V
IL
CONDIZIONAMENTO DEGLI ADEPTI
E IL CASO DI KATHERINE MANSFIELD
A questo punto ci
si può chiedere come sia possibile che così tante persone, tutte
mediamente dotate di una intelligenza e di una cultura superiore
alla media, abbiano accettato senza discutere un tale sistema. In
effetti da un lato va considerato il fascino che una personalità
carismatica come quella di Gurdjieff esercitava sugli ascoltatori,
dall'altro va detto che per chi iniziava «il lavoro» vi era tutta
una serie di regole (anzi, vere e proprie trappole) che impedivano
di esercitare il proprio senso critico e di opporre eventuali
obiezioni ai superiori. Il quadro che
emerge presenta molte delle caratteristiche che si riscontrano
normalmente con le sètte:
-
La messa in
atto di azioni volte a spersonalizzare l'individuo (con la scusa
di fargli cessare le abitudini gli si impedisce di essere se
stesso);
-
Il plagio,
se non addirittura l'uso di tecniche di ipnosi nei confronti dei
discepoli (sistemi che Gurdjieff conosceva benissimo);
-
La tirannia
assoluta del maestro-guru, il cui insegnamento e le cui azioni
non si possono mai mettere in discussione;
-
Il vincolo
di segretezza su quanto viene insegnato e su quanto avviene
all’interno dei gruppi.
Tutto ovviamente
viene teorizzato ed esposto con una certa logica, in modo che
l'adepto, desideroso di raggiungere un progresso spirituale, sia
portato ad accettare queste imposizioni di buon grado fin
dall'inizio.
«Un
uomo solo non può fare niente
[…].
Un uomo,
dunque, che voglia svegliarsi, deve cercare
altre persone che vogliano esse pure svegliarsi, al
fine di lavorare con esse
[…].
II
lavoro deve essere organizzato. E non può esserlo che da un
uomo che ne conosca i problemi, gli scopi e i metodi,
essendo lui stesso passato a suo tempo attraverso un tale
lavoro organizzato. Il
lavoro comincia di solito con un piccolo gruppo. Questo
gruppo è generalmente in rapporto con tutta una serie di
gruppi analoghi di differenti livelli che costituiscono,
presi nel loro insieme, ciò che può essere chiamato una
"scuola preparatoria"
[…].
Nessun lavoro di gruppo è possibile senza un maestro,
e il lavoro di gruppo con un cattivo maestro può produrre
soltanto risultati negativi. La
seconda importante caratteristica del lavoro dei gruppi, è
che questi possono essere in relazione con qualche
scopo,
del quale coloro che
incominciano il lavoro non hanno la minima idea,
e che non può essere loro spiegato sino a che essi non
comprenderanno l'essenza del lavoro,
i suoi principi e le idee ad esso connesse.
Ma questo scopo verso il quale essi vanno e che servono
senza conoscere, è il principio equilibrante necessario al
loro proprio lavoro e senza il quale il lavoro stesso non
potrebbe esistere
[…].
Ai
membri di un gruppo che sta per organizzarsi vengono imposte
delle condizioni: condizioni generali per tutti e condizioni
speciali per i singoli. Le condizioni generali poste
all'inizio del lavoro sono abitualmente di questo tipo:
si spiega dapprima a tutti i membri dei gruppi che devono
tenere segreto tutto ciò che intendono o imparano nel gruppo,
e non solamente fino a quando ne sono membri;
ma una volta per tutte e per sempre
[…].
La
semplice ragione di questa condizione è il fatto
che essi sono incapaci
di
trasmettere correttamente ciò che è detto nei gruppi
[…].
Si
esige inoltre dai membri di un gruppo che dicano al loro
maestro
tutta la verità.
Anche
questo è un punto che deve essere ben compreso. Le persone
non realizzano il posto immenso che nella loro vita prende
la menzogna, o per lo meno
la soppressione della
verità.
Sono incapaci di essere sinceri sia verso sé stessi che
verso gli altri. E non comprendono neanche che imparare a
essere sinceri
quando ciò è
necessario
è una delle cose più difficili al mondo
[…]. Dire una deliberata menzogna al maestro, o essere
insinceri con lui, o semplicemente nascondergli qualcosa,
rende la loro presenza nel gruppo del tutto inutile, ed è
persino peggio di una condotta grossolana e incivile nei
suoi confronti o comunque in sua presenza.
Ai
membri di un gruppo viene inoltre richiesto di
ricordarsi la ragione
per la quale sono venuti al gruppo.
Ed essi vi
sono venuti per imparare e per lavorare su se stessi;
per imparare e lavorare non a modo loro, ma come
viene loro ordinato di fare. Se, perciò, non appena sono nel
gruppo, incominciano a sentire o ad esprimere sfiducia verso
il maestro, a criticare le sue azioni, a trovare che essi
comprendono meglio di lui come il gruppo dovrebbe essere
condotto, e soprattutto se dimostrano mancanza di
considerazione esteriore verso il maestro, mancanza di
rispetto, asprezza, impazienza, tendenza a discutere, tutto
ciò mette subito fine a ogni possibilità di lavoro, poiché
il lavoro è possibile nella misura in cui le persone si
ricordano di essere venute per imparare e non per insegnare»
1. |
Queste
che abbiamo visto sono le regole teoriche, ma ancora più
sconcertanti sono le applicazioni pratiche. Ad esempio, ecco quanto
riporta il già citato G. E. Bechhofer nel suo resoconto a proposito
di due psicanalisti inglesi che avevano cominciato a nutrire dei
dubbi sul «Maestro»:
«La
disputa scoppiò in seguito alla malattia d'una pensionante
che, secondo uno dei dottori inglesi, vomitò sangue. Secondo
Gurdjieff, non era affatto sangue. Il dottore, senza
visitarla, disse che secondo lui la donna soffriva d'ulcera
intestinale. Gurdjieff lo negò e fece una diagnosi del tutto
diversa. Dopo circa un mese, la donna fu operata in un
ospedale londinese, e si scoprì la causa della malattia: si
trattava appunto d'ulcera. Quando il dottore lo riferì a
Gurdjieff, quest'ultimo gli rimproverò la sua mancanza di
fiducia. Il dottore si confidò all'editore, che era suo
compagno di stanza, e quello dichiarò che, come al solito,
il maestro aveva voluto mettere alla prova il discepolo. "Gurdjieff
-
gli disse - sapeva benissimo che quella donna aveva vomitato
sangue e che si trattava di un'ulcera ma fa parte di un suo
metodo affermare certe non-verità per vedere come reagisce
un allievo".
