di Epiphanius 1
La guerra di conquista piemontese della penisola, passata alla storia col nome di «Risorgimento», dove il mito unitario fu la foglia di fico che lasciava scoperto un processo espansionistico programmaticamente realizzato attraverso successive aggressioni ad altri Stati sovrani - nella più perfetta trasgressione del diritto dei popoli allora vigente - ha costituito, e costituisce, per la classe politica dominante un dogma intoccabile, la cui «verità» storica è inconcussa. E se qualcuno ardisce «parlar male di Garibaldi», pur anche sulla scorta di solida e stringente documentazione, scatta la massiccia presa di posizione degli storici depositari del verbo ufficiale che, col concorso di una legione di pseudo-intellettuali organici, si precipitano ad appianare fin ogni piccola asperità della piatta strada del conformismo massonico, ristabilendo così il trito monolitismo culturale dell'establishment.
è un fatto corrente, ma, vien da chiedersi: perché ancora tale accanimento nell'anno di poca grazia del Signore 1990? Notizie come quella apparsa su Il Corriere della Sera, del 20 aprile 1990 a riguardo dei protagonisti risorgimentali, definiti «per la maggior parte dei massoni, degli avventurieri» non sono una novità. Già Antonio Gramsci (1891-1937) bollava questi personaggi come «quella banda di avventurieri senza coscienza e senza pudore che, dopo aver fatto l'Italia, l'hanno divorata» 2. Forse in epoca democratica, di consenso di massa, non si vuol che si inneschi una revisione culturale di quel periodo, revisione che potrebbe rivelare come il grande assente del movimento risorgimentale fosse proprio quel popolo italiano che, fedele alla religione e alle tradizioni dei padri, dovette contribuire, con sangue e lacrime, specie al Sud, alla distruzione dei proprî ordinamenti e della propria memoria storica: i consensi elettorali espressi nell'Italia meridionale dopo la conquista piemontese la dicono lunga in proposito 3.
Anzi, è corretto parlare di vera persecuzione della religione: a partire dal 1850, infatti, il piccolo Piemonte, strumento dell'onnipotente Massoneria inglese guidata da Lord Palmerston (1784-1865), succube della Francia e della Prussia bismarckiana, scatenava una persecuzione contro la Chiesa - e quindi contro la totalità del popolo italiano - che sarebbe durata decenni, giungendo a strappare al successore di Pietro i mezzi temporali per guidare la navicella della Chiesa senza dover dipendere dai pesanti condizionamenti di un potere laicista avverso e consolidato a livello europeo. Il giornalista Antonio Socci, in un interessante saggio sul tema, parla a ragione di «genocidio spirituale» di un popolo impregnato da secoli di cattolicesimo tridentino e della sistematica sostituzione ai valori cristiani di quelli «civili» - leggi massonici - veicolati attraverso le due grandi istituzioni, la Scuola e l'Esercito, per forgiare l'uomo nuovo, il nuovo cittadino dell'Italia unitaria.
Cuore e Pinocchio 4 sono due opere emblematiche, intrise di sentimentalismo ottocentesco, capisaldi per antonomasia dell'operazione di rieducazione del popolo-bambino che, a fatica dopo secoli di tenebrosa superstizione cattolica, schiude gli occhi alla nuova luce del progresso e della pace. Pace invero sofferta: ché in realtà chi ne fece le spese nei territori «liberati» per poter camminare su queste vie, fu la povera gente, la cui sussistenza derivava in gran parte dagli usi civici delle terre demaniali ed ecclesiastiche 5, istituzioni secolari e collaudate che costituivano l'ossatura dell'economia agricola dei villaggi.
