VII
GURDJIEFF E L'OCCULTISMO
Gurdjieff ha
sempre avuto un atteggiamento molto astuto riguardo
all'occultismo. La sua dottrina è una cosa completamente diversa da
quella esplicitamente satanista di Aleister Crowley, e lui stesso
criticava le varie forme di occultismo moderno, lo spiritismo, la
Teosofia, ecc... (come del resto faceva anche il massone René
Guenon). Allo stesso modo, però, faceva intendere di aver
conosciuto benissimo molte pratiche magiche (e sicuramente ne aveva
fatto uso). Anche lo scrittore Aldous Huxley (1894-1963) definiva gli scritti di
Gurdjieff «l'opera classica di un mago»
1. Lo
stesso Ouspensky inoltre racconta di come il «maestro», durante il
periodo di soggiorno ad Essentuki, insegnasse ai suoi discepoli a
riconoscere le manifestazioni soprannaturali dai trucchi:
«Quando
fummo tutti riuniti, nel marzo 1918, vennero stabilite nella
nostra casa regole molto rigide; era proibito allontanarsi,
si stabilirono turni di guardia giorno e notte, e così via.
E cominciarono i lavori più vari.
Nell'organizzazione della casa e delle nostre vite furono
introdotti principi molto interessanti.
Gli
esercizi, questa volta, erano molto più difficili e vari di
quelli dell'estate precedente:
esercizi ritmici accompagnati da musica,
danze di dervisci, esercizi mentali, studio
dei diversi modi di respirare, e così di seguito.
Particolarmente impegnativi erano gli esercizi di imitazione
dei fenomeni psichici: lettura del pensiero,
chiaroveggenza, manifestazioni medianiche, ecc...
Prima di cominciare tali esercizi, G. ci aveva spiegato che
lo studio di questi "trucchi", come li chiamava, era
obbligatorio in tutte le scuole orientali, perché senza aver
prima studiato tutte le imitazioni e contraffazioni
possibili, non era pensabile cominciare lo studio dei
fenomeni di carattere sopranormale. Un uomo non può
distinguere il reale dal falso in questo campo, se
non quando conosca tutti i trucchi e sia in grado di
riprodurli egli stesso. G. diceva inoltre che uno studio pratico
dei "trucchi psichici" era di per sé un esercizio
insostituibile, e che era quanto di meglio si potesse
desiderare per lo sviluppo della perspicacia, dell'acutezza
dell'osservazione, dell'avvedutezza e di altre qualità
ancora, che il linguaggio della psicologia ordinaria ignora,
ma che certamente devono essere sviluppate.
Ciononostante, il nostro sforzo era soprattutto basato sulla
ritmica, e su strane danze destinate a prepararci a fare in
seguito degli esercizi di dervisci»
2. |
Ma Ouspensky è
ancora più esplicito in questo passo, quando riporta l’opinione di
Gurdjieff sulla magia nera:
«Mi è
stato spesso chiesto che cosa sia la "magia nera", e
ho risposto che non vi è nessuna magia rossa, né verde, né
gialla. Vi è meccanicità, cioè "ciò che capita", e vi è il
"fare". "Fare" è magico, e non vi è che un modo di "fare".
Non possono esservene due. Ma può esservi una
falsificazione, una imitazione delle apparenze esteriori del
"fare", che non può dare alcun risultato oggettivo, ma che
può ingannare le persone ingenue e suscitare in esse la
fede, l'infatuazione, l'entusiasmo e persino il fanatismo.
Questo
è il motivo per cui, nel vero lavoro, cioè nel vero "fare",
non è più possibile alcuna infatuazione. Ciò che definite
magia nera è fondato sull'infatuazione e sulla possibilità
di giocare sulle debolezze umane. La magia nera non
significa, in nessun modo, una magia del male. Vi ho già
detto che nessuno fa mai del male per amore del male o
nell'interesse del male. Ognuno fa sempre tutto
nell'interesse del bene così come egli lo comprende.