Non
dobbiamo immaginare, sulla base di questo episodio che
l'editore sia un uomo privo di esperienza e di
discernimento. Al contrario, è uno scrittore lucido e
informato che possiede una grande esperienza e uno spirito
spesso mordente. Quasi tutti i lettori riconoscerebbero il
suo nome, se lo citassi. Durante la sua esistenza aveva
seguito molte strade, anche quella della Teosofia, prima di
arrivare a Fontainebleau. Ma ritengo che volesse credere
ancora, con tutte le sue forze, nell'autenticità di Gurdjieff e che lottasse contro i propri dubbi.
L'atteggiamento di Katherine Mansfield non era molto
diverso, credo, da quello dell'editore. Quando la vidi
l'ultima volta, pochi giorni prima della sua morte, fragile
e fatale figura che osservava le danze dell'Istituto, mi
assicurò di essere completamente felice. Aveva molta fiducia
nella propria guarigione e mi confidò che aveva intenzione
di scrivere un altro libro. Non mi disse che in quel libro
avrebbe parlato anche di Gurdjieff e della sua colonia, ma
mi sembrò, forse a torto, che il lieve sorriso sardonico nei
suoi occhi volesse significare che, prima o poi, avrebbe
volto in ridicolo quelle esperienze.
Posso dire che l'Istituto
lascia i suoi discepoli tali e quali erano prima di entrarvi?
Acquistano forza fisica, ma perdono parte della loro
importanza mentale, diventano quasi automi.
Imparano a danzare, ma dimenticano in parte ciò che facevano
prima. Perdono tutte le vecchie abitudini, ma ne acquistano
di nuove. Più cambiano, più restano eguali a se
stessi.
O almeno, così mi è sembrato»
2. |
Ancora più precisa
e impressionante la testimonianza del Dr. Young, stimato
psichiatra inglese discepolo di Jung, pubblicata sulla rivista
New Adelphi
nel
settembre 1927. Young, dopo aver ascoltato Ouspensky e Gurdjieff a
Londra, aveva deciso di seguire l'insegnamento per ampliare le sue
conoscenze nel campo della psicologia, e nell'agosto 1922 era partito
per Parigi.
«Sebbene la faccenda avesse assunto una piega assolutamente
diversa da quella che avevo previsto (la natura bizzarra,
per non dire esotica, del "palazzo" di studio, per esempio),
mi ero accontentato, durante i primi sei mesi, di reprimere
e di tenere per me le mie critiche e il mio sbalordimento,
in parte perché, in teoria, quella pratica mi sembrava una
reazione "meccanica" priva di valore, e in parte, forse,
perché volevo che il mio bicchiere si riempisse gradualmente
prima di traboccare e di spingermi a una reazione violenta.
Inoltre, era appassionante seguire i bruschi, innumerevoli
cambiamenti di direzione che Gurdjieff imprimeva alla sua
attività, come se obbedisse ad una volontà precisa che non
riuscivo a valutare perfettamente. Tuttavia, mi sentivo
inquieto.
Mi rendevo
conto che,
spesso, anch'io ero vittima d'una
specie di ipnotismo senza il quale non avrei potuto
reprimere facilmente il mio senso critico.
Negli altri,
l'influsso di questo ipnotismo era anche troppo
visibile.
Gurdjieff era una personalità straordinaria: un
tipo d'uomo che non avevo mai incontrato,
prima. La sua prodigiosa abilità in moltissimi campi
era indubitabile.
Era un uomo eccezionale. Incontrarlo era un avvenimento
notevole, nella vita d'uno psicologo come me. Volevo
arrivare fino in fondo all'enigma che rappresentava.
Appena
cominciai a reagire e a prendere in considerazione le mie
critiche, le mie osservazioni precedenti gettarono olio sul
fuoco. Alcune di queste osservazioni contribuirono a
dimostrare il grado d'ipnotismo subito da tutti
gli adepti. Gurdjieff decise di acquistare una macchina.
Questo produsse una certa sensazione. Inconsciamente, gli
allievi sentivano che la vita del mondo normale si
intrometteva in un mondo che era diventato rapidamente
disumano e irreale. Pensavamo che Gurdjieff non sapesse
guidare, il che era probabilmente vero. Molti, comprese
alcune inglesi piuttosto intelligenti, credevano che
Gurdjieff non sarebbe stato costretto a imparare a guidare
nel modo abituale. Imparava a guidare, per così dire, per
ispirazione. Avevano la convinzione superstiziosa che
Gurdjieff fosse dotato di poteri misteriosi ed eccezionali.
Quando sentivano un ingranaggio che grippava, i fedeli
dichiaravano che il maestro voleva provare in quel modo
la fiducia e la lealtà degli scettici come me.
Scoprii presto che era impossibile lottare contro un simile
sofisma, contro una fede così cieca. Perciò, con una
soddisfazione interiore e, senza dubbio, con un senso di
superiorità, mi convinsi che Gudjieff era felice con
quell'automobile nuova come un bambino che ha un nuovo
giocattolo, e che l’avrebbe rotta ben presto, proprio come
avrebbe fatto un bambino. In verità non potevo impedirmi di
provare una certa comprensione per il suo divertimento. Mi
ricordava la gioia che avevo provato quando, per la prima
volta avevo posseduto una bicicletta. Nello stesso tempo,
ero impressionato dal potere che tocca in sorte a un uomo
quando ha ricevuto gli attributi magici di "Padre
Onnipotente" o quando ha proiettato sugli altri il
suo archetipo magico, come diceva Jung. Le persone che sono
oggetto di questo
transfert diventano incapaci di
critica, perché indirizzano verso il proiettore il
loro potere inconscio d'illusione. Il guru,
come viene chiamato in India il maestro,
non può mai avere torto.
È infallibile. Ogni atto del mago ha sempre un significato
meraviglioso e segreto che nessuno può valutare esattamente.
Era appunto il caso di Gurdjieff.