Il governo piemontese, con la Legge Siccardi del 1850, la legge che sopprimeva gli ordini religiosi nel 1855, e successivi provvedimenti, una volta impadronitosi delle terre le rivendette a prezzi stracciati a voraci latifondisti che in breve ridussero il contadino all'indigenza più disperata; a ciò si aggiunga che lo Stato liberale fece piazza pulita di tutti quei corpi intermedi creati col lavoro di generazioni secondo l'ordine naturale, che per secoli avevano difeso il più debole contro i soprusi dei potenti, sostituendoli con un potere arrogante, accentratore e assoluto che cancellava ogni diritto salvo quello dei grandi proprietari terrieri e dei mercanti. Né al Nord si stava meglio: malattie, sangue (30.000 morti solo nelle battaglie del 1859 di Solferino e San Martino) e miseria erano di casa; l'incidenza delle spese militari piemontesi nel 1860 si attestava al 61.6% della spesa totale globale, mentre la percentuale riservata alle strutture di pubblica assistenza era del 2%! Il debito pubblico del Piemonte nello stesso periodo aveva sfondato il tetto di un miliardo di allora, ripartito su soli quattro milioni di abitanti. Lo stesso Francesco Nitti (1868-1953), massone, avrebbe più tardi riconosciuto che «prima del 1860 era (al Sud) più grande ricchezza che in quasi tutte le regioni del Nord» 6. Ma la pagina più emblematica dell'«epopea» risorgimentale fu la conquista del Sud, di un regno libero e indipendente fin dal 1734, guidato da un re italiano con un popolo pacifico, ingegnoso e relativamente prospero, una flotta seconda in Europa solo a quella inglese, dotata di ben 472 navi, un debito pubblico minimo, notevoli riserve auree, grandi opere civili in corso e le tasse più leggere d'Europa 7. Un popolo che in pochi anni viene schiacciato sotto il tallone di ferro e ridotto ed obbligato ad un esodo di proporzioni bibliche verso lidi lontanissimi e spesso inospitali. Fra il 1876 e il 1914 il numero di italiani meridionali che dovette abbandonare per la miseria la propria terra toccò i quattordici milioni. La colonia meridionale non si piegò subito e, a qualche mese dall'invasione, metà dell'esercito piemontese - 120.000 baionette - fu sanguinosamente impegnato per alimentare una guerra fratricida, di repressione del «brigantaggio», secondo la definizione degli invasori, in realtà invece genuina legittima e sentita ribellione di un popolo che, alla stregua degli intrepidi vandeani e dei duri tirolesi di Andreas Hofer (1767-1810), non voleva saperne di essere «liberato» 8.
Le cifre parlano da sole: «Dal gennaio all'ottobre del 1861, si contavano nell'ex-Regno delle Due Sicilie 9.860 fucilati, 10.604 feriti, 918 case arse, sei paesi bruciati, dodici chiese predate, quaranta donne e sessanta ragazzi uccisi, 13.629 imprigionati, 1.428 comuni sorti in armi» 9. Una guerra sorda e feroce che continuò per anni in cui «il numero di coloro che morirono [...] fu superiore a quello di tutte le guerre del Risorgimento messe insieme» 10. Né, naturalmente, fu risparmiato il clero: Sessantasei Vescovi arrestati e processati nel solo 1860, seguiti nei quattro anni successivi da nove Cardinali, fra cui il futuro Papa Pecci, Leone XIII (1810-1903), sessantaquattro sacerdoti e ventidue frati fucilati.
Ciò che appare paradossale in questa fosca pagina di Storia nazionale è che i teorizzatori liberali dello Stato piemontese, le cui dottrine hegeliane sullo Stato etico furono all'origine dell'invasione del Sud, non furono piemontesi, bensì napoletani. I loro nomi: Francesco de Sanctis (1817-1883), nel 1859 assurto al 18° Grado del Rito Scozzese, Grado di Cavaliere Rosacroce 11; Bertrando Spaventa (1817-1883), che nel 1851 tuonava al Parlamento di Torino «contro la libertà di insegnamento e per una totale e assoluta statalizzazione dell'educazione» 12. Pasquale Stanislao Mancini (1817-1888), vera mente giuridica dello Stato liberale piemontese, il cui pensiero in tema di libertà individuale era il seguente: «Il pluralismo scolastico è un diritto di libertà del singolo, ma in Italia noi lo osteggiamo perché applicarlo significherebbe consegnare la scuola nelle mani dei cattolici» 13; e ancora: Silvio Spaventa, Ruggero Bonghi, Angelo e Camillo De Meis.
