III
LA
QUARTA VIA, IL «LAVORO» SU DI SÉ,
LE DANZE
SACRE E LA VITA AL PRIORATO
Secondo Gurdjieff
gli uomini da sempre hanno intrapreso tre vie per acquisire
l'immortalità, ciascuna però incompleta: la
via del fachiro, la via del monaco e la via dello yogi.
«La via del fachiro è quella della lotta
con il corpo fisico, è la via del lavoro sulla prima
stanza ed è lunga, difficile e incerta. Il fachiro si
sforza di sviluppare la volontà fisica, il potere sul
corpo. Egli vi riesce attraverso terribili sofferenze,
torturando il corpo. Tutta la via del fachiro è
fatta di esercizi fisici incredibilmente penosi
[…]. Se non cade ammalato o non muore,
si sviluppa in lui ciò che può essere chiamato volontà
fisica ed egli raggiunge allora la quarta camera, vale a
dire la possibilità di formare il quarto corpo. Ma le altre
sue funzioni, emozionali e intellettuali, rimangono non
sviluppate. Egli ha conquistato la volontà, ma non possiede
niente cui applicarla, non può farne uso per acquistare la
conoscenza o perfezionare se stesso. In generale, è troppo
vecchio per cominciare un lavoro nuovo.
Ma dove
vi sono scuole di fachiri, si trovano pure scuole di yogi.
Generalmente gli yogi non perdono di vista i fachiri. E
allorché un fachiro raggiunge ciò a cui aspirava, prima di
essere troppo vecchio, essi lo prendono in una delle loro
scuole, dove per prima cosa lo curano e ricreano in lui il
potere di movimento, dopo di che incominciano ad istruirlo.
Un fachiro deve imparare di nuovo a parlare e a camminare
come un bimbo piccolo. Ma egli possiede ora una volontà che
ha superato difficoltà incredibili e che potrà aiutarlo a
superare le difficoltà che l'attendono ancora nella seconda
parte del suo cammino, allorché si tratterà di sviluppare le
sue funzioni intellettuali ed emozionali».
«La
seconda è quella del monaco. È la via della fede,
del sentimento religioso e del sacrificio. Un uomo
che non abbia fortissime emozioni religiose e una
immaginazione religiosa molto intensa non può diventare un
"monaco" nel vero senso della parola. Pure la via del monaco
è molto dura e molto lunga. Il monaco passa degli anni,
decine di anni, a lottare contro sé stesso,
ma tutto il suo lavoro è concentrato sulla "seconda
stanza", sul secondo corpo, ossia sui
sentimenti.
Sottomettendo
tutte le altre emozioni a una sola emozione,
la fede, egli sviluppa in sé stesso
l'unità,
la
volontà sulle emozioni, e per questa via egli
raggiunge la quarta stanza. Ma il suo corpo fisico e
le sue capacità intellettuali possono restare non sviluppate.
Per essere in grado di servirsi di ciò che egli avrà
raggiunto, dovrà coltivarsi fisicamente e intellettualmente.
Questo non potrà essere condotto a buon fine se non mediante
nuovi sacrifici, nuove austerità, nuove rinunce.
Un monaco deve ancora
diventare uno yogi e un fachiro.
Rarissimi
sono coloro che arrivano così lontano; più rari sono ancora
coloro che superano tutte le difficoltà. La maggior parte
muoiono prima o non diventano "monaci" che in apparenza».
«La terza via è quella
dello yogi. È la via della conoscenza,
la via dell'intelletto. Lo yogi lavora sulla
"terza stanza" per arrivare a penetrare nella
quarta con i suoi sforzi intellettuali. Lo yogi
riesce a raggiungere la "quarta stanza"
sviluppando il suo intelletto, ma il suo corpo e le
sue emozioni restano da sviluppare e, come il fachiro
e il monaco, egli è incapace di trarre profitto da
ciò che ha realizzato. Egli sa tutto, ma non
può fare nulla. Per diventare capace di fare deve
conquistare il dominio sul suo corpo e sulle sue emozioni,
ossia sulla prima e sulla seconda stanza. Per riuscirvi,
deve rimettersi al lavoro ed egli non otterrà alcun
risultato se non con degli sforzi prolungati. Però in questo
caso ha il vantaggio di comprendere la sua posizione, di
conoscere ciò che gli manca, ciò che deve fare e la
direzione da seguire. Ma, come sulla via del fachiro e del
monaco, rarissimi sono coloro che acquistano una tale
conoscenza sulla via dello yogi, ossia raggiungono il
livello in cui un uomo può sapere dove va. La maggior parte
si arrestano ad un certo grado e non vanno oltre […]». |
Secondo Gurdjieff
queste vie hanno notevoli inconvenienti: non garantiscono il
risultato e inoltre richiedono una completa rinuncia alla propria
vita. Ecco che allora propone come soluzione una «quarta via»:
«Ma tutte le vie, la via del fachiro come le
vie del monaco e dello yogi hanno un punto comune: tutte
incominciano da ciò che vi è di più difficile, un
cambiamento di vita totale, una rinuncia a tutto ciò che è
di questo mondo. Un uomo che ha una casa, una famiglia, deve
abbandonarle, deve rinunciare a tutti i piaceri;
attaccamenti e doveri della vita, e partire per il deserto,
entrare in un monastero o in una scuola di yogi. Fin dal
primo giorno, dai primi passi sulla via egli deve morire al
mondo; soltanto così egli può sperare di raggiungere
qualcosa su una di queste vie. Per cogliere l'essenza di
questo insegnamento, è indispensabile comprendere che le
vie
sono gli
unici
metodi che possono
garantire lo sviluppo delle possibilità nascoste dell'uomo.
