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di
Don Giuseppe Tomaselli
1
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Sopra: particolare
dell'affresco dei dannati all'inferno
di Luca Signorelli
(1445-1523), conservato nel Duomo di Orvieto.
NIHIL
OBSTAT QUOMINUS IMPRIMATUR
Catania 18-11-1954 Sac. Innocenzo Licciardello
IMPRIMITUR
Catania 22-11-1954 Sac. N. Ciancio – Vic. Gen. |
|
«Se Dio castigasse subito
chi lo offende, certamente non verrebbe offeso come lo è
ora. Ma poiché il Signore non castiga subito, i peccatori si
sentono incoraggiati a peccare di più. È bene sapere però
che Dio non sopporterà per sempre: come ha fissato per ogni
uomo il numero dei giorni della vita, così ha fissato per
ognuno il numero dei peccati che ha deciso di perdonargli: a
chi cento, a chi dieci, a chi uno. Quanti vivono molti anni
nel peccato! Ma quando termina il numero delle colpe fissato
da Dio, sono colti dalla morte e vanno all'inferno».
-
Sant'Alfonso Maria
de' Liguori (1696-1787), Dottore della Chiesa. |
Premessa
Anche se non era un mangiapreti, il
Colonnello M. se ne rideva della religione. Un giorno disse al
cappellano del reggimento:
-
Voi preti siete furbi e imbroglioni: inventando lo
spauracchio dell'inferno, siete riusciti a farvi
seguire da molta gente.
-
Signor Colonnello, non vorrei entrare in
discussione; questo, se crede, potremo farlo in un
secondo tempo. Le chiedo soltanto: quali studi ha
fatto lei per giungere alla conclusione che
l'inferno non c'è?
-
Non è necessario studiare per capire queste cose!
-
Io invece - continuò il cappellano - ho
studiato a fondo e di proposito l'argomento sui
libri di teologia e non ho alcun dubbio
sull'esistenza dell'inferno.
-
Mi porti uno di questi libri.
Quando il Colonnello ha riportato il testo, dopo
averlo letto attentamente, si sentì in dovere di
dire:
-
Vedo che voi preti non imbrogliate la gente quando
parlate dell'inferno. Gli argomenti che portate sono
convincenti! Devo ammettere che avete ragione voi! |
Se un Colonnello, che si pensa abbia
un certo grado di cultura, giunge a deridere una verità così
importante come l'esistenza dell'inferno, non c'è da meravigliarsi
che l'uomo comune dica, un po' scherzando e un po' credendoci:
«L'inferno non c'è... ma se ci fosse ci troveremmo in compagnia di
belle donne... e poi là si starebbe al caldo...». L'inferno!...
Terribile realtà!... Non dovrei essere io, povero mortale, a
scrivere sul castigo riservato ai dannati nell'altra vita. Se a fare
questo fosse un dannato che si trova negli abissi infernali, quanto
sarebbe più efficace la sua parola! «Discendiamo all'inferno fin
che siamo vivi (cioè riflettendo su questa terribile realtà) -
diceva Sant'Agostino (354-430) - per non
precipitarvi dopo la morte».
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«Poi dirà a quelli
alla sua sinistra: "Via, lontano da me, maledetti,
nel fuoco eterno,
preparato per il diavolo e per i suoi angeli"» (Mt 25,
41).
FATTI
STORICI DOCUMENTATI
CHE
FANNO RIFLETTERE
Un Generale russo
Mons. Louis Gaston Adrien de
Ségur (1820-1881) ha pubblicato un libretto che parla
dell'esistenza dell'inferno 2, su cui
sono narrate le apparizioni di alcune anime dannate. Riporto per
intero l'episodio con le stesse parole dell'autore:
Il
fatto accadde a Mosca nel 1812, quasi nella mia
stessa famiglia. Mio nonno materno, il conte
Rostopchine, era allora governatore militare a Mosca
ed era in stretta amicizia col Generale conte Orlov,
uomo valoroso, ma empio. Una sera, dopo cena, il
conte Orlov cominciò a scherzare con un suo amico
volteriano, il generale V., burlandosi della
religione e in particolare dell'inferno.