Un
altro esempio: i genitori d'un bambino idiota si misero in
mente che Gurdjieff avrebbe potuto fare qualcosa per lui, e
arrivarono dall’Inghilterra. Il bambino ebbe un attacco di
diarrea pochi giorni dopo il suo arrivo, dovuto
probabilmente al cambiamento di regime. In questo caso
particolare rimasi veramente sbalordito nel sentire
parecchie persone affermare che Gurdjieff aveva incominciato
a lavorare su di lui. Intendevano dire che, con qualche
mezzo misterioso noto a lui solo, Gurdjieff aveva provocato
la diarrea. Era inutile lottare contro un'interpretazione di
questo genere. Dovevo limitarmi a
difendermi da quella crescente atmosfera di sofismo.
Ben
presto, i miei amici del Priorato cominciarono ad assalirmi
con sofismi d'altro genere. Continuavano a dichiararmi che
io soffrivo d'orgoglio spirituale, che ero limitato, che non
avevo mai accettato lo spirito di quel luogo, che non avevo
mai realmente "lavorato" nel vero senso della parola, e via
discorrendo.
Cominciai a intuire che si avvicinava, per me, il momento di
andarmene.
Ma ero
ancora affascinato dalla personalità enigmatica dell’uomo
che suscitava quella proiezione. Ne trassi la conclusione
che la violenza e il carattere enigmatico di questa
personalità derivavano dal fatto che Gurdjieff perseguiva
con intensità prodigiosa un fine recondito e personale. Non
avevo la minima idea di quale potesse essere quel fine, ma
mi ero convinto che non avesse nulla a che vedere con il
fine dichiarato e che fosse probabilmente l'opposto dei miei
sentimenti dominati dalla preoccupazione di fare del bene
agli altri. Sentivo che si trattava di impresa personale,
per lo meno per quanto riguardava Gurdjieff. Cominciai a
confidare questa convinzione ad alcuni visitatori di
passaggio, e trovai un'eco sincera in uno scrittore, un uomo
degnissimo. Entrammo in corrispondenza. Non ho le copie
delle mie lettere, ma alcuni brani delle risposte possono
dare un'idea essenziale delle mie stesse conclusioni.
Dopo
il mio ritorno, le mie varie impressioni si sono
gradualmente consolidate. Ciò che mi è sembrato subito certo
è il fatto che il retroterra è
autentico.
Voglio dire che Gurdjieff
possiede realmente una grande sapienza e la volontà di
comunicarla ad una o due persone che se ne rivelino degne.
In altre parole, Gurdjieff conosce una delle "vie che
conducono allo sviluppo". Nella mia mente, le domande si
sono ridotte a una sola: "Quale via"? Ci sono due vie:
una che porta a Dio, l'altra che porta al
"Potere" o a quello che gli indù chiamano
Siddhis.
Ebbene,
tutto, in me e nei giudizi degli amici con cui ho parlato,
induce a credere che si tratti proprio di questa seconda
via. I metodi, la nozione di "capo", la brutalità dei suoi
corollari, la totale mancanza d'amore, di compassione, di
cuore, tutto conduce a questa via tenebrosa, luciferina, che
viene insegnata in certi monasteri della Mongolia, dove
probabilmente è stato iniziato Gurdjieff. È la Via dei
Poteri (Siddhus); e, quando si arriva
in fondo (se ci si arriva), quando si sono
ottenuti i frutti della "volontà del Potere",
non c'è la minima apertura dell'anima verso
Dio. Si giunge alla "festa nuziale"
senza quell'attributo essenziale e necessario che è l'amore. Lei capirà cosa voglio
dire, perché è stato lei stesso a dirmelo, tante volte. Un
uomo che conosco e che ha studiato a fondo queste cose,
benché non ne abbia la conoscenza che dice di avere, mi ha
detto che, in molte scuole della Mongolia, la brutalità
mentale, la collera, il pessimo carattere, le bestemmie (che
conosciamo bene, grazie a Gurdjieff) vengono portati
scientemente al massimo, e che vengono usati anche la
violenza fisica, i bastoni, le corde, i pugni. Questo può
dare qualche risultato, ma il progresso avviene allora non
nella direzione del
Bene,
bensì in quella della
Potenza. La vecchia Blavatsky, che ha attinto il suo
sapere dalla Mongolia, era famosa per le sue collere, le sue
parolacce, e via discorrendo. La Via percorsa da questi
istruttori conduce o pretende di condurre al potere di
dirigere il mondo, e se le capiterà di leggere il libro
"Beasts, Men and Gods"
3,
prenda in considerazione i capitoli conclusivi che parlano
del Re del Mondo: sono stranamente allusivi. Le mie
intuizioni, le mie conclusioni circa l'Istituto possono
essere sbagliate, ma posso basarmi esclusivamente sulle mie
ragioni e sulle mie intuizioni, che mi portano allo stesso
risultato. La completa assenza d'amore, di
compassione, in quel metodo, è un'assenza
significativa. Non può trattarsi della Via che
conduce a ciò che io chiamo Dio... Un altro allievo
mi ha detto che queste virtù sono inutili
senza
il potere:
cioè l'amore e la
compassione, senza potere, sono soltanto
chiacchiere e sentimentalismi.
Aggiungo
che se l'amore e la compassione hanno un fondamento reale in
qualcuno, potranno sopravvivere all'addestramento compiuto
sotto la direzione di Gurdjieff. Sono disposto a credere che
Gurdjieff sia capace di insegnare, in una certa direzione,
ma sono convinto che questo insegnamento verrà impartito da
lui o dai suoi istruttori solamente a coloro che lo
sfrutteranno per lo scopo voluto da Gurdjieff, vale a dire
per lo scopo luciferino. Gli
allievi, in maggioranza, possono trascorrere
tutta la vita senza imparare nulla.
Le
esprimo il mio punto di vista, cosi come ci parlavamo con
assoluta franchezza, secondo la nostra abitudine.
In
risposta a un'altra lettera, il mio amico mi scriveva: "La
sua lettera mi ha molto interessato. La rileggerò più volte
e l'assimilerò lentamente. È molto importante, per me.
Non ho più dubbi circa Gurdjieff e il suo Istituto.
È un
ambiente pieno di tracce di zoccoli e di corna e la mia
diffidenza,
che aumentava di giorno in giorno quando mi
trovavo lì,
trova conferma da qualunque parte io mi volti.
Molte cose rimangono inspiegabili,
e tali resteranno per
sempre.