Note
1 Estratto dall'opera Massoneria e sètte segrete: la faccia occulta della Storia, Editrice Icthys, Albano Laziale s.d., pagg. 121-125. 2 Cfr. A. Gramsci, Il Risorgimento, Ed. Einaudi, Torino 1954, pag. 158. 3 Cfr. A. Socci, La Società dell'Allegria: il partito piemontese contro la chiesa di don Bosco, Ed. SugarCo, Milano 1989, pag. 155. «Fino al 1876, su quasi trenta milioni di abitanti, avevano diritto al voto solo 605.007 persone» (pag. 266). 4 Edmondo De Amicis e Carlo Collodi (pseudonimo di Carlo Lorenzini) furono entrambi massoni. E Le avventure di Pinocchio sembrerebbero proprio una favola massonica, magistralmente composta. Pinocchio è un pezzo di legno parlante, un pezzo di natura allo stato puro, un burattino di nascita verginale che ha per padre adottivo un umano di nome Giuseppe. Le sue disavventure lo conducono tosto ad un incredibile incarnazione in un asino, prefigurazione della materia increata, che, in forma di pezzo di legno nel racconto, si innalza, sia pur attraverso le doglie dell'imperfezione e della caduta, verso forme più evolute e perfette. E per tre giorni Pinocchio rimane prigioniero nel ventre di un grosso pesce, dove incontra, in singolare allusione ai tre giorni trascorsi da Cristo nel sepolcro e alla discesa agli inferi, il padre. Risorge infine come uomo, vertice di un'evoluzione che ha visto la materia inanimata spiritualizzarsi e incarnarsi passando di vita in vita, quasi seguendo la legge del karma, a seconda dei meriti accumulati nelle sue varie fasi, fino ad auto-redimersi e giungere finalmente alla perfezione. Attorno a Pinocchio ruotano vari personaggi come la celeberrima coppia del Gatto e la Volpe, allusione allegorica alla scaltrezza pretesca che riesce a spillar denaro sfruttando in modo celato e truffaldino l'ignoranza degli uomini, col promettere in cambio dei loro averi il Campo dei Miracoli del paese di Acchiappacitrulli, il nome metaforico riservato al Paradiso cristiano, di esistenza altrettanto improbabile del fantomatico albero degli zecchini d'oro del Campo dei Miracoli. 5 Ferdinando II di Borbone il 20 settembre 1836 aveva invece riconfermato le leggi vigenti sul demanio e gli usi civici e sulla proprietà della terra ai singoli contadini (cfr. C. Alianello, La conquista del Sud, Ed. Rusconi, 1972, pagg. 121 e 252). 6 Cfr. F. S. Nitti, Scritti sulla questione meridionale, Ed. Laterza, Bari 1958, pag. 7. 7 Cfr. C. Alianello, op. cit., pagg. 122, 129; A. Socci, op. cit., pag. 154. 8 «Briganti noi combattenti in casa nostra, difendendo i tetti paterni; e galantuomini voi venuti qui a depredar l'altrui»? (cfr. G. De Sivo, I Napoletani al cospetto delle nazioni civili, Ristampa anastatica a cura dell'Editrice Forni, Bologna 1965). Il Giornale degli Atti dell'Intendenza di Basilicata dell'anno 1857, dove erano riportate tutte le sentenze e gli atti ufficiali del governo borbonico, riporta un solo caso di «brigante» nell'arco di dodici mesi, in realtà, un banditello da pochi soldi (cfr. C. Alianello, op. cit., pagg. 170-171), ben diverso dal leale suddito di Sua Maestà Ferdinando II che, impugnando le armi per difendere la propria terra, la propria casa, la propria famiglia, veniva bollato come tale. 9 Cfr. C. Alianello, op. cit., pagg. 133. 10 Cfr. D. Mack Smith, Storia d'Italia dal 1861 al 1958, Bari 1962; vedi anche Il Giornale, del 12 aprile 1986. 11 Cfr. A. A. Mola, «La liberazione d'Italia nell'opera della Massoneria», in Atti del Convegno di Torino 24-25 settembre 1988, Ed. Bastogi, Foggia 1990, pag. 198; A. A. Mola è direttore del Centro Studi per la Storia della Massoneria che ha sede presso il Grand'Oriente d'Italia, a Roma. 12 Cfr. A. Socci, op. cit., pagg. 117-118.
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Ibid. |