-
Ci sarà qualcosa - disse Orlov - dopo la
morte?
-
Se ci sarà qualcosa - disse il Generale V. - chi di
noi morirà per primo verrà ad avvisare l'altro.
Restiamo d'accordo?
-
Benissimo! - soggiunse Orlov, e si strinsero la
mano in segno di promessa.
Circa un mese dopo, il Generale V. ricevette
l'ordine di partire da Mosca e di prendere una
posizione importante con l'esercito russo per
fermare Napoleone. Tre settimane dopo, essendo
uscito di mattina per esplorare la posizione del
nemico, il Generale V. fu colpito al ventre da una
pallottola e cadde morto. Sull'istante si presentò a
Dio. Il conte Orlov era a Mosca e non sapeva nulla
della fine di quel suo amico. Quella stessa mattina,
mentre stava tranquillamente riposando, ormai
sveglio da un po' di tempo, si aprirono ad un tratto
le tendine del letto e comparve a due passi il
generale V. morto da poco, ritto sulla persona,
pallido, con la destra sul petto e così parlò: "L'inferno
c'è e io ci sono dentro!", e
disparve.
Il
conte si alzò dal letto e uscì di casa in veste da
camera, con i capelli ancora spettinati, molto
agitato, con gli occhi stralunati e pallido in
volto. Corse in casa di mio nonno, sconvolto e
ansimante, per raccontare l'accaduto. Mio nonno si
era alzato da poco e, meravigliato nel vedere a
quell'ora e vestito in quel modo il conte Orlov,
disse:
-
Conte che cosa vi è capitato?
-
Mi sembra di impazzire per lo spavento! Ho visto
poco fa il generale V.!
-
Ma come? Il Generale è già arrivato a Mosca?
-
No! - rispose il conte gettandosi sul divano e
tenendosi la testa tra le mani.
-
No, non è tornato, ed è questo appunto che mi
spaventa! E subito, trafelato, gli raccontò
l'apparizione in tutti i particolari.
Mio
nonno cercò di calmarlo, dicendogli che poteva
trattarsi di fantasia, o di un'allucinazione, o di
un brutto sogno e aggiunse che non doveva
considerare morto l'amico Generale. Dodici giorni
dopo, un messo dell'esercito annunziava a mio nonno
la morte del Generale; le date coincidevano: la
morte era avvenuta la mattina di quello stesso
giorno in cui il conte Orlov se l'era visto
comparire in camera. |
Una donna di Napoli
Tutti sanno che la Chiesa, prima di
elevare qualcuno agli onori degli altari e dichiararlo «Santo»,
esamina attentamente la sua vita e specialmente i fatti più strani e
insoliti. Il seguente episodio fu inserito nei processi di
canonizzazione di San Francesco De Geronimo (1642-1716),
celebre missionario della Compagnia di Gesù, vissuto nel XVII
secolo. Un giorno questo sacerdote predicava a una gran folla in una
piazza di Napoli. Una donna di cattivi costumi, di nome Caterina,
abitante in quella piazza, per distrarre l'uditorio durante la
predica, dalla finestra cominciò a fare schiamazzi e gesti
spudorati. Il Santo dovette interrompere la predica perché la donna
non la smetteva più, ma tutto fu inutile. Il giorno dopo il Santo
ritornò a predicare sulla stessa piazza e, vedendo chiusa la
finestra della donna disturbatrice, domandò cosa fosse capitato. Gli
fu risposto: «È morta questa notte improvvisamente». La mano
di Dio l'aveva colpita. «Andiamo a vederla», disse il Santo.