Ciò mostra d'altronde come un tale sviluppo sia raro e
difficile. Lo sviluppo di queste possibilità non è una
legge. La legge per l'uomo è una esistenza nel cerchio delle
influenze meccaniche, è lo stato di "uomo macchina". La
via dello sviluppo delle possibilità nascoste è una via
contro la natura, contro Dio.
Ciò spiega le difficoltà e il carattere esclusivo delle vie.
Esse sono ardue e strette. Ma al tempo stesso nulla potrebbe
esser raggiunto senza di esse. Nell'oceano della vita
ordinaria, e specialmente della vita moderna, le vie sono un
fenomeno piccolo, appena percettibile, che, dal punto di
vista della vita stessa, non ha la minima ragione d'essere.
Ma questo piccolo fenomeno contiene in sé stesso
tutto
ciò di cui l'uomo può
disporre per lo sviluppo delle sue possibilità nascoste. Le
vie si oppongono alla vita di tutti i giorni, basata su
altri principî e assoggettata ad altre leggi. In ciò
consiste il loro potere e il loro significato. In una vita
ordinaria, per quanto colma di interessi filosofici,
scientifici, religiosi o sociali, non vi è nulla e
non può esservi
nulla
che offra le possibilità contenute nelle
vie. Infatti, esse conducono o potrebbero condurre l'uomo
all'immortalità. La vita mondana, anche la più riuscita,
conduce alla morte e non potrebbe condurre a nient'altro.
L'idea delle vie non può essere compresa, se si ammette la
possibilità di un'evoluzione dell'uomo senza il loro aiuto
[…]. Infine dall'"occultismo" o
dallo "spiritismo" non c'è altro da aspettarsi che qualche
ingenua esperienza.
E la
situazione sarebbe veramente disperata se non esistesse
un'altra possibilità, quella di una
quarta via».
«La
quarta via non richiede che ci si ritiri dal mondo,
non esige la rinuncia a tutto ciò che formava la nostra vita.
Essa comincia molto più lontano che non la via dello yogi.
Ciò significa che bisogna essere preparati per impegnarsi
sulla quarta via e che questa preparazione deve essere
acquisita nella vita ordinaria, essere molto seria e
abbracciare parecchi aspetti differenti. Inoltre un uomo che
vuole seguire la quarta via deve riunire nella sua vita
condizioni favorevoli al lavoro, o che in ogni caso non lo
rendano impossibile. Infatti, bisogna convincersi che sia
nella vita esteriore che nella vita interiore di un uomo,
certe condizioni possono costituire per la quarta via
barriere insormontabili. Aggiungiamo che questa via,
contrariamente a quella del fachiro, del monaco e dello yogi,
non ha una forma definita. Prima di tutto essa
deve
essere trovata.
È la prima prova. Ed è difficile, poiché la quarta via è ben
lontana dall'essere conosciuta quanto le altre tre vie
tradizionali. C'è molta gente che non ne ha mai sentito
parlare e altri che negano semplicemente la sua esistenza o
anche la sua possibilità. Tuttavia, l'inizio della
quarta via è ben più facile dell'inizio delle vie del
fachiro, del monaco e dello yogi. È possibile
seguire la quarta via e lavorare su di essa rimanendo nelle
condizioni abituali di vita e continuando il lavoro usuale,
senza rompere le relazioni che si avevano con la gente,
senza abbandonare nulla. Anzi, le
condizioni di vita nelle quali un uomo si trova quando
inizia il lavoro - dove il lavoro, per così dire, lo
sorprende - sono le
migliori possibili
per lui,
perlomeno all'inizio. Infatti, queste
condizioni gli sono naturali. Esse sono quell'uomo
stesso, poiché la vita di un uomo e le sue condizioni
corrispondono a ciò che egli è.
La vita le ha create sulla sua misura; di conseguenza ogni
altra condizione sarebbe artificiale e il lavoro non
potrebbe, in questo caso, toccare contemporaneamente tutti i
lati del suo essere. Così, la quarta via tocca tutti i lati
dell'essere umano simultaneamente. È il lavoro sulle tre
camere contemporaneamente […].
La quarta via differisce dunque dalle altre in quanto la
sua principale richiesta è una richiesta di comprensione.
L'uomo non deve fare nulla senza comprendere -
salvo a titolo di esperienza, sotto il controllo e la
direzione del suo maestro. Più un uomo comprenderà quello
che fa, più i risultati dei suoi sforzi saranno
validi. È un principio fondamentale della quarta via.
I risultati ottenuti nel lavoro sono
proporzionali alla
coscienza che si ha di questo lavoro. La "fede"
non è richiesta su questa via; al contrario,
la fede di qualsiasi tipo costituisce un ostacolo.
Sulla quarta via un uomo deve assicurarsi da sé della verità
di ciò che gli viene detto. E fin quando non avrà acquisito
questa certezza, non deve fare nulla.
Il metodo
della quarta via è il seguente: se si comincia un lavoro su
una camera, un lavoro corrispondente deve essere intrapreso
simultaneamente sulle altre due; ossia, mentre si lavora sul
corpo fisico, bisogna lavorare simultaneamente sul pensiero
e sulle emozioni; lavorando sul pensiero, bisogna lavorare
sul corpo fisico e sulle emozioni; mentre si lavora sulle
emozioni, occorre lavorare sul pensiero e sul corpo fisico.