Nello stesso modo, è del
tutto erroneo affermare che la
magia nera
è necessariamente
egoista,
che nella
magia nera l'uomo mira obbligatoriamente ad ottenere dei
risultati per sé stesso. Niente è più falso.
La magia nera può essere molto altruista, può
perseguire il bene dell'umanità, può proporsi
di salvare l'umanità da mali reali o immaginari.
Ma ciò che può essere chiamato magia nera ha sempre un
carattere definito. Questo carattere è la tendenza a
servirsi delle persone per qualche scopo, anche il
migliore,
senza che essi lo sappiano o senza che comprendano,
sia suscitando in essi la fede e l'infatuazione,
sia agendo su di essi con la paura.
Ma a
questo riguardo occorre tener presente che un "mago nero",
buono o cattivo che sia, ha dovuto passare attraverso una
scuola. Egli ha imparato qualche cosa, ha inteso parlare di
qualche cosa, sa qualche cosa; egli è semplicemente un "uomo
educato a metà" che è stato allontanato da una scuola,
oppure che l'ha lasciata avendo deciso che ne sapeva ormai
abbastanza, che si rifiutava di restare più a lungo sotto la
tutela di qualcuno, e che poteva lavorare indipendentemente
e anche dirigere il lavoro degli altri. Ogni lavoro di
questo genere può produrre solamente risultati soggettivi,
cioè non può che deludere sempre di più e aumentare il sonno
invece di diminuirlo. Si possono nondimeno apprendere
certe cose da un mago nero, sebbene in modo sbagliato.
Può persino capitargli, per caso, di dire la verità.
È per questo motivo che io vi dico che vi è ben peggio della
"magia nera". Per esempio, tutte le specie
di società "spiritistiche", "teosofiche"
e altri gruppi "occultistici". Non soltanto i
loro maestri non sono mai stati in una scuola, ma non
hanno nemmeno mai incontrato qualcuno che sia stato in
contatto con una scuola. Il loro lavoro non è che
scimmiottatura. Ma un lavoro imitativo di questo genere
procura una grande soddisfazione. Qualcuno si prende per un
"maestro", gli altri si prendono per "discepoli" e tutti
sono contenti. Nessuna realizzazione della propria nullità
può essere ottenuta in questo modo; e se qualcuno afferma di
aver raggiunto questo risultato, non fa che illudere e
ingannare sé stesso, quando non si tratti di pura menzogna.
Al contrario, anziché realizzare la propria nullità i membri
di queste società realizzano la loro propria importanza e
accrescono la loro falsa personalità»
3. |
In un libro
pubblicato in Inghilterra da Rom Landau, in cui l'autore
intervistava alcuni uomini considerati maestri spirituali (come
Rudolf Steiner, Krishnamurti, ecc...) vi era riportato un curioso
episodio riguardante proprio Gurdjieff e che conferma non solo la
conoscenza, ma anche l'uso effettivo delle pratiche occulte:
«Prima
del colloquio, avevo pranzato con un notissimo letterato
americano che, a quanto m'avevano detto, conosceva Gurdjieff
da parecchi anni. Gli chiesi che cosa ne pensava.
-
"In
realtà non gli ho mai parlato - mi rispose - ma ho
assistito spesso alle sue conferenze, e devo ammettere che
per me quell'uomo è un enigma".
-
"È
vero, secondo lei, che qualche volta si serve dei suoi
strani poteri per fini tutt'altro che spirituali"?
-
"Sarebbe ingiusto affermarlo. Tutti i fatti poco ortodossi
di cui si parla potrebbero integrarsi in un sistema
spirituale di portata profondissima. Non dimentichi che
anche Madame Blavatsky cercava spesso di ottenere dai suoi
allievi certe reazioni autentiche insultandoli o
scandalizzandoli. Forse Gurdjieff agisce nello stesso modo.