Accompagnato da altri entrò nella camera e vide il cadavere di
quella povera donna disteso. Il Signore, che talvolta glorifica i
suoi Santi anche con i miracoli, gli ispirò di richiamare in vita la
defunta. San Francesco di Girolamo guardò con orrore il cadavere e
poi con voce solenne disse: «Caterina, alla presenza di queste
persone, in nome di Dio, dimmi dove sei»! Per la potenza del
Signore si aprirono gli occhi di quel cadavere e le sue labbra si
mossero convulse: «All'inferno!... Io sono per
sempre all'inferno»!
Un episodio capitato a Roma
A Roma, nel 1873, verso la metà di
agosto, una delle povere ragazze che vendevano il loro corpo in una
casa di tolleranza si ferì a una mano. Il male, che a prima vista
sembrava leggero, inaspettatamente si aggravò, tanto che quella
povera donna fu trasportata urgentemente
all'ospedale, dove morì
poco dopo. In quel preciso momento, una ragazza che praticava lo
stesso «mestiere» nella stessa casa, e che non poteva sapere ciò che
stava avvenendo alla sua «collega» finita all'ospedale, cominciò a
urlare con grida disperate, tanto che le sue compagne si svegliarono
impaurite. Per le grida si svegliarono anche alcuni abitanti del
quartiere e ne nacque uno scompiglio tale che intervenne la
questura. Cos'era successo? La compagna morta all'ospedale le era
apparsa, circondata di fiamme, e le aveva detto: «Io sono
dannata! E se non vuoi finire anche tu dove sono finita io, esci
subito da questo luogo di infamia e ritorna a Dio»! Nulla poté
calmare l'agitazione di quella ragazza, tanto che, appena spuntata
l'alba, se ne partì lasciando tutte le altre nello stupore,
specialmente non appena giunse la notizia della morte della compagna
avvenuta poche ore prima all'ospedale. Poco dopo, la padrona di quel
luogo infame, che era una garibaldina esaltata, si ammalò gravemente
e, ben ricordando l'apparizione della ragazza dannata, si convertì e
chiese un sacerdote per poter ricevere i santi Sacramenti.
L'autorità ecclesiastica incaricò della cosa un degno sacerdote,
Mons. Sirolli, che era il parroco di San Salvatore in Lauro. Questi
richiese all'inferma, alla presenza di più testimoni, di ritrattare
tutte le sue bestemmie contro il Sommo Pontefice e di esprimere il
proposito fermo di mettere fine all'infame lavoro che aveva fatto
fino allora. Quella povera donna morì, pentita, con i conforti
religiosi. Tutta Roma conobbe ben presto i particolari di questo
fatto. Gli incalliti nel male, com'era prevedibile, si burlarono
dell'accaduto; i buoni, invece, ne approfittarono per diventare
migliori.
Una nobile signora di Londra
Viveva a Londra, nel 1848, una vedova
di ventinove anni, ricca e molto corrotta. Tra gli uomini che
frequentavano la sua casa, c'era un giovane Lord di condotta
notoriamente libertina. Una notte quella donna era a letto e stava
leggendo un romanzo per conciliare il sonno. Appena spense la
candela per addormentarsi, si accorse che una luce strana,
proveniente dalla porta, si diffondeva nella camera e cresceva
sempre più. Non riuscendo a spiegarsi il fenomeno, meravigliata
spalancò gli occhi. La porta della camera si aprì lentamente e
apparve il giovane Lord, che era stato tante volte complice
dei suoi peccati. Prima che essa potesse proferire parola, il
giovane le fu vicino, l'afferrò per il polso e disse: «C'è
un inferno, dove si brucia»! La paura e il dolore che
quella povera donna sentì al polso furono così forti che svenne
all'istante. Dopo circa mezz'ora, ripresasi, chiamò la cameriera la
quale, entrando nella stanza, sentì un forte odore di bruciato e
constatò che la signora aveva al polso una scottatura così profonda
da lasciar vedere l'osso e con la forma della mano di un uomo. Notò
anche che, a partire dalla porta, sul tappeto c'erano le impronte
dei passi di un uomo e che il tessuto era bruciato da una parte
all'altra. Il giorno seguente la signora seppe che la stessa notte
quel giovane Lord era morto. Questo episodio è narrato da
Mons. De Sègur che così commenta:
«Non so se
quella donna si sia convertita; so però che vive ancora. Per
coprire agli sguardi della gente le tracce della sua
scottatura, sul polso sinistro porta una larga fascia d'oro
in forma di braccialetto che non toglie mai e per questo
particolare viene chiamata "la signora del braccialetto"». |
Racconta un Arcivescovo...