Ciò che permette di riuscire è la possibilità, nella quarta
via, di fare uso di un sapere particolare, inaccessibile
nelle vie del fachiro, del monaco e dello yogi. Questo
sapere rende possibile un lavoro simultaneo nelle tre
direzioni. Tutta una serie di esercizi paralleli sui tre
piani: fisico, mentale ed emozionale,
servono a questo scopo. Inoltre, nella quarta via è
possibile individualizzare il lavoro di ciascuno; vale a
dire, ogni persona deve fare solo ciò che gli è necessario e
nulla che sia inutile per lui. Infatti, la quarta via fa a
meno di tutto il superfluo che si è mantenuto per tradizione
nelle altre vie. Così, allorché un uomo raggiunge la volontà
mediante la quarta via, egli può servirsene, poiché ha
acquistato il controllo di tutte le sue funzioni fisiche,
emozionali ed intellettuali. Egli ha risparmiato per giunta
molto tempo con questo lavoro simultaneo e parallelo sui tre
lati del suo essere. La quarta via
è talvolta chiamata la via
dell'uomo astuto. L'"uomo astuto"
conosce un segreto che il fachiro, il monaco e lo
yogi non conoscono. In che modo l'"uomo astuto" abbia
appreso questo segreto - non si sa. Forse l'ha trovato in
qualche vecchio libro, forse l'ha ereditato, forse l'ha
comperato, forse l'ha rubato a qualcuno. Fa lo stesso.
L'"uomo astuto" conosce il segreto, e con il suo aiuto
supera il fachiro, il monaco, lo yogi»
17. |
Così esposta la
Quarta Via sembra in qualche modo seducente, ma
vedremo più avanti che le cose non stanno affatto così. Gurdjieff non si limitava però ad insegnare ai suoi
discepoli questa specie di filosofia, ma nei suoi corsi al Priorato
dava loro anche una serie di esercizi pratici da svolgere in
gruppo: auto-osservazione, movimenti particolari e a volte delle
vere e
proprie danze, utili per ottenere il «ricordo di sé» e quindi
il risveglio. Tutto questo avveniva costringendo il corpo e la mente
ad andare contro le proprie abitudini e inclinazioni. Per far
conoscere la sua attività Gurdjieff, al suo arrivo in Occidente,
organizzò tutta una serie di incontri pubblici dove venne data una
dimostrazione di queste «danze sacre», con le relative
spiegazioni, in modo da attrarre nuovi adepti. L'impressione che
questi eventi ebbero sull'élite intellettuale europea e
americana fu notevole e la curiosità spinse molti a lasciare la
propria attività per intraprendere l'Insegnamento. Le cronache che
riportano questi eventi sono molto eloquenti:
«Nell'aprile
del 1924, a New York, Raymond G. Carroll, un giornalista del
New
Evening Post,
segnalava che la
prima dimostrazione americana dell'Istituto Gurdjieff era stata data
da un gruppo di discepoli venuti da Fontainebleau e diretti dal
professor Gurdjieff in persona, in una sala del West End di New
York. E scriveva: "All'inizio ci,
sono state danze eseguite da un gruppo d'uomini e di donne vestiti
di costumi molto ampi e calzati di morbidi sandali. Era uno
spettacolo veramente fantastico, perché ciascuno danzava in modo
diverso. Un'orchestra, diretta da un uomo di nome Hardman
(evidente corruzione di Hartmann) predominavano i suoni di un
tamburo. I movimenti
erano simbolici,
ma non sensuali, poiché sembra che ci troviamo di fronte a
manifestazioni di un culto nel quale non figura affatto la
sensualità. È impossibile
descrivere queste danze, che sembrano appartenere alle antiche
religioni. Una signora ha spiegato che un tempo le danze avevano lo
scopo di fare compiere all'essere autentici atti di grazia di lode o
di supplica. A questo proposito ci è stata presentata "la danza
vorticosa del derviscio", che potrebbe essere un numero sensazionale
del circo Barnum & Bailey. Gurdjieff
dirigeva i danzatori; dava loro il segnale di inizio agitando le
braccia, e li interrompeva bruscamente. Allora i danzatori
conservavano l’equilibrio nella posizione in cui li aveva fermati il
loro capo, come se fossero statue di legno. Sembravano sotto l'incantesimo di un potere
ipnotico. La musica è
una specie di jazz spinto all'estremo. Le armonie e le melodie sono
state trascritte da Hardman (de Hartmann) secondo le indicazioni di Gurdjieff, che le ha imparate a memoria dopo averle ascoltate in
vari monasteri e presso varie sette dell'Oriente, durante la sua
"ricerca della verità!". Gurdjieff
afferma che queste musiche risalgono alla più remota antichità e che
sono state tramandate dalle iscrizioni di certi templi. La conclusione
del programma era dedicata ad una dimostrazione di vari trucchi (per
metà trucchi, per metà fenomeni autentici) che derivano da cerimonie
religiose e che sono fondati soprattutto sull'ipnotismo e sul
magnetismo».
Sopra: danze sacre
gurdjieffiane.
In questo periodo, l'Insegnamento di
Gurdjieff esce quindi dalle ristrettissime cerchie di iniziati entro
cui era rimasto fino ad allora, come racconta Pauwels.
«Così, per mezzo
delle singolari manifestazioni pubbliche di Parigi e di New York, si
accendeva l'attenzione degli intellettuali francesi e americani.
Intanto, Ouspensky continuava a Londra una serie di conferenze sulle
teorie e sui metodi appresi da Gurdjieff, che attiravano scrittori,
artisti, psicologi e gente del bel mondo. L'intelligenzia
occidentale, in poco più di un anno, era stata letteralmente
inquietata da Gurdjieff. Le danze e i movimenti erano soltanto
l'aspetto esteriore del lavoro che veniva compiuto nel Priorato d'Avon.