Una volta, Orage e altri adepti di Gurdjieff cercarono di
farmi partecipare al movimento. Ho sempre rifiutato, e devo
dire d'essere contento di non avere avuto nulla a che fare
con loro".
- "È vero
che Gurdjieff è cambiato radicalmente dopo quell'incidente
automobilistico"?
-
"Sembra
che sia veramente cambiato. È rimasto per molto tempo tra la
vita e la morte, e può darsi che un'esperienza tanto
dolorosa l’abbia trasformato. Come forse lei sa già, è
uscito il suo primo libro, e mi ha abbastanza sorpreso,
perché mostra un Gurdjieff nuovo, più altruista, meno
materiale".
- "Dove
potrei procurarmi quel libro"?
-
"In
nessun posto, purtroppo. È un'edizione privata, e Gurdjieff
la manda soltanto a quei pochi che giudica degni d'essere
istruiti da lui. Me ne ha mandato una copia, ma lo stile è
tanto orribile che ho. faticato parecchio ad arrivare fino
in fondo".
- "Lei
l’ha visto, In questi ultimi tempi"?
-
"Si, a
un ricevimento, la primavera scorsa. Le racconterò un fatto
molto curioso accaduto quel giorno. Una mia amica, una
famosa romanziera, era seduta alla mia tavola. Le indicai Gurdjieff, che era seduto ad una tavola vicina, e le chiesi
se lo conosceva. "No, chi è"?, rispose lei, guardandolo. Gurdjieff colse il suo sguardo e subito lo vedemmo aspirare
ed espirare in un modo particolare. Sono troppo abituato a
questo genere di trucchi per non capire subito che Gurdjieff
stava servendosi di un metodo orientale. Qualche attimo dopo
mi accorsi che la mia amica impallidiva e sembrava sul punto
di svenire. È una donna che di solito sa controllarsi
perfettamente, e il suo atteggiamento mi sorprese. Dopo un
istante, si riprese, e le chiesi che cosa le fosse successo.
"Quell'uomo è fantastico", mormorò. "È successa una
cosa spaventosa", riprese. Poi, all'improvviso, si mise a
ridere, della sua risata cordiale. "Dovrei vergognarmi, ma
non importa, le dirò che cos'è successo. Ho guardato il suo
"amico",
e lui ha sorpreso il mio sguardo. Allora mi ha fissata a sua
volta, in modo tale che, dopo un istante, mi sono sentita
toccata al centro del mio sesso. È ignobile!"»
4.
|
Ma al riguardo ci
sono racconti ben più inquietanti di questo, che tutto sommato fa
sorridere. Vogliamo riprendere ancora una volta la testimonianza di Frances Rudolph, che oltre ad aver subito notevoli pressioni
psicologiche, ad un certo punto comincia ad accusare anche molti
problemi fisici. Il racconto è un esempio allarmante di quelli che
erano i metodi usati nei gruppi di Gurdjieff. Ad un certo punto
Frances inizia a star male e a sentire brividi, seguiti da febbri.
«Mentre
facevo progressi notevoli nella sensazione di me stessa, le
mie condizioni di salute peggioravano. Non associai mai,
consciamente, questo progresso parallelo; ma sapevo, senza
capire perché, che sarebbe stato inutile per me andare da un
medico. Sapevo che nessun medico avrebbe potuto aiutarmi»
5.
|
Solo grazie
all’insistenza dell'amica Pat (assieme alla quale era entrata nel
gruppo gurdjieffiano), Frances si fa visitare da un medico del
gruppo, che le prescrive un riposo assoluto di sei settimane nonché
una cura comprendente molti sedativi, medicinali e iniezioni per il
cuore. Ma questa non si rivelerà una grande idea... (N.B.: Blank,
Fish e Vide sono nomi di fantasia)
«Quando
uscii dallo studio del dottor Fish, non sapevo se dovevo
seguire o no i suoi consigli. Come una falena attirata da
una lampada, andai subito a incontrarmi con una persona per
cui provavo una crescente attrazione. Durante quel breve
appuntamento mi fu fatta una dichiarazione d'amore che io
accettai senza esitare neppure per un attimo. Non ero
innamorata, ma avevo un grande bisogno d'amore. Desideravo
essere
furba
e prendere ciò che mi occorreva. Chi annega non rifiuta
l'aiuto che gli viene offerto. Potei restare con M. solo per
pochi minuti, poi saltai su di un tassì per andare dalla
signora Blank
[…].
