di Antonella Grippo 1
È noto a tutti, fin dai banchi di scuola, che non si può «parlare male di Garibaldi»: il suo «coraggio» e il «purissimo idealismo» ne fanno un eroe dell'apologetica risorgimentalista. Ma analizzando con maggiore accuratezza la vita del presunto eroe, si possono mettere in luce molti aspetti oscuri o poco noti del suo passato. Di certo il nizzardo non brillava per coerenza di idee se Giuseppe Mazzini (1805-1872) lo definì «una vera canna al vento» e lo storico inglese Denis Mack Smith lo valutò «rozzo e incolto». Indagando meglio si scopre, ad esempio, che la sua lotta contro l'oppressore non comprende la tappa in Uruguay dove preferì combattere dalla parte degli inglesi, per garantirne il monopolio commerciale sul Rio della Plata e contrastare così l'egemonia spagnola, nazione troppo cattolica per il proverbiale antipapismo garibaldino e soprattutto per il suo iniziale avvicinamento alla Massoneria d'oltreoceano.
O ancora che fu artefice di un meschino traffico di schiavi al suo ritorno dal Perù nel 1852. Garibaldi «m’ha sempre portato i chinesi nel numero imbarcati e tutti grassi e in buona salute, perché li trattava come uomini e non come bestie», scriveva con ammirazione e una punta di ironia l'armatore torinese Pietro Denegri. Nel 1835 a Rio de Janeiro, Garibaldi strinse amicizia con Livio Zambeccari (1802-1862), esponente di spicco della Massoneria e segretario del presidente del Rio Grande. Ma fu a Montevideo nel 1844 che indossò il primo «grembiulino» ed «ebbe la luce» massonica. Aveva trentasette anni, e la Loggia era L'Asil de la Vertud, una Loggia irregolare, emanazione della Massoneria brasiliana, non riconosciuta dalle principali obbedienze massoniche internazionali, quali erano la Gran Loggia d’Inghilterra e il Grand'Oriente di Francia.
Sempre nel corso del 1844, regolarizzò la sua posizione presso la Loggia Les Amis de la Patrie di Montevideo posta all'obbedienza del Grand'Oriente di Parigi. La sua affiliazione comparve successivamente anche nella Loggia Tomp Kins, a Stapleton, nello Stato di New York. La carriera massonica di Garibaldi culminò nel 33° Grado del Rito Scozzese ricevuto a Torino il 17 marzo 1862, nell'elezione a Gran Maestro del 21 maggio 1864 e nella suprema carica di Gran Ierofante del Rito Egizio di Memphis-Misraim nel 1881 2. Garibaldi, inoltre, si interessò anche di spiritismo e occultismo.
Ma prima di passare a descrivere più nel dettaglio l'influenza della Massoneria sul nizzardo è opportuno ricordare che tutti i Riti massonici, sebbene divisi al loro interno, fin dalla Rivoluzione Francese perseguivano un disegno finale metapolitico, che aveva come fine ultimo la distruzione del cristianesimo e il ritorno dell'umanità ad un'età precristiana, pagana, gnostica. Il potere della Massoneria si rafforzò con Napoleone, con cui l'attacco alla Chiesa di Roma divenne sempre più palese fino all'annessione del 10 giugno 1808 dello Stato pontificio all'Impero francese.
Il Convegno massonico di Strasburgo del 1847 organizzò i moti rivoluzionari dell'anno successivo che si propagarono contemporaneamente a Parigi, Vienna, Berlino, Milano, Roma e Napoli. La più nota ma, al contempo, impenetrabile società segreta dell'Ottocento fu la Carboneria, emanazione della Loggia dei Filaleti (cioè «Amici della libertà»), francesi. Organizzata in Vendite, operava in stretto contatto col Rito Scozzese, era diretta da un vertice chiamato Alta Vendita composta a livello internazionale da quaranta membri. Molto diffuse in Piemonte e nell'Italia settentrionale, la prima Vendita meridionale fu stabilita a Capua, nel 1809.
Mazzini fu iniziato alla Carboneria fra il 1827 e il 1829. I carbonari appartenevano agli Illuminati di Baviera e vi apparteneva anche Mazzini che – tra l'altro – credeva fermamente nella reincarnazione. Conobbe Madame Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891), fondatrice della Società Teosofica, e fu molto amico di John Yarker (1833-1913), Gran Ierofante di Memphis-Misraim. Carboneria e Alta Vendita entrarono in gioco per l'unificazione dell'Italia: alla prima spettava il compito di rovesciare il Trono, alla seconda quello di assalire il Papa e disgregare il clero. Il loro braccio armato era l'orda garibaldina. Ma, per portare a termine la sua missione, Garibaldi aveva bisogno di un protettore potente: l'onnipresente Massoneria britannica.
