conseguire che non sia l'appagamento immediato dei proprî sensi, l'uomo «emancipato» da qualsiasi trascendenza cade spesso nel malessere, nel mal di vivere, nel fango, nella disperazione e... si suicida. Dopo aver fatto tabula rasa della società preesistente, gli edificatori della nuova umanità (quella del Sol dell'Avvenire) non sono riusciti a mettere in piedi nulla che non cada miseramente nel volgere di breve tempo.
La creazione di un nuovo tipo umano, vagheggiato dalle Logge massoniche e dalle élite dell'Alta Finanza, è e resterà una chimera irrealizzabile. La realtà è ben diversa e non è da reinventare. Come scrive Sant'Ignazio di Loyola (1491-1556) nei suoi Esercizi Spirituali, «l'uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e, mediante questo, salvare la propria anima» (Principio e fondamento). Tutto il resto è solo un inganno.
Grida d'allarme
• In un articolo apparso sulla rivista Nouvelles Littéraires, del 30 luglio-5 agosto 1973, il pittore astrattista Georges Mathieu (1921-2012) lanciò un grido di rivolta e di battaglia. Egli constatava il cedimento di una società di cui contestava sia «i comportamenti borghesi» e «il capitalismo imbecille», che i ritardati
Si stupiva
Si meravigliava del fatto
Si stupiva
Ed egli ricusava in anticipo i falsi-veleni, insufficienti ai suoi occhi per bloccare quelle che definiva «le forze demoniache del sesso e del sangue».
• Nel novembre 1974, il noto politico Jacques Chirac, alle Assemblee Nazionali dell'Union des Démocrates pour la République, fece alcune riflessioni molto simili:
• Con toni non diversi si espresse l'economista André Piettre (1906-1994), dell'Institut:
• Nel suo libro La révolution introuvable («La rivoluzione introvabile»; Fayard), il filosofo e sociologo Raymond Aron (1905-1983), parlando degli avvenimenti di maggio del 1968 e dei problemi della società francese constata:
Sopra: Raymond Aron e il suo libro La révolution introuvable. • Nella sua opera L'échec des futurologues («L'insuccesso dei futurologi»), l'economista Jean Fourastié (1907-1990) parla degli stessi problemi posti all'uomo di oggi scrivendo:
• Facendogli eco, constatava lo scrittore Louis Pauwels (1920-1997):
• Gli stessi avvenimenti (quelli di maggio del 1968), ispirarono a Jean-Marie Domenach (1922-1997), direttore del rivista Esprit, alcune riflessioni molto simili:
Tutte queste affermazioni contengono una litania di parole e di espressioni: «regole», «norme», «valori», «finalità», «fini ultimi», «credenze trascendenti», «ragione di vivere». Si può continuare:
• Lo scrittore Eugène Ionesco (1909-1994) ha affermato:
• James de Coquet (1898-1988), giornalista:
• Nel 1973, lo scrittore Maurice Druon (1918-2009) rivolse all'Assemblea Nazionale queste parole:
• Così Pierre de Calan (1911-1993), industriale, nel suo ultimo libro Les jours qui viennent («I giorni futuri»):
Sopra: Pierre de Calan e il suo libro Les jours qui viennent.
• Georges Pompidou (1911-1974), primo ministro e presidente francese, nel suo libro postumo Le nœud gordien («Il nodo gordiano»; Plon):
Sopra: Georges Pompidou e il suo libro Le nœud gordien.
• Jean Cau (1925-1993), agnostico, ex segretario particolare del filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre (1905-1980):
• Il Generale André Beaufre (1902-1975):
• Mikhail Nikolaevich Bocharnikov, primo segretario del Partito Comunista del distretto di Sverdlov, a Mosca:
• E infine André Malraux (1901-1976), scrittore e politico, nella prefazione scritta per il libro di Pierre Bockel (1914-1995) L'enfant du rire:
Cosa si può dire in definitiva? Georges Mathieu, Georges Pompidou, Pierre de Calan, Maurice Druon, James de Coquet, Jean Cau, Raymond Aron, Jean-Marie Domenach, Louis Pauwels a André Malraux concordano tutti nel riconoscere che al di là di una crisi morale, del malessere che regna nelle Università, nell'esercito, ecc..., viviamo una crisi di società, una crisi di civiltà, e che il vero problema è di sapere come rispondere alle domande essenziali che l'uomo non può evitare di porsi: chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Qual'è il mio fine?