All'improvviso decisi di essere veramente esaurita e di
avere veramente bisogno di riposo. Sì, avrei lasciato
temporaneamente il
lavoro
e sarei rimasta a letto per sei settimane. M. sarebbe venuto
a trovarmi e mi avrebbe portato dei fiori. Benché
non fossi innamorata, speravo di potermi salvare,
grazie all'amore, dai maghi che volevano la
mia pelle e le mie ossa. Non mi rendevo conto che il
potere dei maghi era così grande che tutti i miei sforzi
penosi e ostinati di amare sarebbero stati vani. Per
nove mesi avevo tentato, senza riuscirci, di
stabilire l'identità. Interiormente,
ero morta come una pietra. Esteriormente, dovevo dare la stessa
impressione, perché coloro che non mi avevano conosciuta
prima mi guardavano e poi dicevano a Pat, con molto tatto,
che io stavo per morire.
Quando
mi fui messa a letto, come mi aveva prescritto il dottor
Fish, mi accorsi che era molto difficile alzarmi di nuovo.
L'enorme quantità di sedativi mi manteneva sempre
in uno stato crepuscolare,
e la borsa d'acqua calda sul fegato contribuiva e
indebolirmi.
Dopo un numero incalcolabile d'iniezioni e di
pillole per il cuore,
per la prima volta incominciai a rendermi conto della
presenza di quell'organo dentro il mio corpo.
Incominciò a ballare un
boogie-woogie
impazzito,
saltando e battendo selvaggiamente,
per poi calmarsi e ricominciare daccapo quando meno me lo
aspettavo.
Pensai: "Fish è proprio un medico meraviglioso: ha scoperto
che avevo qualcosa al cuore, e io non lo avevo mai
sospettato"!.
Piombai in una specie di letargo e rimasi a letto per sette
od otto settimane. Alzarmi mi era praticamente
impossibile. Restavo a letto e sentivo la morte che
saliva dentro di me. Nella nebbia dei sedativi,
mi sentivo spaventosamente allarmata.
Non volevo morire per una
ragione inspiegabile e "non naturale". Non potevo
comprendere che cosa mi era successo. Mentre seguivo la cura
prescritta dal dottor Fish, M. mi veniva a trovare. Benché
mi fosse quasi insopportabile non potere sentire quasi nulla
per lui, sono convinta che gli sforzi che feci per provare
qualcosa mi salvarono la vita. Quando capii che, se fossi
rimasta ancora a letto, non sarei mai guarita, mi alzai.
Questo avvenne all'inizio di dicembre. Tutto il coraggio
che possedevo lo concentrai su di un unico scopo:
cercare d'aprire una breccia nel muro del richiamo di sé e
della non-identificazione che mi impediva di amare.
Lottare per amare... chi ha mai sentito parlare d'una
cosa simile? Dovrebbe essere naturale come respirare
e come mangiare. Non esistono parole che possano
descrivere l'orrore della mia situazione. Dissi a Pat d'informare la signorina Vide
che rinunciavo al
lavoro,
non perché mi rendessi
conto che mi aveva portata tanto vicino alla morte, ma
semplicemente perché non potevo fare altro che combattere
per restare in vita. Istintivamente, sapevo che sarei stata
spacciata, se non avessi potuto amare. Tutta la mia energia
si impegnò in quella lotta. Invano: ero sconfitta; ero
schiacciata sotto il pollice del demonio. Il
lavoro
mi aveva vinta. Pat
cercò abilmente d'indurmi a ritornare al
lavoro.
