di Ennemond Beth, Andrée Perrachon, Nicole Buron 1
Prefazione
A partire dalla Rivoluzione Francese si è lentamente sviluppata una corrente di pensiero che rivendica i presunti «diritti della donna». Tale corrente ha ricevuto una propria base dottrinale negli anni '20, ma ha conosciuto il suo momento di massima espansione solamente all'inizio degli anni '70, gli anni della contestazione, per poi scemare quasi completamente ai nostri giorni. Tale declino non è certamente da considerarsi come un fallimento. Al contrario, il movimento femminista è oggi ormai desueto in quanto gli obiettivi che si poneva negli anni di piombo sono stati in buona parte raggiunti. Oggi, la donna ha ottenuto la cosiddetta «parità», gode ormai nella maggior parte dei casi di una propria indipendenza economica e può accedere ai posti più ambiti nel mondo del lavoro o della politica. Essa ha ottenuto la «gestione del proprio utero» (con l'aborto libero e gratuito e con la contraccezione), si è liberata dalla tirannia del marito-padrone (con il divorzio) e si è svincolata dalla schiavitù della culla. Da angelo del focolare, essa si è spesso trasformata in donna in carriera, in manager aziendale o in single che colleziona flirt come fossero francobolli. Eppure, nonostante tali «conquiste», si direbbe che essa non sia affatto più felice o più realizzata di quanto non lo fosse prima. In molti casi, ora essa deve faticosamente gestire due fronti: quello del lavoro e quello della famiglia. La ricerca forsennata della libertà l'ha spesso allontanata dai proprî affetti più cari conducendola all'instabilità in campo sentimentale, mentre l'ingresso nel mondo del lavoro l'ha distolta dal compito gravoso dell'educazione dei figli, producendo ulteriore frustrazione e sensi di colpa. Il suo ingresso nella vita sociale e l'inevitabile confronto con l'uomo le hanno imposto una nuova immagine - più aggressiva e disinibita, come d'altronde la presentano senza sosta i mass media - e la obbligano ad una cura maniacale del proprio corpo (diete, cure di bellezza, vestiti alla moda, ecc...) per essere sempre all'altezza della situazione. In realtà, quando negli anni '20 i marxisti iniziarono a parlare di liberazione della donna, in vista di un nuovo strumento rivoluzionario, non fecero nient'altro che applicare la dottrina del materialismo dialettico-storico alla sfera familiare contrapponendo il marito alla moglie, come già avevano fatto con il proletariato e con la borghesia, e come fecero più tardi nel Sessantotto contrapponendo i figli ai genitori.
Il loro fine non era certo la liberazione della donna, ma la rimozione di uno dei maggiori ostacoli alla realizzazione della società socialista: la famiglia quale l'ha forgiata la legge naturale e cristiana. Essi sapevano benissimo che la società occidentale poggia sulla cellula familiare, e che quest'ultima a sua volta si regge su quell'insostituibile colonna che è la moglie-madre.
Da qui l'idea satanica di inoculare nella donna l'invidia per l'uomo sussurrandole all'orecchio l'idea di liberarsi una volta per tutte da queste pesanti catene e di vivere la propria vita liberamente e senza tabù. Ciò che appare veramente incredibile è che tale processo di emancipazione sia sopravvissuto al comunismo stesso che l'ha avviato e che si sia realizzato all'interno di una società liberale e consumista ben lontana dall'ideale socialista. Evidentemente, il comunismo, così come il femminismo, non sono stati nient'altro che marionette nelle mani di forze ben più potenti che da dietro le quinte hanno tirato le fila. Ormai non è un mistero che l'Alta Finanza (le Banche ebraiche Kuhn & Loeb, Schiff, Warburg, ecc...) abbia appoggiato economicamente l'ascesa del comunismo in Russia fornendo i fondi necessari a Lenin. Dobbiamo quindi dedurre che quando i padroni del vapore hanno stretto i legacci della borsa il comunismo è morto. La verità è che l'idea di affrancamento della donna, come mezzo per scristianizzare la società, era già stata espressa tra le mura delle Logge massoniche già nell'Ottocento quando il comunismo non era che una delle tante utopie che popolavano l'Europa dei Lumi.
Ed è la Massoneria, nemica implacabile della Chiesa cattolica e di Nostro Signore Gesù Cristo, che ancora oggi spinge la donna lontano dal suo insostituibile ruolo quale l'ha tracciato il Creatore e Redentore del mondo: quello di sposa fedele e di generosa plasmatrice delle generazioni future.
I Alle sorgenti del femminismo
«L'uomo fà la legge, la donna fà i costumi». Prendiamo in prestito questo assioma da un ministro dell'Istruzione Pubblica dell'inizio del XX secolo, notoriamente massone, particolarmente preoccupato di sottrarre con tutti i mezzi alla Chiesa la formazione delle giovani 2. Aforisma particolarmente appropriato al nostro argomento: non si può infatti abbordare il problema della famiglia senza trovarlo indissolubilmente legato, soprattutto in questi ultimi cento anni, alla questione dell'emancipazione della donna. «Il XVIII secolo è stato il secolo dei Diritti dell'Uomo, il XIX secolo sarà quello dei Diritti della Donna». Così profetizzava Victor Hugo (1802-1885)...
Il «femminismo», come movimento organizzato, è nato sotto la monarchia francese di luglio del 1789. Nel 1791, esso aveva avuto un'esistenza effimera. Alcuni club di donne erano nati sotto l'impulso di Marie-Olympe de Gouges (1748-1793) che aveva pubblicato Les droits de la femme et de la citoyenne («I diritti della donna e della cittadina»). Il 9 brumaio anno II, i club di donne vennero messi al bando e poco dopo Olympe venne ghigliottinata. I suoi giudici avevano pensato - probabilmente come il loro maestro, l'illuminista Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) - che «la donna è fatta per ubbidire; essa deve imparare presto a soffrire, anche l'ingiustizia, e a sopportare i torti di un marito senza lamentarsi». La ben nota misoginia di Napoleone I (1769-1821) traspare nella sua legislazione sull'educazione. La legge del 17 novembre 1797 stabiliva una scuola di ragazze ogni mille abitanti, ma non venne mai messa in vigore 3.
Il colossale edificio che l'impero costruì in materia di educazione, l'Università Imperiale, nato dalle leggi del 1802 e del 1808, non prevedeva nessuna disposizione per le giovani. Napoleone dichiarò al Consiglio di Stato: «Non penso che dobbiamo occuparci dell'istruzione per le ragazze; esse possono essere educate unicamente dalle loro madri». Nella società imperiale, le donne persero il primato che era loro sotto l'Ancien Règime nella vita dello spirito. Un certo Pierre-Sylvain Maréchal (1750-1803), giacobino ed ateo selvaggio, pubblicò un «progetto di legge che vietava alle donne di imparare a leggere». All'inizio del XIX secolo, alcune donne in vista sfuggirono alla tutela imposta dal regime: Madame de Staël-Holstein (1776-1817) diede l'esempio, seguita, sotto l'impulso del Romanticismo, da George Sand (1804-1876), da Marie de Agoult (1805-1876), ecc...
Ma queste donne che osavano sfidare l'opinione pubblica erano isolate. E nemmeno nel clima romantico, i primi socialisti francesi - quelli che Engels qualificò come «utopisti» - come Saint |