Perfino lo storico ufficiale della Massoneria italiana Aldo Alessandro Mola scrive: «La spedizione dei Mille si svolse dall'inizio alla fine sotto tutela britannica: o, se si preferisce, della Massoneria inglese». E mentre Carlo Pisacane (1818-1857) – anche lui massone - falliva l'azione di Sapri, Garibaldi tramava nell'ombra in Inghilterra nell'areopago della Loggia Philadelphes contro il Regno delle Due Sicilie. Nella Loggia londinese si raccoglievano infatti i più importanti esponenti dell'internazionalismo democratico e socialista, tutti propensi a collocare la Massoneria su posizioni fortemente antipapiste. Presi i necessari accordi con la Massoneria inglese, il nizzardo partì da Liverpool alla volta del Nuovo Mondo dove frequentò e batté cassa presso le Logge massoniche di New York. La sconfitta dei Borbone fu comprata a peso d'oro. Oro massonico che corruppe le tasche dei generali quasi quanto la propaganda ne aveva corrotto la mente.
Lo studioso De Vita ha accuratamente ricostruito la provenienza di questo tesoro attraverso una documentata ricerca negli archivi delle Logge massoniche scozzesi di Edimburgo. A Garibaldi furono quindi fatti pervenire, per l'organizzazione della spedizione, tre milioni di franchi francesi, tutti convertiti in piastre d'oro turche per occultarne la provenienza e per favorirne il cambio in tutto il bacino del Mediterraneo. Non è facile valutare il valore finanziario di una somma così ingente, ma si tratta senza dubbio di milioni di dollari odierni. Alla colletta contribuirono, oltre ai Fratelli inglesi e americani, anche quelli canadesi. La Massoneria mal sopportava quei sovrani di Napoli: troppo cattolici e ben difesi, da un lato dall'«acqua santa» del Papa, dall'altro da quella salata e ricca di traffici del Mediterraneo; ma soprattutto bruciava loro ancora la persecuzione ordinata, tra il 1825 e il 1832, contro le Logge massoniche siciliane. L'appartenenza massonica di Garibaldi contribuì quindi, a finanziare la conquista del Sud. Come è dimostrato dallo stesso Garibaldi che, nel ringraziare i propri Fratelli di Palermo per il conferimento dell'altissimo Grado assegnatogli in seno alla Massoneria, tenne a precisare, nella lettera inviata il 20 marzo 1862, che assumeva «di gran cuore il Supremo Ufficio» perché, da una parte, conferito dal libero voto di uomini liberi, e dall'altra per «l'appoggio che essi diedero da Marsala al Volturno, nella grande opera dello affrancamento delle province meridionali». Ai Maestri massoni d'Italia, Garibaldi fece notare inoltre l'importanza che ogni massone cooperasse affinché Roma divenisse, oltre che italiana, la capitale di una «grande e possente nazione». Tutti i Fratelli, perciò, dovevano tenersi pronti ad accorrere «sotto quella bandiera per la quale fu sparso tanto sangue italiano». E tra i Mille che si mossero dallo scoglio di Quarto o tra i loro sostenitori più o meno ufficiali, ci furono molti massoni: a iniziare da Nino Bixio (1821-1873) - della Loggia Trionfo Ligure (tessera nº 105) - a Francesco Crispi (1818-1901), compreso Cavour (1810-1861), primo ministro del governo sardo, e Lord Palmerston (1784-1865), ministro di Sua Maestà britannica.
Lo studioso che più di ogni altro ha sottolineato l'importanza di questa «sètta» - come da lui stesso più volte è definita – nella dissoluzione del Regno della Due Sicilie è stato Giacinto de' Sivo (1814-1867): la «sètta che da ottant'anni va minando i troni e gli altari, guadagnava a' nostri tempi un re, nato re, nato cristiano e cattolico» e ne ha fatto sua «vittima e strumento», inducendolo a spargere la corruzione nel Regno delle Sicilie, a fornire oro e legittimazione all'orda garibaldina, a colpire egli stesso alle spalle il monarca delle Sicilie, quando questi era ormai sul punto di fermare l'invasione 3.