Resistetti
fino alla metà di gennaio, ma poi seppi che ero soltanto una
macchina, una macchina che non poteva amare. Dove potevo
andare se non al
lavoro,
per trovare un po' di aiuto?
[…].
Ci
incontravamo nella stanza d'albergo della signorina Vide,
che dava sulla Senna. Per quanto mi impegnassi molto nel
lavoro,
non riuscivo ad accontentarla, benché ogni volta mi sembrava
di essere molto vicina al successo. Quella promessa di
qualcosa d'imminente mi spingeva a continuare. Ormai, non
potevo più tornare indietro. Dovevo andare fino in fondo.
Dovevo seguire la mia strada, fino a quando fossi arrivata
al bivio finale.
La vita
era una monotonia lunga e dolorosa. Non potevo scrivere. La
signorina Vide aveva detto che era inutile scrivere, se non
si è pagati per farlo. Chi sarebbe stato disposto a pagare
le mie poesie? Smisi di comporle. La poesia era la sola cosa
che potevo ancora amare nella vita, ma non potevo più
scrivere. Il
lavoro
mi aveva mostrato quanto fosse ignominioso essere uno
strumento creativo.
Bisognava essere Dio, o niente. Io ero niente,
niente, niente.
Quando
i "profani" mi chiedevano che cosa facevo a Parigi, non
potevo mai dirlo. Considerato quanto fosse pazzesco il costo
della vita a Parigi per uno straniero, soprattutto per un
americano, i lavoretti che facevo per guadagnare qualche
franco erano ridicoli. E non potevo parlare delle mie "attività nei gruppi". Non si dice: io faccio il
lavoro.
Non potevo leggere... a parte la letteratura del gruppo, non
c'era nulla che valesse la pena di essere letto. Non potevo
scrivere: non ero pagata per farlo. Non potevo amare... una
macchina non può amare. Che cosa facevo? Sembrava che non
facessi niente, e invece la lotta che conducevo giorno e
notte stava quasi per uccidermi. Ma cos'era quella lotta?
Non lo sapevo. Non potevo dirlo»
6. |
Frances comincia a
rendersi conto di essere in qualche modo ipnotizzata e di essere
pericolosamente vicina alla morte:
«Quando
compresi per la prima volta la vera natura del
lavoro l’improvvisa
rivelazione spinse la morte a lottare. Con orrore feci l’esperienza
dei sintomi fisici della morte. La notte
mentre
ero a letto e tentavo di addormentarmi, le mie gambe
e le mie braccia scattavano, lanciate bruscamente in
aria. In tutto il corpo, il mio sangue balzava
e saltava come un fagiolo messicano. Tutto in me,
sembrava aspirato dall'alto.
Continuavo a vedere l’immagine d’un uccellino morto, a zampe
all'aria. E sempre, dentro di me, risuonava la "preghiera"
di Belzebù per la nonna morta:
"Possa
riposare con i santi
adesso che
ha tirato le cuoia".
Per
una decina di giorni, il mio corpo sembrò sul punto di
morire. Ero convinta che "loro"
sapessero che avevo scoperto la verità sul loro conto e che,
per mezzo della magia nera, volessero punirmi.
Durante il giorno, riuscivo a conservarmi
relativamente tranquilla. Ma la notte era il loro
regno, e allora giacevo madida d'un sudore
angoscioso, torturata, quando mi addormentavo,
dagli incubi dell'orrore senza fine del
lavoro.
Avevo tanta paura che potessero vendicarsi
che decisi d'inventare una magia bianca, da contrapporre
alla loro magia nera. Non voglio dire quale magia bianca
abbia usato. Dirò soltanto che, per quanto ciò possa
apparire puerile, i miei esercizi mi aiutarono a superare
quel periodo iniziale di terrore. Non era necessario che
esortassi Pat ad adottare quella magia bianca difensiva: se
mai c'è stata una ragazza protestante fino al midollo delle
ossa, quella è Pat. Comunque, non vide nulla di
superstizioso nelle nostre armi improvvisate per difenderci
dai maghi. A lei come a me, sembravano e sembrano tuttora
assolutamente ragionevoli.