Avevano fatto di tutto per battere la grancassa, attorno a questi
esercizi, per commentarli in modo ambiguo e confuso, per "mettere la
pulce nell'orecchio". In effetti, si trattava soltanto di "mettere
la pulce nell'orecchio". A Gurdjieff importava poco il successo
materiale, e aveva organizzato le sue "sedute" senza badare a spese.
Durante le due ore della dimostrazione, nel teatro degli Champs
Elysées scorreva una fontana di profumi. Nel 1917,
Gurdjieff aveva rinunciato a lavorare in segreto in compagnia di
pochi discepoli reclutati con la massima cura. Aveva deciso
di turbare lo spirito occidentale, assopito tra gli innumerevoli
conformismi, anche a costo di organizzare una specie di parata da
circo equestre, anche a costo di impugnare il megafono
dell'imbonitore. Aveva deciso, per qualche tempo, di compiere una
azione provocatoria.
Certamente, come
dice Ouspensky, dietro quelle manifestazioni clamorose c'era ancora
la stessa ricerca esoterica dei tempi dei viaggi in Asia e
dell'Insegnamento clandestino nella casetta di Essentuki. Ma era
cambiato il metodo, diventato la caricatura d'una
ricerca che sembra esigere, invece, il segreto.
Spesso il segreto e l'imbonimento si mescolavano, nelle azioni di
Gurdjieff, provocando una grande confusione tra i suoi vecchi
discepoli e incantando un gran numero d'intellettuali occidentali
che i modi della conoscenza della civiltà moderna, alla fine della
guerra, lasciavano tuttora assetati. Io ho praticato certi movimenti
identici a quelli che furono presentati al grande pubblico
intellettuale di Parigi e di New York a quell'epoca. E so quali
sforzi richiedevano. Sono il risultato d'una specie di
crocifissione dell'essere. Immaginate di compiere, con
ciascuna delle vostre membra, movimenti che si contraddicono tra
loro. Questo è già molto difficile, e presuppone una certa
padronanza del corpo. Immaginate che, nello stesso istante,
per dare un ritmo a questi movimenti, vi dedichiate a un calcolo
mentale estremamente complicato e che ripugna alla vostra conoscenza
dell'aritmetica comune (un calcolo in cui uno più uno fa tre,
due più due fa cinque, tre più tre fa sette con addizioni e
sottrazioni su questa base assurda); e il minimo sbaglio rischia di
distruggere l'insieme della coreografia. Immaginate, infine, che
nello stesso istante tutte le vostre facoltà sentimentali debbano
essere fissate su un dato tema di cui dovete provare, a fondo,
il valore emotivo (dite, per esempio, dentro di voi: "Mio
Dio, abbi pietà"!, e sentite ciò che dite) e avrete una visione
approssimativa del "lavoro" rappresentato da quelle danze,
accompagnate da una musica di cui bisogna interpretare ogni singola
nota, secondo i riferimenti alle più alte tradizioni religiose, come
simbolo d'una delle tante situazioni dell'essere nel cosmo.
Uscivamo da quelle sedute fiaccati e stranamente liberati dal nostro
io comune, resi straordinariamente permeabili a "qualcosa
d'altro", e come pervasi da una libertà divina.
Eravamo, per essere esatti, letteralmente
disumanizzati. Conosco una donna che non "riconosceva"
più il marito quando tornava da una di queste "sedute" e, come
se fosse abbandonata, come se fosse vedova, andava piangere in
camera sua, poi tornava indietro e sbirciava dalla fessura della
porta, aspettando che il marito "ritornasse" […].
Io volevo solo far
capire , in questa sede, che l’interesse suscitato dagli spettacoli
di Parigi e di New York non era causato soltanto dal carattere
insolito delle danze che venivano presentate. Gli spettatori più
intelligenti intuivano, al di là di quelle danze, un metodo di
atomizzazione dei fondamenti della psicologia classica e una
clamorosa testimonianza di rivolta contro quella che noi, in
Occidente, chiamiamo abusivamente "la persona umana",
è questo che destava la curiosità appassionata di tanti spiriti
elevati verso ciò che accadeva al Priorato di Avon»
18. |
In rete vi sono vari filmati che mostrano i movimenti e le «danze
sacre» di Gurdjieff (sacre perché Gurdjieff affermava di averle
apprese in alcuni monasteri dell'Oriente). In effetti, alcune di
queste possono essere anche suggestive dal punto di vista
coreografico, ma per chi le compie lo sforzo è immane. Qui ne
presentiamo solo qualcuna per renderne l'idea, presa da un estratto
del film di Peter Brook intitolato Meetings With
Remarkable Men:
Ancora più dettagliata è la
testimonianza di Frances Rudolph, giovane americana che, dopo gli
studi al college, nei primi anni '50 assieme alla sua amica Patricia
Maguire entrò nei gruppi di Gurdjieff (poco dopo la morte del
«maestro», sotto la direzione della signora de Salzmann). (N.B. : i
nomi dei vari personaggi sono nomi di fantasia):
«Non riesco
a ricordare come s'insegna "l'esercizio della sensazione",
comunque quello fu il mio lavoro del mese di giugno e di
tutta l'estate seguente. È chiaro che l'insegnante era la
signora Blank. Gli esercizi cominciarono poco dopo
l'incidente nella sua camera da letto. (Lasciatemi dire, per
spiegare questa sorprendente perdita di memoria, che io non
sono né distratta né smemorata. C'è un'altra causa che ho
già ricordato, e quella causa si faceva più forte ogni volta
che facevo gli "E.S.", o esercizi di sensazione.) L'E.S.
costituiva, insieme ai movimenti, ciò che veniva chiamato
lavoro. V'erano alcuni aspetti minori dell'E.S., come
fissare l'attenzione su una certa parte del corpo, per
esempio, "avere la sensazione" del braccio destro o del
braccio sinistro. C'erano anche numerosi esercizi
preparatori, come quello di rendersi conto, ogni volta che
si entrava dalla porta. Gli esercizi di questo tipo erano
innumerevoli. Ma avevano tutti lo stesso scopo:
giungere a quel grado di "attenzione" che era
necessario per fare gli importantissimi E.S.