Continua il de' Sivo: «Il Piemonte co' suoi ambasciatori sparse tra noi il veleno delle sètte; corruppe con oro e promesse i duci e i ministri napoletani; metteva in armi sulle genovesi terre un capitano di ventura, al quale con bugiarde mistificazioni aveva preparato immeritata rinomanza, gli dava oro, navi e bandiere, gli dava seguaci d'ogni nazione e d'ogni linguaggio, e il lanciava famelico e sitibondo sulle nostre terre felici» 4. Questo dunque, il complotto che ha corrotto il Regno: inglesi e piemontesi corruppero e comprarono con oro massonico gran parte del governo di Francesco II (1836-1894), compreso il primo ministro Liborio Romano (1793-1867) e con lui, larga parte degli stati maggiori militari e della burocrazia. Il de' Sivo avverte e mette in guardia contro la minaccia dei sèttari, svelandone il disegno ultimo di attacco alla Chiesa: «La guerra che oggi si fà, non è al Papa come Re di Roma solamente, non si limita solo al potere temporale, non è contro la dominazione pontificia che si scaglia la bava velenosa dei sèttari: è anche direttamente contro i principî della religione, che vorrebbe farsi sostituire dal vantato razionalismo» 5. E, a distanza di più di un secolo, non possiamo che riconoscere la perspicacia dello storico di Maddaloni che nutriva la consapevolezza del carattere intrinsecamente rivoluzionario e anticristiano dell'aggressione al Regno delle Due Sicilie. Un episodio del ben più ampio scontro fra religione e ateismo. La sètta iniziò dalla soppressione degli Ordini religiosi per passare all'incameramento dei beni ecclesiastici, sempre in nome della libertà e della costituzione. Poi la Massoneria scatenò in Italia una vera e propria guerra alla Chiesa cattolica, utilizzando i Savoia e i liberali, come avanguardia della rivoluzione. Si dichiararono soppresse «tutte le corporazioni e gli stabilimenti di qualsivoglia genere degli Ordini monastici e delle corporazioni regolari o secolari esistenti» e si impose a tutti i religiosi di lasciare i conventi. A distanza di un mese, seguì la soppressione degli Ordini religiosi e la confisca dei beni. La persecuzione anticattolica fece intascare all'élite illuminata e liberale circa un milione di ettari di terra e migliaia di edifici, tra conventi e romitori.
La popolazione perse gli usi civici per secoli garantiti dalla Chiesa e insorse ovunque guadagnandosi l'appellativo di «briganti». I decreti del 18 ottobre 1860, sulla abolizione dei privilegi del clero 6, e quelli del 17 febbraio 1861, che abrogarono il concordato del 1818 fra il Regno delle Due Sicilie e la Santa Sede, comportarono la laicizzazione delle opere ecclesiastiche, la soppressione di numerosi Ordini religiosi oltre all'impedimento di celebrare Messe e alla chiusura di alcuni luoghi di culto 7, e spinsero all'opposizione anche quella parte del clero ancora indecisa nei confronti della rivoluzione.
Numerosi frati e sacerdoti, militarono nelle fila della reazione, i Vescovi incoraggiavano gli insorti con le loro pastorali e rinnovavano le scomuniche della Santa Sede che definiva sacrilego il Governo italiano. Si fronteggiarono dunque, come già era stato nel 1799 e durante le invasioni napoleoniche, due idee del mondo: l'una che trovava nei simboli sacri della religione e della Chiesa la sua bandiera, l'altra che riecheggiava e diffondeva le idee propugnate dalla Massoneria, quella «sètta» che, per dirla ancora una volta con il de' Sivo, tanto ha inciso nelle vicende del Risorgimento italiano. D'altra parte, la stessa Massoneria non nasconde, anzi rivendica orgogliosamente l'apporto al Risorgimento.
Il Gran Maestro Armando Corona (1921-2009), in un Convegno del 1988 sul tema La liberazione d'Italia nell'opera della Massoneria, così conclude: «La liberazione d'Italia – opera eminentemente massonica – fu sorretta, in ogni suo passaggio fondamentale, dalle iniziative delle comunioni massoniche d'oltralpe». La Massoneria «fu il vero ispiratore e motore del Risorgimento» 8. Scopo della sua missione era quello di distruggere la Chiesa cattolica e sostituirla con quella massonica guidata da Londra. Suo artefice era Garibaldi, che aveva speso la sua vita a scristianizzare i popoli, in particolare quello italiano. Egli definiva Papa Pio IX (1792-1878) «un metro cubo di letame» 9, lo riteneva «acerrimo nemico dell'Italia e dell'unità», lo considerava «la più nociva di tutte le creature, perché egli, più di nessun altro, è un ostacolo al progresso umano, alla fratellanza degli uomini e dei popoli». Nel 1862, si tenne la prima Costituente massonica italiana: ventisei le Logge i cui delegati nominarono Garibaldi, insignito da Crispi dei Gradi scozzesi dal 4° al 33°, Primo Massone d'Italia. Il Grand'Oriente Italiano, dunque, inizialmente dominato da esponenti vicini a Cavour, preferì affidare la carica di Gran maestro a Costantino Nigra (1828-1907) e conferire a Garibaldi soltanto un titolo onorifico, come quello di Primo Massone d'Italia, gratificandolo di una medaglia commemorativa d'oro massiccio. Nel cuore massonico del Risorgimento si facevano quindi strada due sentimenti: quello cavouriano, decisamente élitario e dinastico, e quello democratico, più popolare. Iniziava una dura lotta per assicurarsi la guida della famiglia massonica. Garibaldi divenne immediatamente il candidato sostenuto dai democratici, ma quando Costantino Nigra rassegnò le dimissioni da Gran maestro e un'assemblea straordinaria fu chiamata a eleggere il suo successore, il prescelto risultò Filippo Cordova (1811-1868), già ministro di Cavour, che prevalse su Garibaldi con quindici voti contro tredici. Per l'anno successivo, il 1863, i «figli della Vedova» 10 fissarono l'appuntamento «a Roma liberata», ma non riuscirono a portarsi oltre Firenze.