Gurdjieff si tiene in disparte,
per qualche ragione.
È inaccessibile.
Non sapremo mai la verità sui suoi moventi.
Sono convinto che si tratti di un movente esclusivamente
egoista.
Le promesse superano sempre le realizzazioni.
Non si può fare a meno di osservare,
in coloro che lo attorniano,
l'impronta della paura anziché quella dell'amore:
è troppo evidente. Ha conosciuto un certo
russo, che si chiama P., e che è stato recentemente
all'Istituto? Io non lo conosco, ma ho sentito dire che si è
recato all'Istituto il mese scorso, in compagnia di un
amico. M'hanno detto che la sera era costretto a chiudersi
in camera sua per nascondere le risate. E racconta d'essere
stato colpito sfavorevolmente dalla paura insita nell'atteggiamento
degli allievi. "Tutti schiavi di Gurdjieff", dice. Le ragioni che spingono K. a restare
nell'Istituto sono, ne sono sempre più convinto, del genere
"conversione". Oppure ci resterà da uomo schifato e
disgustato del mondo, ma troppo debole per lottare da solo e
alla vana ricerca d'una protezione. L'accanimento con cui si
sforza di trovare spiegazioni magiche al minimo gesto,
alla minima parola di Gurdjieff conferma la mia convinzione.
Per ritornare alla nostra critica fondamentale, non posso
assolutamente credere che un istruttore sincero si
abbandonerebbe a tanto strepito e determinerebbe una
persistente mancanza di fiducia, sempre crescente, come
quella che avverto in me. Chiunque può avere qualche dubbio,
ma non si tratta mai di dubbi simili a quelli che la
fantasia, le parate spettacolari di Gurdjieff, la sua
megalomania fanno nascere in tutti»
4. |
Ma se
qualcuno nutrisse ancora qualche dubbio, possiamo tirare in ballo
anche la testimonianza di uno scrittore politico della destra
francese,
Paul Sérant (1922-2002), che scrisse un romanzo intitolato
Le Meurtre rituel (Parigi, 1951), solo vagamente ispirato alla
sua esperienza con Gurdjieff. Questo libro fu aspramente criticato
ed ostracizzato da molti adepti. Eppure Serant in linea generale non
vedeva in maniera del tutto negativa l'Insegnamento, come si può
notare da queste righe, scritte in seguito:
«Questo
romanzo, che ho scritto poco tempo dopo aver abbandonato
l'Insegnamento, ha provocato un furore incredibile tra molti
adepti dei gruppi. Tuttavia, se l'atmosfera del libro mi è
stata ispirata dall'Insegnamento (ma esistono romanzieri che
non si siano ispirati ai loro ricordi?) non si trattava né
di una storia "cifrata" né d'un racconto autobiografico. La
trama di "Le Meurtre"
(una giovane coppia che vede il suo amore distrutto
dall'influenza di un "maestro spirituale" che condurrà la
donna al suicidio e l'uomo al cinismo) era completamente
immaginaria. Una certa somiglianza tra il linguaggio del mio
"maestro" e quello di G. non significava affatto che avessi
voluto raffigurare quest'ultimo e condannare la sua
influenza. Il romanziere che descrive un cattivo prete mette
necessariamente in discussione la Chiesa e il cristianesimo?
L'Insegnamento non ammetteva forse che esistevano altre
scuole, naturalmente perniciose, di cui bisognava diffidare?
Tutto ciò non impedì alle persone in questione di sentirsi
immediatamente prese di mira […].
Queste
reazioni mi hanno fatto riflettere. Se quelle persone si
sentivano direttamente colpite, non era, per caso, perché
avevo messo il dito sulla piaga e avevo rievocato con grande
esattezza il clima dell'Insegnamento e i suoi pericoli? Ma
bisogna precisare che queste reazioni odiose sono state
l'opera degli imbecilli dell'Insegnamento, e che sarebbe
disonesto, da parte mia attribuirle a un ordine di coloro
che, dopo la scomparsa di G. hanno assunto la direzione dei
gruppi. Le persone di cui parlo appartengono a quella
categoria di borghesi parigini descritti così bene da Max
Jacob: "Ci sono anche famiglie che pensano seriamente a
Dio: possono essere un po'
buddhiste, un po' musulmane, un po' scienziati-cristiani, o
semplicemente discepoli di Madame Durand, la neovegetariana
di Rue Beaubourg: l'essenziale è non essere
cattolici". Il caro Max Jacob avrebbe potuto
includere nel suo elenco anche i discepoli di G.
E l'inevitabile deformazione di questi devoti settari
consiste nel credere sempre che si parli di loro, che non si
pensi che a loro»
5.
|
Serant ammette
anche i suoi problemi con l'Insegnamento e arriva ad una
riflessione lucidissima che coglie appieno l'essenza di un tale
sistema:
«E
tuttavia mi sono distaccato dall'Insegnamento. Per quali
ragioni? Dirò
subito che certe resistenze psichiche mi hanno forse
impedito di ricevere l'insegnamento nel modo migliore.
La natura mi ha dotato di una diffidenza spiccatissima,
di un senso critico che, di fronte a qualunque
impegno, finisce per diventare imbarazzante […].
Ma la
mia diffidenza cominciò veramente a destarsi quando ebbi
constatato le strane condizioni di spirito che regnavano tra
la maggioranza di coloro che appartenevano ai gruppi da
molto più tempo di me. Mi accorsi che lo sforzo di coscienza
aveva creato in quelle persone un miscuglio sospetto di
pretenziosità, d'egoismo e d'orgoglio
(o, più esattamente, di soddisfazione di sé). Questi difetti sono
evidentemente comuni a tutti i mortali, ma ciò che mi sembra
grave era il fatto che venivano coltivati metodicamente
in nome della non-identificazione, della
lucidità e della coscienza di sé. È
evidente che quando si dà per certo che tutti gli uomini
siano macchine e che si incomincia a non esserlo più,
rischia di nascere una tentazione pericolosa: se gli
altri sono macchine, perché non usarli come tali?
La duplicità diventa allora una forma legittima dell'addestramento
verso una coscienza più acuta di sé.