Importantissimi, in realtà, perché,
secondo me, erano uno dei mezzi più efficaci di
autoipnotismo. Poiché non sapevo assolutamente nulla di
quella scienza che Gurdjieff chiamava "Mehkeness", e
poiché avevo commesso il terribile errore di non leggere mai
seriamente quello che diceva in proposito (e aveva molte
cose da dire), feci l'E.S. quasi quotidianamente, spesso
anche due volte al giorno, dal maggio al settembre 1951, e
dal gennaio 1952 al gennaio 1953. Ho smesso quando mi
sono resa conto di stare per morire.
Contemporaneamente all'educazione delle sensazioni
avevamo incominciato anche i movimenti. Una volta la
settimana, andavamo alla Sala Pleyel dove, con le gambe
incrociate sul pavimento, la gamba destra ripiegata sulla
sinistra, il dorso e la testa bene eretti, guardando dritto
davanti a noi, le mani sulle ginocchia, stavamo seduti il
più possibile immobili, in venticinque file di otto. Ogni
volta riprendevamo lo stesso posto. Per dieci o quindici
minuti tenevamo le gambe incrociate, facendo l'educazione
delle sensazioni, come preparazione ai movimenti. (Non
poteva esserci una preparazione migliore ai movimenti che
non avremmo potuto eseguire se fossimo stati in uno stato di
coscienza normale.) L'educazione delle sensazioni
consisteva in una decontrazione totale del braccio destro,
poi della gamba destra, poi della gamba sinistra e
del braccio sinistro, e poi del collo, della
testa, della schiena e di tutto il corpo. Quando
si decontraeva ogni parte del corpo, a turno, sempre da
destra a sinistra, si concentrava l'attenzione su di essa.
Quando non si riusciva più a continuare, si spostava
l'attenzione sulla parte seguente. Comincio con il braccio
destro. Lo sento. Sono più là che in qualsiasi altra parte
del mio corpo. Mi sforzo di spingere la mia coscienza dai
muscoli fino al midollo delle ossa. Provo, provo, provo, ma
fingendo sempre di non farlo... una lotta disperata, in cui
mi è proibito lottare. Quando sono scesa il più
profondamente possibile nel mio braccio, e posso avere una
sensazione eguale dalla spalla fino alla punta delle dita,
allora, sempre cercando di mantenere questa sensazione,
tento di aggiungervi la sensazione della gamba destra, e via
di seguito, fino a quando avrò in tutto il mio corpo una
sensazione equilibrata, distribuita in modo eguale. Ecco la
descrizione della tecnica dell'E.S. I risultati potevano
essere soltanto provati, e per arrivare a questo sono
necessari mesi e mesi di lavoro, ma non consiglierei a
nessuno di tentare. Nelle lezioni di movimento, l'E.S. si
faceva sempre da seduti, con le gambe incrociate per terra,
ma quella posizione non era obbligatoria. Lo si poteva fare
anche in una comodissima poltrona. Era necessario soltanto
assumere ogni volta la stessa posizione, mantenere dorso e
testa bene eretti, guardare davanti a sé, senza chiudere gli
occhi e, sempre e soprattutto, andare da destra a sinistra,
cioè in senso contrario alla circolazione del sangue.
La classe
dei primi movimenti in cui entrai, doveva lavorare almeno da
un anno. Era diretta dalla signora Blank. Come un
anatroccolo malleabile, mi agitavo e mi sforzavo invano di
fare come gli altri. La posizione a gambe incrociate mi
sembrava abbastanza atroce. Tutti i miei muscoli indolenziti
imploravano di potersi muovere. Il mio corpo era madido di
sudore, il mio volto si contorceva, i miei occhi si
riempivano di lacrime, mentre lottavo per restare immobile.
In quanto ai movimenti, i miei tentativi d'eseguirli erano
grotteschi. Non riuscivo a ricordare una serie rapida se non
con la più grande difficoltà. Ogni movimento era distinto da
un nome o da un numero, come "i primi obbligatori", "i
secondi obbligatori", "il conto", "la preghiera", "il numero
due", "il numero quattro", "il numero ventidue" e cosi via.
Erano tutti accompagnati da una musica speciale. Spesso
contavamo a voce alta, o dicevamo delle parole su di un
certo ritmo. La prima volta che ci fecero ripetere delle
parole mentre eseguivamo i movimenti, qualcosa si ribellò
dentro di me. Non potevo pronunciare parole di cui non
comprendevo il significato. Le parole erano qualcosa di
questo genere: "Voglio lavorare, obbedire,
sopportare, soffrire, divenire".
"Che cosa
e
perché"?, mi domandavo. Per me, era come pregare senza
comprendere la preghiera. Per quel che ne so, potevo anche
pregare il dio del male. Non potevo dire quelle parole.