Sant'Antonino Pierozzi
(1389-1459), Arcivescovo di Firenze, famoso per la sua pietà e
dottrina, nei suoi scritti narra un fatto, verificatosi ai suoi
tempi, verso la metà del XV secolo, che seminò grande sgomento
nell'Italia settentrionale. All'età di diciassette anni, un ragazzo
aveva tenuto nascosto in Confessione un peccato grave che non osava
confessare per vergogna. Nonostante questo si accostava alla
Comunione, ovviamente in modo sacrilego. Tormentato sempre più dal
rimorso, invece di mettersi in grazia di Dio, cercava di supplire
facendo grandi penitenze. Alla fine decise di farsi frate. «Là
- pensava - confesserò i miei sacrilegi e farò penitenza di tutte
le mie colpe». Purtroppo, il demonio della vergogna riuscì anche
là a non fargli confessare con sincerità i suoi peccati e così
trascorsero tre anni in continui sacrilegi. Neanche sul letto di
morte ebbe il coraggio di confessare le sue gravi colpe. I suoi
confratelli credettero che fosse morto da santo, perciò il cadavere
del giovane frate fu portato in processione nella chiesa del
convento, dove rimase esposto fino al giorno dopo. AI mattino, uno
dei frati, che era andato a suonare la campana, tutto a un tratto si
vide comparire davanti il morto circondato da catene roventi e da
fiamme. Quel povero frate cadde in ginocchio spaventato. Il terrore
raggiunse il culmine quando sentì: «Non pregate per me,
perché sono all'inferno»!... e gli raccontò la triste
storia dei sacrilegi. Poi sparì lasciando un odore ripugnante che si
sparse per tutto il convento. I superiori fecero portare via il
cadavere senza i funerali.
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Un professore di Parigi
Sant'Alfonso Maria De'
Liguori, Vescovo e Dottore della Chiesa, e quindi
particolarmente degno di fede, riporta il seguente episodio. Quando
l'Università di Parigi si trovava nel periodo di maggior splendore,
uno dei suoi più celebri professori morì improvvisamente. Nessuno si
sarebbe immaginato la sua terribile sorte, tanto meno il Vescovo di
Parigi, suo intimo amico, che pregava ogni giorno in suffragio di
quell'anima. Una notte, mentre pregava per il defunto, se lo vide
apparire davanti in forma incandescente, col volto disperato. Il
Vescovo, compreso che l'amico era dannato, gli rivolse alcune
domande; gli chiese tra l'altro:
«All'inferno ti ricordi ancora delle scienze per le quali
eri così famoso in vita»? Quegli rispose: «Che
scienze... che scienze! In compagnia dei demoni abbiamo ben
altro a cui pensare! Questi spiriti malvagi non ci danno un
momento di tregua e ci impediscono di pensare a qualunque
altra cosa che non siano le nostre colpe e le nostre pene.
Queste sono già tremende e spaventose, ma i demoni ce le
inaspriscono in modo da alimentare in noi una continua
disperazione»! |
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Note
1
Pagine estratte dall'opera L'inferno c'è, Libreria Sacro
Cuore, Catania 1954.
2
Trattasi di L'Enfer: S'il y en a un..., Tolra, Parigi 1876.