A
questo punto interviene una specie d'inversione
spirituale, infinitamente più pericolosa dell'immoralismo
accettato come tale. Quando Machiavelli
consiglia agli uomini di Stato la menzogna e l'astuzia, lo
fa in nome del realismo: non dice loro che la menzogna e
l'astuzia sono mezzi per pervenire alla vita spirituale; al
contrario, spiega loro che purtroppo gli uomini sono quello
che sono, e che è necessario usare quei metodi per
governarli. Quando Don Giovanni cerca di possedere tutte le
donne della terra, non pensa affatto d'avviarsi sulla via
della santità; al contrario, pensa che sta rinunciando alla
santità per la voluttà. In entrambi i casi, l'essenza della
morale non viene toccata, la gerarchia dei valori non viene
discussa, la distinzione tra le nozioni rimane intatta. Il
Male si chiama Male, il Bene si chiama Bene.
Il vero pericolo spirituale incomincia nel momento in cui il
Bene è chiamato Male, e il Male
è chiamato Bene. La
perversione creata in questo modo è quasi irrimediabile:
ed è, credo, la responsabile di parecchi drammi, alcuni del
quali vengono narrati in questo libro»
6. |
Come si evince da
queste considerazioni e da quanto visto finora, si capisce che,
seguendo l'Insegnamento, a furia di concentrarsi sul proprio «Io»
più autentico e di considerare solo quello che è utile al risveglio,
si rischia di arrivare all'auto-deificazione di sé. Di
conseguenza, è naturale che con simili premesse anche i rapporti tra
gli stessi adepti fossero problematici. Come spesso avviene nelle
sètte, i membri venivano messi uno contro l'altro. Lo descrive
ancora una volta assai bene Frances Rudolph, della quale
abbiamo già citato in precedenza una parte della sua testimonianza
scritta per Pauwels:
«Ogni membro del nostro gruppo veniva incoraggiato a
diventare ostile e sospettoso nei confronti di tutti gli
altri discepoli
[…]. Pat
ed io eravamo continuamente indotte a una rivalità
insensata, ma io resistevo meglio di lei a quella strategia.
Ciascuno doveva pensare di possedere capacità potenziali
per il
lavoro
superiori a quelle di
tutti gli altri:
era come se dividesse con la signora Blank un piacevole
segreto, a spese di tutti. Ciascuno di noi rispondeva a
quell'appello all'orgoglio, così come aveva risposto
all'appello di Ouspensky. Ma, per ognuno di quei momenti di
esaltazione, quando la conoscenza di
essere qualcosa
ci trasportava nelle
regioni celesti, noi pagavamo con lunghi periodi di
scoraggiamento completo e senza speranza. La nostra stella
ci abbandonava, ci lasciava vagare soli nelle tenebre più
assolute. Allora ci sentivamo niente, meno che niente»
7. |
Ma affinché non si
pensi che questi fossero casi isolati riguardanti solo persone che
non avevano del tutto accettato l'Insegnamento, è illuminante vedere
cosa affermava lo stesso Ouspensky e cosa rispondeva Gurdjieff:
«Non
tardammo ad accorgerci che i nostri
amici ritenevano che noi fossimo cambiati in peggio. Ci
trovavano molto meno interessanti di un tempo. Dicevano che
eravamo diventati insipidi e scialbi, che avevamo perso la
nostra spontaneità, la nostra sensibilità sempre desta, che
stavamo diventando delle macchine, che stavamo perdendo la
nostra originalità, la nostra capacità di vibrare e infine
che non facevamo altro che ripetere come pappagalli tutto
quello che avevamo inteso da G.
G.
rideva molto quando gli raccontavamo queste cose.
"Aspettate, diceva, il peggio deve ancora venire.
Capite che cosa significa tutto ciò? Significa che avete
smesso di mentire o comunque che non mentite più così bene
come un tempo: non potete più mentire in un modo così
interessante come nel passato. Colui che mente bene è un
uomo interessante. Ma voi avete già vergogna di mentire.
Siete ora nella condizione di confessare a voi stessi che
ignorate certe cose, che ormai non potete più parlare come
se comprendeste tutto. Ciò equivale a dire che siete
diventati meno interessanti, meno
sensibili,
come essi
dicono. Così ora potete veramente vedere che tipo di gente
sono i vostri amici. Oggi essi si rattristano per voi, e dal
loro punto di vista hanno ragione:
voi avete già cominciato
a morire
(e mise l'accento su questa parola). Il cammino che conduce
alla morte totale è ancora lungo; tuttavia voi vi siete già
spogliati di un certo strato di stupidità. Non potete più,
in ogni caso, mentire a voi stessi con tanta sincerità come
una volta. Adesso avete il gusto della verità"
»
8
. |
In alcuni casi gli
effetti dell’Insegnamento sugli adepti sono stati tragici. In
particolare secondo Pauwels la situazione precipitò soprattutto dopo
che Gurdjieff chiuse il Priorato e si ritirò in un appartamento
Parigi per insegnare a poche persone, lasciando ad alcuni incaricati
il compito di istruire i discepoli. Il tutto a suo dire fu aggravato
anche dalla pubblicazione del libro di Ouspensky, che gettò le sue
dottrine esoteriche, fino ad allora rimaste confinate entro una
ristretta cerchia di seguaci, in pasto alla curiosità del grande
pubblico. Ma ecco cosa afferma Pauwels:
«Non si
tratta soltanto dei testi, ma anche della forma che
l'Insegnamento assume, del modo in cui viene impartito, del
disprezzo sempre maggiore in cui vengono tenuti gli allievi
ed i curiosi. Durante gli
anni 1939-49, data della morte di Gurdjieff,
questo Insegnamento avrà l'influenza più notevole.
Intendo notevole per estensione, non certo per
profondità. Ma quest'influenza assumerà spesso
aspetti temibili. Molte volte si sfiora lo scandalo.
Malattie strane e la morte si abbattono su alcuni discepoli.
Non
pretendo di spiegare il cambiamento dell'atteggiamento di
Gurdjieff. Non pretendo neppure di descriverli in modo
adeguato. Mi sembra tuttavia che arrivando in Occidente
all'inizio degli anni Venti, avesse deciso di presentarsi
con una maschera, di dare alla sua iniziativa un
aspetto caricaturale per farla penetrare meglio in un'epoca,
in una forma di civiltà che lui odiava. I germi della
distruzione radicale possono venire introdotti soltanto di
contrabbando.
Spaventato da questa astuzia, convinto che la falsificazione
non poteva essere soltanto esteriore, Ouspensky decise di
rompere con Gurdjieff.