Facevo soltanto i movimenti che potevo fare (e durante tutto
il mese di giugno furono movimenti solo. con i piedi o con
le mani, o solo con la testa), mai tutti e tre insieme. Non
volevo parlare. Quando dissi a Pat ciò che provavo
pronunciando parole che non capivo, lei mi guardò con,
disprezzo, come se soltanto un'idiota potesse tormentarsi
per ciò che non poteva comprendere, quando era evidente che
una macchina non può comprendere tutto. Per prima cosa, era
necessario cambiare In seguito, avrei compreso. Ma questa
non é forse fede? Avevo letto che, nella quarta via,
la fede non era necessaria. A quell'epoca, ero soltanto
un'esordiente, nei, movimenti, poiché li facevo da poco più
di un mese. Più tardi, l’anno dopo , dovevo perdere tutti
gli scrupoli che mi impedivano di non fare ciò che non
capivo. L'anatroccolo goffo e sgraziato si era trasformato
in un adepto capace di eseguire i movimenti più complicati,
su ritmi difficili, calcoli e successioni di parole in
ordine diretto o rovesciato. Non avrei mai immaginato che
io, Frances, alla quale il mondo dei numeri sembrava vietato
per sempre, avrei saputo contare 1 2 3 4 – 4 3 2 1 – 3 4 5 6
- 6 5 4 3 – 5 6 7 8 – 8 7 6 5 – 7 8 9 10 – 10 9 8 7 – 9 10
11 12 – 12 11 10 9, e via di seguito, facendo
contemporaneamente movimenti con le braccia, con le gambe e
con la testa...
Ma grazie
alle condizioni particolari che. regnavano nelle classi di
movimenti, come un autentico derviscio riuscivo a compiere
il miracolo di muovermi e di contare; e nella mia classe
tutti erano già cosi. E quella classe non era altro che un
asilo infantile.
Vorrei
cercare di fare una descrizione completa dei movimenti, che
sono molto interessanti, ma benché li abbia annotati tutti e
li possa leggere, sento che non potrei spiegarli senza
l'aiuto di diagrammi o di fotografie, o, meglio, di film.
Comunque, anche un film, come quello girato da Zuber, dà
un’idea del tutto insufficiente di ciò che sono i movimenti.
Lo schermo non può rendere l'atmosfera del luogo in cui i
movimenti vengono presentati: un’atmosfera creata
da file e file di persone ipnotizzate che si muovono avanti
e indietro, verso destra e verso sinistra,
circolarmente, come guidate da un solo corpo,
da un solo cuore, da un solo cervello, quello
del maestro che le ha fatte precipitare nel sonno e che le
ha addestrate a recitare per lui. Agli estranei che
osservavano quei movimenti, coloro che vi prendono parte
devono apparire, per lo meno, estremamente eccentrici.
Comunque
molti movimenti sono assai belli e, presi come danze,
gradevoli da eseguire. Gli insegnanti li eseguivano tutti
con una grazia ed una bravura meravigliose»
19. |
Ma come si svolgeva la vita al
Prieurè? Si può farsene un'idea grazie anche ad un resoconto
pubblicato nel 1924, un mese dopo gli eventi americani, sulla
rivista newyorkese The Century. L'autore dello studio, G.
E. Bechhofer, aveva conosciuto Gurdjieff già all'epoca
di Tiflis.
«Già a
quell'epoca esigeva e otteneva un'obbedienza assoluta da
ciascuno dei suoi allievi. Le sue parole facevano testo:
regnava come un tiranno tra schiavi devoti... Mi sembra
che non sia cambiato nulla dai giorni di Tiflis all'attuale
magnificenza di Fointainebleau. L'iniziativa, adesso, è su
di una scala enormemente più grande, il numero degli allievi
è maggiore, si lavora su di un piano più esteso, e Ouspensky
tiene lezioni semipubbliche che attirano all'Istituto molti
estranei. Ma per chi, come me, ha conosciuto il piccolo
Istituto di Tiflis, a Fointainebleau c'è ben poco di nuovo
[…].
Dopo molte
ricerche, scoprì il Priorato d'Avon, nei pressi di
Fontainebleau, a trenta miglia da Parigi. È una grande casa
antica, dove aveva abitato, un tempo, una favorita reale, e
più tardi l'avvocato di Dreyfus. La proprietà fu comprata
appunto da quest'ultimo. È composta dal Priorato vero e
proprio, grandi giardini e da parecchi ettari di bosco, e si
trova in una magnifica valle, al limitare della foresta. La
colonia vi si installò, mentre Gurdjieff si recava a Londra
per ispezionare i discepoli raccolti da Ouspensky. Dovette
far loro un effetto strano: parlava loro in un russo
esitante ma imperioso, e li trattava con un evidente
atteggiamento di superiorità. Tuttavia lo accettarono subito
come l'esponente di un mondo psichico superiore, che viveva
su di un piano di coscienza molto al di sopra di loro.
Molti vendettero tutto ciò che possedevano, donarono
il ricavato della vendita all'Istituto, e si
prepararono a seguirlo a Fontainebleau. Tra loro, c'erano
due psicanalisti che avevano una clientela molto vasta.
Un editore abbandonò il suo lavoro, vendette la parte
del giornale che possedeva e donò il ricavato alla causa
20. Altri fecero donazioni a
seconda delle loro possibilità: in un paio di casi,
si trattò di somme considerevoli. A piccoli gruppi
emigrarono verso l'Istituto. Erano tutti
convinti di sfiorare la soglia d'una nuova visione
che li avrebbe innalzati al di sopra dei limiti della
coscienza morale, erano certi di diventare esseri d'un
ordine superiore. Così, alla fine del 1922,
si aprì a Fontainebleau l'Istituto per lo sviluppo
armonioso dell'Uomo, con sessanta o settanta
discepoli. Di questi, circa la metà erano russi di Tiflis e
di Costantinopoli, uomini, donne e bambini. Altri erano
russi di Berlino e di Londra, rovinati dalla Rivoluzione;
benché fossero attratti da tutte le cose mistiche, si
rendevano conto che la vita nell'Istituto non era,
probabilmente, meno comoda di quella degli emigranti russi.