A parte
le "formule magiche", il solo modo per proteggermi che
conoscessi consisteva nel
comprendere
sempre più
chiaramente. Quando si conosce il diavolo e tutte le sue
astuzie, il demonio è ridotto all'impotenza. Mentre ero a
letto, combattevo il mio terrore
pensando.
Riesaminavo nella mia mente tutto ciò che era accaduto,
inserendo i singoli avvenimenti in un quadro complessivo
sempre più coerente. Gli scritti di Gurdjieff e molti
passi dell'opera di Ouspensky mi apparivano
improvvisamente chiari.
A
proposito del problema che l'ossessionava, lo "scopo della
vita umana", Gurdjieff dice: "Ho la convinzione chiara e
assoluta che le risposte che cercavo, e che nella loro
totalità potevano gettare luce su quei problemi fondamentali
dell'io, si possono trovare soltanto se sono del tutto
accessibili all'uomo, nella sfera dello spirito inconscio
dell'uomo. Quindi, ebbi la convinzione che, a questo scopo, era
indispensabile per me perfezionare la mia conoscenza di
tutti i particolari della formazione e del meccanismo della
manifestazione dell'anima generale dell'uomo
[…].
Dopo
aver liquidato tutti i miei affari, cominciai a
raccogliere tutte le opere scritte e tutte le informazioni
orali che ancora sopravvivevano in certe zone dell'Asia su
questo particolare ramo della scienza, che era stata molto
sviluppata nei tempi antichi e che si chiamava Mehkeness
cioè "l'azione di togliere la responsabilità",
della quale la civiltà occidentale conosceva
solo una parte insignificante sotto il nome di
"ipnotismo", fino a quando tutta la
letteratura esistente sull'argomento mi diventò
perfettamente familiare
[…]".
Con mio
grande spavento, compresi il vero compito degli "insegnanti"
dei movimenti, e l'esercizio della sensazione.
Compresi perché il mio corpo incominciava a morire. Non
compresi esattamente
in che modo mi era stato fatto tutto
questo, ma sapevo che me l'avevano fatto. Pensai agli
immensi greggi di agnelli ipnotizzati dai maghi e ancora
controllati a Parigi, Lione, Londra, nell'America
meridionale e nelle principali città americane. Il mio cuore
provava pietà per i membri del gruppo di Parigi, che nel
caso d'una guerra sarebbero stati abbandonati a sé stessi,
mentre i loro "capi" se ne sarebbero andati negli Stati
Uniti o nel Sud America»
7. |
Frances Rudolph a
questo punto racconta la sua vicenda a Louis Pauwels, del quale
aveva letto un articolo su Gurdjieff tempo prima. Anch'egli aveva
avuto una esperienza terribile. Decidono di raccogliere le
testimonianze. Poi, un po' alla volta, con il suo aiuto e quello di
altre persone, Frances riuscirà a venir fuori da questo incubo.
Un altro episodio
perlomeno dubbio narrato da Pauwels è quello di una ragazza russa di
nome Irène-Carole Reweliotty, morta a venticinque anni in un
modo che desta molti sospetti. Anche Irène era malata di
tubercolosi, si era curata nell'Alta Savoia, sul pianoro d'Assy,
dove aveva conosciuto gli scrittori Luc Dietrich e René Daumal, che
la condussero verso Gurdjieff.
«Quando
ritornò a Parigi, lei si slanciò nei "gruppi" con la
frenesia che metteva in tutte le cose.