Interrogativi che l'essere umano si pone anche a riguardo
della vita e della società: a
che cosa serve la società? Come può fondarsi una comunione tra gli
uomini, una vita sociale possibile? E tutti, anche se da
posizioni diverse se non opposte, rispondono che occorre
ristabilire i valori supremi, permanenti, le norme di
riferimento, le regole, un assoluto, una
trascendenza, qualcosa che si imponga a tutti e che domini
tutto, che fondi un ordine tale in cui ciascuno si riconosca
e si sottometta. Fallimento dei valori non trascendenti
Ciò che uomini così diversi e di idee così disparate hanno constatato è cosa dimostrata dall'esperienza e dalla Storia. Da sempre, gli uomini hanno manifestato il bisogno di qualcosa di universale che si imponga a tutti per fondare un ordine sociale e politico, per dare un senso alla loro vita. Senza risalire al diluvio, che cosa non si è fatto in questi ultimi due o tre secoli per trovare un soluzione soddisfacente a questo problema? Si è cercato disperatamente di proporre concetti diversi o astrazioni più o meno ornate di maiuscole: la Nazione, la Legge, la Morale, la Virtù, la Società, la Patria, l'Umanità, la Classe e la Razza. Fino a questa disarmante proposta della «necessità di un mito».
É stato detto di tutto; è stato proposto di tutto. Tutto è stato provato. E nulla è risultato soddisfacente. Un pizzico di buon senso e un po' di logica basta a dimostrare l'inconsistenza di questi «assoluti» che non trascendono nulla. Pensiamo, ad esempio, al concetto di Natura. Può un qualsiasi obbligo morale fondarsi sull'idea di Natura? No, non può essere che l'uomo senta il bisogno di renderle conto.
Al massimo, la Natura non è che una raccolta di consigli. «Se vuoi questo, fà quella cosa. Se desideri che quella cosa si realizzi, agisci così». Essa consiglia, suggerisce, ma non comanda. E se non voglio fare quella cosa? E se non voglio che tale cosa succeda? Chi mi costringerà? Chi potrà farmene un obbligo? Chi mi proverà che ho torto se risponderò: grazie per il consiglio, ma preferisco agire diversamente? Se sono io stesso il mio fine, chi può obbligarmi senza commettere un'ingiustizia ad agire diversamente?
Sopra: i surrogati della trascendenza:
il
proletariato, la razza, la patria e la legge...
I verdetti della Natura non costituiscono un obbligo e ciascuno resta libero di aggirare le sue leggi se ne accetta il rischio. «Non bere alcol che ti fà male al fegato»!... Molti compiangono chi beve solo acqua! «L'alcolismo rovina la Razza»!... «Cercherò di non avere figli», rispondono in tanti. «L'alcol uccide lentamente»!... «Non ho fretta. E poi, bisogna morire di questo o di quest'altro», ecc... Il termine «Legge» (con la «L» maiuscola) con cui certe persone vorrebbero correggere ciò che c'è di troppo bonario nel concetto di Natura, non ottiene risultati migliori.
Perché la Legge ha solo l'autorità di colui che l'ha sancita. È solamente una parola se non è che l'espressione della volontà di qualcuno. Altrimenti, ciò che è appena stato detto della Natura può essere vero anche per la Legge: la suprema virtù consisterà nel prendersi gioco della Legge e aggirarla senza danno... E finalmente a fare ciò che si fà oggi, adattando la Legge ai costumi e a fare del fatto la norma del Diritto. E perché mai, ad esempio, ciò che si fa per l'aborto, non si non si potrebbe fare per il furto o per l'omicidio?
Anche la Morale e la Virtù non possono essere presentate come un fine. Sono solamente dei mezzi e forse rischiano di essere solamente degli ideali rispettabili, ma non si vede chi o casa potrebbe imporli alle coscienze. Se non mi sento attratto dalla Virtù, chi mi dimostrerà che devo essere comunque virtuoso? La stessa vale per la Società, per la Patria, per la Nazione, per l'Umanità, ecc... Esse non potrebbero essere per l'uomo né uno scopo, né una fonte di obbligo nel grado più elevato. Ciò significherebbe considerare l'uomo come una parte di un tutto che comprenderebbe la Società, la Nazione, ecc..., e al quale sarebbe subordinato.
Se l'uomo è solamente una «parte» di questo tutto, è logico che sia totalmente sottomesso, ordinato e all'occorrenza sacrificato per questo tutto. L'uomo si ribella contro un simile totalitarismo di cui vediamo bene gli effetti. E la sua situazione è drammatica (come del resto constatava il pittore Georges Mathieu). L'uomo si trova di fronte ad una tragica alternativa: o la rivolta contro la società o il suo assorbimento da parte di quest'ultima. O la rivolta nichilista dell'anarchia, la protesta dell'individuo contro ciò che può essere solamente una tirannide sociale; o l'annientamento volontario e quasi mistico dell'individuo in un totalitarismo socializzante di cui il marxismo-leninismo offre il supremo esempio...
E la Nazione? Se tutte le nazioni sono assolute, cosa ne risulterà non solo sul piano individuale, ma su quello delle nazioni? E dunque di coloro che le dirigono? Senza un ordine trascendente, universale, assoluto e di uguale valore per tutti, diventa impossibile incontrarsi e mettersi d'accordo, e non c'è altro mezzo per fare valere i proprî diritti e difendere i proprî interessi che il ricorso alla violenza. La storia degli ultimi due secoli illustra tragicamente questa verità.