Quasi tutti
gli altri erano inglesi. Se non ricordo male, le due sole
francesi della colonia erano le mogli di un allievo inglese
e di un allievo russo. Sembrava che nessun francese avesse
raccolto l'appello della nuova legge. Gli abitanti di Avon
accettavano l'Istituto come una fonte di introiti, ma ne
parlavano come di una "gabbia di matti". Tanto fra gli
inglesi quanto fra i russi predominavano le donne, quasi
tutte del tipo "teosofico". Tra gli uomini, i più
notevoli erano l'editore, i due psicanalisti e due
funzionari. C'erano anche alcuni giovani, pazienti degli
psicanalisti che avevano suggerito loro una visita
all'Istituto […].
Poiché la
via che conduce a questo risultato passa attraverso
l'osservazione e la conoscenza di sé, Gurdjieff fa in modo
che ciascuno possa osservarsi continuamente in condizioni
variabili. Perciò obbliga i suoi intellettuali a svolgere
duri lavori manuali, perché possano osservarsi
durante questo sforzo insolito. Se un muratore entrasse a far parte
della colonia del discepolo, probabilmente verrebbe invitato
alla lettura, o costretto a non fare nulla, per potersi
osservare in questa situazione insolita. Gurdjieff comincia
con lo spezzare le vostre abitudini, cioè i più forti legami
meccanici cui siete sottomessi. Dice che più l'abitudine è
insignificante, più è difficile liberarsene. E ci riesce,
mostrandovi le vostre abitudini particolari e rendendovene
consapevoli.
L'editore, tanto per darvi un esempio, era un fumatore
inveterato. Gurdjieff gli vietò subito il tabacco. Se
qualcuno esprime una preferenza per gli alimenti dolci, lo
sottopone subito ad una dieta priva di zuccheri o gli dà
cibi esclusivamente zuccherati, fino a quando quello si
ammala. In questo modo e, naturalmente, anche con molti
altri mezzi più sottili, Gurdjieff cerca d'insegnare ai
suoi allievi come respingere le abitudini per diventare
sempre più padroni di sé stessi.
Quanto tempo occorre perché il discepolo raggiunga la
padronanza di sé stesso, la conoscenza di sé e la percezione
della quarta dimensione del suo essere? Dipende dalla
capacità innata del soggetto e dalla misura in cui permette
a Gurdjieff di aiutarlo.
Bisogna abbattere tutte le barriere personali. Se un uomo è
orgoglioso, Gurdjieff lo umilia deliberatamente davanti a
tutti gli altri allievi. Se ha qualche affetto o qualche
avversione particolare, deve distruggerli. C'è per esempio
un uomo, all'Istituto, che, quando vi era entrato, non
poteva sopportare la vista del sangue. Fu subito incaricato
di uccidere gli animali destinati alla cucina. C'è. poi un
altro metodo che Gurdjieff usa per favorire l’armonia dei
centri: la danza. Cerca d'insegnare agli allievi come
diventare coscienti del loro corpo e del loro spirito e, per
mezzo degli esercizi ritmici e delle danze, essi imparano
come corpo e spirito siano legati intimamente. È per questa
ragione che l’Istituto dedica molto tempo ai balletti e alla
danza di gruppo, come pure agli esercizi fisici.
In sostanza,
il primo scopo dell'Istituto è quello di spezzare le
barriere artificiali della personalità. Allora
diventa possibile sviluppare e armonizzare i vari centri
mentali e fisici. I mezzi usati sono l'osservazione di sé,
un corso pratico di danza, esercizi manuali e fisici,
analisi psichiche d'ogni genere e una serie di test mentali
e fisici applicati da Gurdjieff caso per caso.
Sul plano
della coscienza della quarta dimensione (noi viviamo sempre
su! piano della terza dimensione) l'uomo armonizzato può
continuare a svilupparsi, acquisendo il controllo dei nuovi
centri psichici [...].
Per l'uomo
della quarta dimensione, tutti i problemi sono chiari,
perché il suo spirito è contemporaneamente cosciente della
causa e dell’effetto. Per questa ragione, il suo potere
sulle cose e sugli uomini è infinitamente superiore a quello
del più potente tra gli uomini normali. Come possiamo
noi, persone normali, giungere a questo stato straordinario?
Possiamo giungervi osservando noi stessi nella solitudine
della nostra stanza? No. Anzi, può essere pericoloso. Perché
il tentativo di cambiare radicalmente il lavoro del proprio
meccanismo mentale può produrre risultati imprevedibili:
come se si cercasse di cambiare, diciamo, il funzionamento
d'una macchina a combustione interna senza capirne nulla.
È quindi necessario che il lavoro d'armonizzazione di
sé venga intrapreso sotto lo sguardo d'un maestro che
ha imparato, nelle scuole occulte dell’Oriente,
a diagnosticare e a correggere i difetti di questa macchina
umana. Questa, secondo Gurdjieff, è la ragione
dell'esistenza dell'Istituto [...].
È forse
utile illustrare l'attuazione pratica di queste idee
descrivendo una giornata a Fontainebleau. I pensionanti si
svegliano alle otto o alle nove. È un'ora piuttosto tarda,
per una vita monacale, ma bisogna ricordare che si sono
addormentati alle quattro o alle cinque del mattino. Secondo
Gurdjieff, delle sette od otto ore di sonno abituali per un
uomo normale, almeno la metà è sprecata nel pre-sonno,
mentre il solo periodo che conta è quello del sonno
profondo. È possibile ottenere subito il sonno profondo se
ci si corica al momento estremo della stanchezza. Restereste
sbalorditi nel vedere la nudità delle camere. I letti sono
duri giacigli (parlo naturalmente di quelli dei coloni, non
di quello di Gurdjieff), con due o tre coperte grossolane.