Dopo la nomina a sovrano Gran Commendatore del Gran Consiglio, conferita nel 1863, l'assemblea dei liberi muratori italiani riunitasi a Firenze nel maggio del 1864 e comprendente ormai ben settantadue Logge, elesse Garibaldi al primo scrutinio con quarantacinque voti (fave) su cinquanta, Gran Maestro dei liberi muratori comprendenti i due Riti, Scozzese e Italiano. La speranza era quella di organizzare tutte le frange della Massoneria italiana in una obbedienza universale, con una aggregazione, come lui stesso scrisse, «in una sola, di tutte le società esistenti, che tendono al miglioramento morale e materiale della famiglia italiana».
La nomina a Gran Maestro rappresentò un momento fondamentale nella storia della Massoneria italiana. Nelle Logge, infatti, iniziò a scatenarsi sempre più intensamente la bufera dell'anticlericalismo radicale di cui Garibaldi era il principale e insuperato esponente. Bisognava conquistare Roma: chi voleva farlo era amico dei massoni, chi temporeggiava, nemico. Il Papato era l'arcinemico da combattere e abbattere. Con un linguaggio che fondeva insieme misticismo messianico e positivismo razionalistico, Garibaldi intendeva condurre i Fratelli tre puntini ad una «religione del vero». Così farneticava da Torino fin dal 1861: «Incombe ai veri sacerdoti di Cristo una missione sublime»: liberare i popoli e finalmente un giorno la patria riconoscente «inciderà i loro nomi tra gli eroici figli che la redensero» 11.
Il 18 marzo del 1867, da Firenze, Garibaldi attaccava: «Non abbiamo ancora Patria, perché non abbiamo Roma. Chi in Massoneria potrà contenderci una Patria, una Roma morale, una Roma massonica? Io sono del parere che l'unità massonica trarrà a sé l'unità politica d’Italia». L'obiettivo era chiaro: l'iniziativa militare che doveva condurre a Roma, necessitava l'armonia interna e l'abbandono di beghe e dispute su rituali e tra Obbedienze. Tutti uniti in vista di un obiettivo preciso: la breccia di Porta Pia. L'antiteismo garibaldino lo spinse al punto di affermare: «Se sorgesse una società del demonio, che combattesse dispotismo e preti, mi arruolerei nelle sue file». Garibaldi, nel giugno 1867, pur conservando la carica di Gran Maestro del Consiglio scozzesista palermitano, accettò anche la nomina a Gran Maestro onorario a vita del Grand'Oriente d’Italia che gli venne conferita dalla Costituente massonica di Napoli. Il legame con l'istituzione liberomuratoria era ormai saldissimo. Non valsero a incrinarlo neppure le divergenze emerse in occasione dell'Anticoncilio di Napoli del 1869, a cui Garibaldi aderì e dal quale invece la Massoneria, rimase sostanzialmente estranea. Nell'autunno del 1867, il vessillo della Vedova sventolò sull'orda garibaldina diretta a Roma. L'azione dei volontari avrebbe dovuto avere man forte da una insurrezione preparata dai cosiddetti patrioti romani. Ma la partecipazione popolare fu scarsa e il 3 novembre 1867, le truppe francesi – da poco sbarcate a Civitavecchia – attaccarono e sconfissero i garibaldini nella gloriosa battaglia di Mentana. Fermato a Sinalunga, per paura che potesse realizzare un colpo di mano sulla frontiera pontificia, Garibaldi si ritirò a Caprera dove si diede alla scrittura. Nel romanzo autobiografico Clelia |