L'era dei nazionalismi è stata l'era delle guerre infernali, delle guerre mondiali, dei guerre totali. Una volta liberate dal «giogo» dei tiranni, le nazioni non avrebbero più avuto alcuna ragione per combattersi. Ciascuna avrebbe dovuto ritenersi soddisfatta dal momento che un territorio e uno Stato gli sarebbero stati accordati. Al contrario, per affrettare l'avvento di questa era di fratellanza e di pace, e per agevolare la liberazione dei popoli, si fece le guerre: guerre della Rivoluzione, guerre dell'Impero, guerre del Secondo Impero, guerra franco-tedesca del 1870, guerra del 1914 e guerra del 1939-1945..., il che non impedisce che il culto del nazionalismo sia ancora così diffuso e che produca gli stessi risultati.
E si potrebbe dire altrettanto della Classe e della Razza. In nome di che cosa quella classe o quella razza potrebbe imporsi come norma e valore supremo? la nozione di «razza tedesca» può al al limite imporsi ai tedeschi, ma non ai vicini della Germania. Dunque, l'esaltazione della razza non può condurre che al disprezzo degli altri e alla volontà di dominarli. La vittoria del Proletariato e la sua salvezza non possono imporsi che mediante sanguinose rivoluzioni con decine di milioni di vittime, per mezzo dei Gulag o degli ospedali psichiatrici.
Le false promesse dello scientismo
E la Scienza? Ascoltiamo le sue confortanti assicurazioni per bocca del razionalista Ernest Renan (1823-1892):
Nel XIX secolo, numerosi storici, poeti e romanzieri non hanno fatto che parafrasare il credo di Renan. È il caso di Victor Hugo (1802-1885) («L'umanità sarà trasfigurata dalla Scienza e dall'amore»), di Flaubert, di Zola e di Comte. Che cosa ne è stato?
La Scienza e il Progresso hanno risposto a questa attesa, quasi messianica, di certi uomini del XIX secolo? In realtà, è oggi una verità ovvia ricordare la minaccia che lo sviluppo delle scienze fatto pesare sull'umanità, e l'incapacità della Scienza di rispondere alle domande fondamentali che l'uomo si pone. Due uomini di sceinza come Alexis Carrel (1873-1944) e Jean Rostand (1894-1977) esprimono la loro angoscia e guardano con spavento al momento «in cui la tecnica osa prendersela con l'essere pensante» 9.
Il professor Jean Hamburger (1909-1992), che è miscredente come Rostand, arriva a sospettare dell'intelligenza umana, «questa mostruosa appendice di cui l'uomo è fiero», a causa della sua incapacità di sfruttare a favore dell'uomo gli incredibili progressi della medicina, della sua «incapacità politica e morale di concepire delle soluzioni», e del suo potere di mettere «in pericolo l'intera specie».
Per Jean Rostand, gli uomini di scienza non possono rispondere in quanto tali ai problemi dell'uomo perché questi problemi sono «di ordine puramente morale, e ciò significa che non compete ai soli uomini di scienza sentenziare» 10. Lasciamo la conclusione ad Alexis Carrel:
La saggezza degli antichi
In definitiva, possiamo dunque porci una domanda: se tutti questi assoluti che abbiamo considerato sono dei falsi assoluti, dei surrogati che non si impongono universalmente, dove trovare questa trascendenza che tutti gli interpellati ci dicono essere indispensabile? Che ci sia un ordine superiore alla volontà fluttuante degli uomini risalta dalle riflessioni di alcuni filosofi dell'antichità:
In queste affermazioni troviamo delle risposte alle constatazioni degli uomini d'oggi (Mathieu, Ionesco, ecc...) sullo scivolamento verso la bestialità. Eccone altre più recenti:
Eccoci giunti al cuore del problema:
Note
1 Traduzione dell'articolo originale francese «Peut-il exister une communion sans trascendence»? («Può esistere una comunione senza trascendenza»), a cura di Paolo Baroni. Articolo apparso sulla rivista Permanences, nº 120, maggio 1975. 2 Raymond de Sebon era un medico, filosofo e teologo catalano. La sua opera venne tradotta da Michel de Montaigne (1533-1592), che fece della frase riportata la sua professione di fede. 3 Cfr. Revue des Deux Mondes, 1971. 4 Cfr. E. Ionesco, Présent passé et passé présent («Presente passato e passato presente»), Mercure de France, 1968, pag. 64. 5 Cfr. Le Figaro, del 31 gennaio 1972. 5 Cfr. Paris-Match, del 26 maggio 1973. 6 Cfr. Le Figaro, del 15 agosto 1968. 7 Cfr. Cultura sovietica, del 30 luglio 1974. 8 Cfr. E. Renan, L'avenir de la science» («L'avvenire della scienza»), 1890. 9 Cfr. J. Rostand, Peut-on modifier l'homme? («Si può modificare l'uomo»?) 1953. 10 Cfr. J. Rostand, La biologie et l'avenir humain («La biologia e l'avvenire umano»), 1950. 11 Cfr. A. Carrel, L'homme, cet inconnu («L'uomo, questo sconosciuto»), pag. 186.
12
Cfr. Cicerone, De Republica,
III, 22. |