C'è qualche fuoco acceso, ma i camini sono quasi
inutilizzabili, e il combustibile scarseggia. Nei corridoi,
qualche volta, ci sono uno o due bracieri accesi, ma il
Priorato resta umido e freddo anche nei mesi più duri
dell'anno.
Qualche
volta c'è un tappeto sul pavimento; due sedie barcollanti e
un pezzo di specchio completano di solito l’arredamento
della stanza. All'Istituto non si cercano le comodità. I due
o tre occupanti della stanza indossano gli abiti che si
erano tolti per dormire e scendono, ancora insonnoliti, per
mettersi al lavoro. Alcuni devono curare i maiali, le mucche
o le pecore o altri animali acquistati recentemente da
Gurdjieff (fra parentesi, dobbiamo ricordare che qui gli
animali non se la passano bene: può darsi che l'Istituto
sappia dare il benessere fisico, morale e psichico agli
esseri umani, ma non è in grado di tenere in buone
condizioni gli animali), altri devono trasportare pietre da
una parte all’altra della proprietà.
Oppure,
possono essere impegnati nella costruzione di un muro per un
nuovo edificio ideato da Gurdjieff: un teatro, un bagno
turco, o un nuovo porcile. Ci sono sempre edifici nuovi in
corso di costruzione. Mi ricordo che, durante il soggiorno
di Katherine Mansfield, Gurdjieff propose di costruire un
ballatoio nella stalla, perché la scrittrice potesse
sdraiarsi e respirare l'odore delle mucche che, ci
assicurava, avrebbe potuto aiutarla a guarire dalla
tubercolosi.
Oppure, i
discepoli possono venire incaricati di pulire le stalle o il
pollaio. Oppure debbono tagliare gli alberi, o riparare una
fontana. Uno di loro può essere scelto per fare lo sguattero
o il cameriere del refettorio. Le donne hanno un loro
refettorio, e vi lavorano a turno [...].
Finalmente,
a mezzogiorno, c'è il pranzo. I lavoratori si mettono in
fila e vanno al refettorio. Il pasto è composto da un solo
piatto: una minestra con un po' di farina d'avena, servita
in abbondanza. Quando ho mangiato al Priorato, ho condiviso
il cibo di Gurdjieff nella vecchia, comoda cucina
dell'Istituto. Posso quindi parlare della qualità della
minestra degli allievi. Qualche favorito ha diritto a un
boccone di budino di riso o a qualche altra leccornia del
genere. Sono rimasto impressionato, nel refettorio, dalle
occhiate avide lanciate dagli altri ai favoriti. Mi sembrava
di essere tornato a scuola, con la differenza che io ero lo
zio, e gli altri erano i bambini. Certe volte, naturalmente,
Gurdjieff ordina a qualche allievo di digiunare. In questo
caso, essi continuano a lavorare, ma non prendono cibo
durante tutto il tempo (giorni o settimane) che Gurdjieff
considera necessario.
Dopo il
pranzo, un breve riposo, poi si riprende. Il lavoro fino a
sera; allora, ad eccezione di coloro che sono. di servizio,
i coloni si ritirano nelle loro stanze fino a quando
incominciano le danze. Alle nove o alle dieci, si riuniscono
nella sala più grande del Priorato e si dedicano a lunghe
serie di esercizi che vengono ripetuti con monotonia per
mesi e mesi e, nel caso di superstiti di Tiflis, per anni e
anni. Qualche volta, ma molto di rado, Gurdjieff cambia
programma. Tiene una conferenza, o meglio risponde in modo
più o meno evasivo alle domande che gli vengono rivolte
dagli allievi curiosi o scettici.
Le danze
sono di due specie: esercizi o balletti. I primi consistono
di vari movimenti degli arti e in certe prove di resistenza
come camminare attorno a una stanza con le braccia tese,
cosa che alcuni riescono a fare anche per un'ora, senza
fermarsi mai. Altri esercizi derivano dal metodo Dalcroze.
Proprio nel bel mezzo d'un movimento complicato, Gurdjieff
grida improvvisamente "stop". Immediatamente gli esecutori
si immobilizzano nell'atteggiamento di quell'attimo, senza
badare alla fatica, e rimangono così fino a quando non
ricevono l’ordine di riprendere il movimento. Questo,
naturalmente, ha lo scopo di permettere a ciascuno di
osservare se stesso in azione. Un altro esercizio comporta
il movimento fisico abbinato all'aritmetica mentale. I
progressi spirituali dipendono in buona misura dalla pratica
di questi esercizi.
I balletti
sono, in generale, riproduzioni di danze sacre orientali.
Perciò ogni balletto ha, secondo Gurdjieff un significato
segreto che non è comprensibile ai non iniziati. Dicono che
Gurdjieff ha veduto e studiato queste danze durante i suoi
viaggi in Oriente, e che le riproduce esattamente come le ha
viste e con la musica originale, suonata da un musicista
russo, Hardman (de Hartmann), fedelissimo al maestro fin dai
tempi di Tiflis [...]. Il lavoro si conclude la sera,
a Fontainebleau, con una ripetizione degli esercizi e di
alcune danze; poi i coloni, stanchissimi, vanno a dormire»
21. |
Note
17
Cfr. P. D. Ouspensky,
op. cit., pagg. 54-59.
18
Cfr. L. Pauwels,
op. cit., pagg. 140-142.
19
Ibid., pagg. 331-334.
20
Qui probabilmente allude ad Alfred Orage.
21
Cfr. L. Pauwels,
op. cit., pagg. 146-154.
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