Mi
sembra inoltre che, a partire dal 1934 e in quegli ultimi
anni di totale sovvertimento del mondo, di completo
naufragio delle idee e delle credenze, dei metodi di
pensiero e d'azione, di disintegrazione di tutti i fattori
intellettuali, morali, politici, religiosi e scientifici,
Gurdjieff modificasse un'altra volta il suo
atteggiamento,
disperdesse i segreti a tutti i venti,
scegliesse il disordine,
lasciasse che il bene e
il male ottenessero le stesse possibilità,
con un disprezzo accresciuto, con una volontà
deliberatamente orientata verso il polo negativo.
"Devo erigere - diceva Nietzsche - una barriera attorno alla
mia dottrina, per impedire ai porci di entrarvi". Parole da
chierichetto! Gurdjieff, con una grande risata cinica, più
devastatrice della risata di Zarathustra, abbatte la
barriera perché i malintesi dell'epoca giungano al colmo,
dentro il suo regno. Entrino pure i porci! Siano i benvenuti
come gli agnelli! Esistono ancora, gli agnelli? Entrate!
Entrate! Che i maiali s'ingozzino e crepino! Ciò che era
stato il bene, sotto la loro direzione, diventa il male! E
che gli agnelli trovino il loro pascolo, se ci riescono, e
se rimane ancora qualcosa!
Credo
che guardasse tutta quella gente che si ingozzava con una
soddisfazione tenebrosa, e, tra quella folla, alcuni che
morivano avvelenati ed altri che prosperavano, con
un'assoluta indifferenza […].
Non
tento affatto di sottrarre Gurdjieff, di fronte all'opinione
pubblica, alla responsabilità dei mali che soffrirono e
soffrono ancora parecchi suoi allievi. A migliaia, in
diversi Paesi, si sono lanciati in questa iniziativa che è
sopravvissuta molto bene alla scomparsa del maestro. Altre
migliaia stanno per lanciarvisi. Ne va della salute fisica e
mentale d'una minoranza importante dell'élite occidentale.
Ma, ancora oggi, rifiuterei di scegliere tra gli evidenti
vantaggi della salute e l'apprendistato segreto contenuto
nei gravissimi disagi cui può condurre l'avventura Gurdjieff»
9. |
Tra
i casi drammatici a cui Pauwels accenna, la vicenda più nota è
senz’altro quella della scrittrice neozelandese Katherine
Mansfield (1888-1923), i cui ultimi mesi di vita trascorsi al
Priorato d'Avon sono sempre stati oggetto di controversie tra i
detrattori e i sostenitori di Gurdjieff. La scrittrice, da
tempo ammalata di tubercolosi e ormai senza grandi speranze, dopo
che nel 1922 ebbe assistito alle conferenze londinesi di Ouspensky,
decise di rivolgersi a Gurdjieff nell'illusione di trovare una
guarigione. Quasi sicuramente la sua scelta venne influenzata dal
fatto che anche l'editore dei suoi primi racconti, Alfred Orage,
fosse anch'egli un seguace dell'Insegnamento. Entrò al Priorato il
17 ottobre 1922. Secondo i discepoli più fedeli, la Mansfield era stata
accettata al Priorato di malavoglia e solo a causa delle sue
insistenze.
Ed effettivamente il «lavoro» che venne assegnato alla
scrittrice malata era sicuramente ridotto rispetto agli standard
normali. In ogni caso, la cura Gurdjieff non sortì alcun effetto,
visto che la Mansfield morì a Fointainebleau il 9 gennaio 1923
all'età di trentaquattro anni. Da allora vi
furono molti che accusarono Gurdjieff di averne provocato il
decesso, ma forse è più probabile che, vista la fase avanzata della
tubercolosi, la dura esperienza a cui fu sottoposta e l'ambiente
malsano in cui viveva, la sua morte sia stata semplicemente
affrettata. Lo confermano
anche biografi e studiosi, come ad esempio Pietro Citati, uno
dei massimi critici letterari italiani, autore di una Vita
breve di Katherine Mansfield (Rizzoli, 1980), dalla quale
riportiamo alcuni estratti:
«Per
diventare una "figlia del Sole", sarebbe entrata
all'Istituto
per lo sviluppo armonioso dell'uomo,
che George Gurdjieff - "il gran lama del Tibet" - aveva
appena aperto presso Fontainebleau. Questi toni trionfanti
non debbono illuderci. Quando risolse di entrare
all'Istituto, la Mansfield non aveva fiducia nemmeno in
Gurdjieff: era disperata, e puntava tutta sé stessa,
tutto il passato, il presente e il futuro, "andando avanti,
arditamente e da sola", sfidando qualsiasi rischio, su una
carta ignota, l'unica che le fosse rimasta […].
Dapprima la Mansfield abitò in una stanza bella e sontuosa:
poi il capriccio sovrano di Gurdjieff la trasferì in uno
stanzino freddo, piccolo e povero, uno di quei covili dove
dormono nella sporcizia i personaggi di Dostoevskij e di
Kafka. Mentre un inverno freddissimo avanzava sopra i boschi
di Fontainebleau, si raggomitolò nella sua pelliccetta,
chiedendo in russo agli ospiti del castello la carta per
accendere il fuoco, la legna e i fiammiferi: finché un altro
capriccio la restituì alla gloria della sua prima stanza.
Aveva appreso la prima lezione dell'Istituto: doveva
staccarsi da tutte le cose, vivere come una fuggiasca sotto
le tende, sopportare il disordine, la povertà, la sporcizia
e i cattivi odori come fossero effluvi del Paradiso. La
mattina si alzava presto e si lavava con l'acqua gelata,
facendo colazione con gorgonzola e marmellata di mele
cotogne. Passava la giornata vivendo la vita fisica e
laboriosa, che negli ultimi tempi aveva desiderato - curava
le pecore, i maiali "mistici" dalle lunghe setole dorate, i
conigli "cosmici", le oche così piene di intelligenza, le
galline e le capre: andava in cucina a raschiare carote e a
sbucciar cipolle fino a rovinarsi le mani, o semplicemente
"guardava" il lavoro degli altri; osservava il falegname
piallare e fabbricare ruote, pensando che presto anche lei
avrebbe lavorato il legno; cuciva i costumi per il teatro,
lavava il bucato, faceva dei tappeti con lunghi steli di
grano; e ascoltando musica imparava una libera aritmetica
mentale dove due per due faceva uno, tre per tre faceva
dodici, quattro per quattro tredici, cinque per cinque
ventotto. A pranzo mangiava fagioli e cipolle, vermicelli
con zucchero e burro, vitello avviluppato in foglie di
lattuga e cotto nella panna. Alle dieci andava a letto,
sebbene Gurdjieff cambiasse sovente gli orari, perché
nessuna delle sue vittime riposasse mai nell’abitudine.
Allora gli abitanti di Brobdingnag ballavano fino all'alba
"danze assire", o costruivano febbrilmente il bagno turco o
l'hangar-convento.
Quando
scorse per la prima volta Gurdjieff, calvo, con grandi
mustacchi e l’aria possessiva e losca, le sembrò "un
commerciante di tappeti di Tottenham Court Road". Poi si
abituò a dipendere da lui come da un astro terrificante e
tenebroso che regnava sopra ogni istante della sua
esistenza. Era onnipresente. In cucina insegnava come si
faceva il
kumiš
o la minestra di cavolo, nella stalla insegnava a mungere le
mucche le capre, nella bottega del falegname insegnava a
piallare: progettava bagni turchi, disegnava e tagliava
vestiti, riparava tappeti, edificava muri, spegneva incendi,
componeva musica, dirigeva danze. Sapeva tutto, capiva
tutto. agiva nel preciso istante in cui se ne aveva bisogno.
Il grande mistificatore, il sinistro cialtrone, il beffardo
mistagogo dovette divertirsi a scorgere quella piccola
neozelandese tremante di freddo, raggomitolata nella sua
pelliccetta, piena di zelo e di dedizione; e preparò uno
spettacolo apposta per lei. Aveva fatto costruire nella
stalla una galleria sopra le mucche: un pittore di
Brobdingnag affrescò i muri e il soffitto con una variopinta
decorazione orientale, fiori, uccelli, farfalle, alberi con
animali sui rami, un ippopotamo, un elefante col volto di
Orage: dipinse sul soffitto l’"enneagramma"
di Gurdjieff;
e qualcuno vi portò due divani ricoperti da tappeti di
Persia. La Mansfield doveva stare là
sopra, sdraiata sopra le mucche: dapprima solo
il giorno, poi anche la notte; e la "radiazione
del magnetismo animale", la calda esalazione delle
mucche, del letame e del fieno avrebbe dato nuova
forza ai suoi polmoni malati.
Spezzando il riserbo, un giorno Gurdjieff
salì anche lui nella galleria, tra i fiori orientali, gli
ippopotami e gli elefanti, e le disse che aveva comprato una
scimmia, che avrebbe dovuto addestrare a pulire le mucche.
Poi, nel suo inglese da venditore di tappeti, aggiunse che
sembrava star meglio. "Ora avete due dottori a cui obbedire.
Il dottor Stalla e il dottor Latte-appena-munto. Non
pensare, non scrivere... Riposare, riposare. Vivere di nuovo
nel vostro corpo"
[…].
Una
leggenda circonda gli ultimi mesi di Katherine Mansfield. Il
suo volto, felice e radioso di "inesprimibile bellezza",
splendeva come "fosse stata sul Sinai", ripetono a gara Middleton Murry, Orage e Ida Baker. Aveva dunque raggiunto
la "vita solare" a cui aveva aspirato? La nube di angoscia,
di terrore e di disperazione, nella quale era stata avvolta
negli ultimi mesi si era completamente dissolta? "Il gran
lama del Tibet" l’aveva salvata? Dietro le piccole grazie e
il gergo infantile le lettere degli ultimi mesi parlano un
altro linguaggio.
La Mansfield sembra una
bambina stupita e spaurita, attonita e balbettante. Prendeva tutto
sul serio, anche le abitudini alimentari imposte da
Gurdjieff: con una ingenuità che stringe
il cuore,
credeva a tutto,
perfino all'effetto salvifico del fiato delle
mucche,
o alla danza indiana,
che durava sette minuti e le insegnò "più cose
sulla vita della donna di qualunque libro o poema"
[…].
Questa
vita non durò a lungo. La sera del 9 gennaio 1923, quando il
marito andò a trovarla all'Istituto, ebbe un accesso di
tosse mentre rientrava nella propria stanza. Un gran fiotto
di sangue le uscì dalla bocca e parve soffocarla. Il marito
la distese sul letto, e corse a chiamare un dottore. In
pochi minuti Katherine Mansfield era morta, "con gli occhi
spalancati dal terrore". Qualche tempo prima, Ida Baker, che
lavorava in una fattoria normanna, era stata svegliata dalla
voce di lei che la chiamava nella notte, mentre il vento
soffiava. La mattina del 10 gennaio ricevette un telegramma
da Fontainebleau, e prese il treno. Quando la scorse distesa
nella bara, il legno le parve così freddo, così spoglio e
nudo, che lo coprì con un nero scialle spagnolo vivacemente
ricamato, che Katherine aveva comprato nella giovinezza.
Tutto era finito. Quella creatura così leggera e delicata,
così dura e avida, appassionata e implacabile, quella
farfalla maldestra, che aveva provato le sue ali nel vento,
quella remota figurina cinese dipinta sul fondo della
tazzina, era scomparsa»
10. |
Del resto, le
conseguenze che certi esercizi potevano avere sulla salute fisica
degli adepti non erano certo una delle preoccupazioni di Gurdjieff,
anzi:
«"Dovete comprendere
- disse - che gli sforzi ordinari non
contano.
Solo i super sforzi contano.
E così sempre e per tutto. Per coloro che non vogliono fare
"super sforzi", la cosa migliore è che abbandonino tutto e
prendano cura della loro salute".
"I
super sforzi non rischiano di essere dannosi"?, domandò uno
degli uditori, abitualmente preoccupato della propria
salute.
"Naturalmente possono esserlo
- disse G. - ma è preferibile morire facendo degli
sforzi per svegliarsi che vivere nel sonno. Ecco
una ragione. D'altronde, non è poi così facile morire per
degli sforzi eccessivi. Abbiamo molta più forza di quanto
non pensiamo. Ma non ne facciamo mai uso"»
11. |
Anche
nell'ambiente letterario del tempo, se da un lato molti erano
attirati dal Priorato, altri ne erano disgustati e consideravano Gurdjieff un ciarlatano, come ricorda la saggista Nadia Fusini
nel suo La figlia del sole. Vita ardente di Katherine
Mansfield (Mondadori, 2012), una biografia della
scrittrice in forma di romanzo. Le voci che circolavano, a volte
vere, a volte forse un po' enfatizzate, erano di questo tenore:
«Vivienne
Eliot, la moglie del poeta, scrive a Pound che Lady
Rothermere di sua spontanea volontà si è ricoverata in un
"manicomio chiamato Le Prieuré" e danza nuda in mezzo ai
maiali insieme con Katherine Mansfield»
12. |
Anche secondo la
Fusini, la Mansfield, ormai senza possibilità di guarigione, decise
di entrare al Priorato forse più che altro per cercare di dare un
senso alla vita che le restava, nonostante Gurdjieff le suscitasse
impressioni contrastanti:
«Come
che sia, KM fiuta un certo effetto posticcio, e tra sé e sé
commenta: "Sembra un venditore di tappeti di Tottenham Court
Road". Ma ne è anche attratta, quell'aria feroce la incanta
– perché le è subito chiaro che è un despota, un megalomane,
oltre che un venditore di tappeti. E insieme, di una cosa è
sicura: ha carisma…"»
13. |
Come abbiamo
visto, ad un certo punto, proprio mentre pensa di lasciare il
Priorato, alla scrittrice viene preparato un alloggio sopra la
stalla, affinché possa beneficiare delle esalazioni delle mucche,
cioè «dalle radiazioni del magnetismo animale». Se poi la Mansfield
ci credesse sul serio, è tutto da vedere. Ecco cosa scrive ancora la
Fusini:
«Ci
crede e non ci crede. O forse valuta: sempre meglio essere
lì che in una corsia di ospedale, meglio quella compagnia
che la solitudine degli alberghi. Vedi, Zoe, credere e non
credere, l’illusione e la realtà possono confondersi. Così,
non saprei dire con certezza se ci crede o non ci crede, se
finge… Ho studiato attentamente le lettere che scrive, e
cosa emerge? Che forse mente, perché pensa che la sua
corrispondenza venga controllata, e non si scopre…»
14.
|
Le discussioni
sull'esperienza della Mansfield al Priorato resteranno probabilmente
sempre aperte, visto che vi erano anche cose che affascinavano la
scrittrice neozelandese, come ad esempio le danze, e visto che c'era
chi, come la sua nuova amica Olga Ivanovna Milanoff e P. D.
Ouspensky, affermavano che la Mansfield fosse realmente felice a
Fointainebleau
15.
Ma il marito, John Middleton Murry, invece vedeva le cose in modo
assai diverso:
«Murry
arriva il 9 gennaio, e sai qual'è, secondo lui, la prima
cosa che KM gli chiede? "Portami via". Se è vero si
confermerebbe la versione che KM vuole scappare: e cioè la
versione di Murry»
16. |
Sempre secondo la
Fusini, pare che le perplessità di Murry si fossero almeno in parte
placate, una volta giunto al Priorato. Ma solo temporaneamente:
«Murry
arriva e lì per lì sembra apprezzare, e comprendere. Sono
anni che non vedeva Orage, e lo trova cambiato: dolce,
gentile. Altrettanto cortesi sono Olgivanna, Adèle, gli
Hartmann, i Salzmann. I suoi pregiudizi lì per lì tacciono,
l’ostilità, lo scetticismo vacillano. In verità, durerà
poco, subito dopo la morte di lei cambierà idea, condannerà,
accuserà…» 17. |
Pur rimanendo i
dubbi su quale fosse la reale opinione di Katherine Mansfield nei
confronti di Gurdjieff e della vita al Priorato, e pur considerando
il fatto che fosse già gravemente ammalata, crediamo non si possa
fare a meno di ritenere che una tale esperienza fosse la meno
indicata per le sue condizioni. Se consideriamo poi il fatto che,
con la solita scusa di rompere le abitudini meccaniche, le era stato
vietato di fare quello che amava di più, cioè scrivere, possiamo
affermare che nei suoi confronti sia stata applicata anche una certa
dose di crudeltà. La pietà cristiana nei confronti del moribondo è
ben altra cosa… Ma per completare
il quadro riportiamo anche le conclusioni di Pauwels:
«Qualche mese dopo la morte di Katherine, John (Middleton
Murry)
si fidanzò. Nel maggio dell'anno seguente, sposò
una ragazza d'origine francese, Violette Le Maistre. In
quanto a Gurdjieff, se lo interrogavano su Katherine
Mansfield, rispondeva sempre con un grande accento di
sincerità: "Me non conoscere" […].
Per
Gurdjieff, Katherine Mansfield non aveva ancora una
esistenza vera nel significato che lui intendeva, non era
ancora un io reale, un'anima, mentre agonizzava sotto il suo
tetto. Al livello della creatura umana normale, qualunque
sia la nobiltà dell'ambizione, la grandezza dell'avventura
tentata, l'immensità delle sofferenze, l'acutezza dei
sentimenti, non c'è nulla, assolutamente nulla, non c'è
altro che "merdità"»
18. |
Note
1
Cfr. P. D. Ouspensky,
op. cit., pagg.
246-250.
2
Cfr.
L.
Pauwels, op.cit., pagg. 155-156.
3
Libro di Ferdinand
Ossendowsky, apparso in origine nel 1923.
4
Cfr.
L. Pauwels,
op.cit., pagg. 187-191.
5
Ibid., pagg. 287-288.
6
Ibid., pagg. 282-283.
7
Ibid., pag. 335.
8
Ibid., pag. 272.
9
Ibid., pagg. 273-276.
10
Cfr.
P. Citati, “Vita
breve di Katherine Mansfield”, Rizzoli, 1980.
11
Cfr. P. D.
Ouspensky, op. cit., pagg.
258-259.
12
N. FUSINI, La
figlia del sole. Vita ardente di Katherine Mansfield, Mondadori, 2012, pag. 119.
13
Ibid., pag. 125.
14
Ibid., pag. 135.
15
Ibid., pag. 141.
16
Ibid., pag. 142.
17
Ibid., pag. 143.
18
Cfr.
L. Pauwels,
op.cit., pagg. 269-270.
|