Tuttavia cominciò a trovarsi a disagio. Conobbe la rivolta e
la disperazione […]. Qualche giorno prima di morire, Luc
Dietrich le scrisse per consigliarle di allontanarsi un po'
dal "lavoro". La sentiva intimamente straziata, turbata, e
all'improvviso s'era spaventato. Lei continuò a frequentare
i gruppi per fedeltà alla sua memoria. Mori anche René Daumal. Lei esitò, pensò di rompere con il
"lavoro". E
allora, nel momento in cui incominciava a dubitare della
sincerità di alcuni membri della società Gurdjieff cui s'era
legata, della possibilità di raggiungere quello stato
sovrumano che le avevano promesso, una discepola decise di
presentarla a Gurdjleff. Non lo aveva mai incontrato.
Dubitava di certuni, ma non dell’uomo di cui Dietrich e
Daumal parlavano con estrema venerazione. Era veramente
Colui che apre la porta,
il Maestro. Fu invitata a cena in Rue du
Colonel-Renard. Ecco, la grande avventura stava veramente
per incominciare. Era senza dubbio il primo giorno di
"un'altra vita".
La cena
si svolse come al solito. Durante quella cena,
all'improvviso, parlandole in russo, che nessun altro dei
convitati capiva, il vecchio le chiese di fingere
d'andarsene con gli altri, alla fine del pasto, e di
ritornare subito. Irène non sapeva come interpretare quella
richiesta. Aveva paura. Se ne andò con gli altri. Telefonò a
Gurdjieff da un caffè di Avenue Wagram. Gli disse che sua
madre l'aspettava e che non poteva tornare da lui. Allora
Gurdjieff l'insultò con parole che non nascondevano nulla
delle sue intenzioni. Era Rasputin furioso. Lei provò una
scossa tremenda, un grande orrore, una disperazione totale.
Il giorno dopo, andò a trovare la discepola che l'aveva
presentata a Gurdjieff e le dichiarò che rompeva con
l'Insegnamento. Quella le rispose che ciò poteva causarle
molti guai, la schiaffeggiò, la mise alla
porta.
Sconvolta, distrutta, Irène parti per il pianoro di Assy,
per tentare di ritrovare la calma.
Qualche giorno dopo il suo arrivo, ebbe una crisi
cardiaca che niente faceva prevedere.
La sua ultima lettera alla
madre,
datata 2 agosto, comincia cosi: "Cara mamma,
finirò per credere che G. mi abbia fatto un
sortilegio".
Mori
il giorno 11, senza che i medici capissero il perché. Suo
fratello, un noto musicista di jazz, mentre la vegliava
nella camera mortuaria, credette di vedere apparire
Gurdjieff, che non aveva mai visto, ma che riconobbe. Uno
dei suoi amici andò a trovare uno scrittore celebre,
perfettamente in grado di parlare di Gurdjieff. Volle
interrogarlo sulla morte d'Irène. "Se tiene a sé
stesso, non si immischi in questa faccenda",
gli rispose lo scrittore.
Irène-Carole Reweliotty era entrata alla rivista
Carrefour
subito dopo la Liberazione. Félix Garras, direttore di quel
settimanale, e il suo amico Henry Muller hanno pubblicato il
diario intimo della ragazza, nelle edizioni La Jeune Parque»
8. |
Per concludere la
nostra trattazione su Gurdjieff, abbiamo scelto di riportare proprio
un estratto di questo diario, molto breve ma particolarmente
toccante. In esso emergono la lotta interiore e i dubbi avuti da
Irène pochi giorni prima della morte, quando ormai la ragazza
sembrava aver deciso definitivamente da che parte stare:
27 luglio
1945
«Sono
una contadina. Appartengo alla terra. Dalla terra vengo alla
terra ritornerò. O Dio,
in questo dialogo con il vento tu m'hai risposto. No, la
mia esaltazione non era artificiale. Ti ho
pregato, parlato. Ritornerò a battermi perché tu lo vuoi. Ma
è a te che appartengo soprattutto, perché tu solo mi salvi e
conosci il mio vero posto, tu solo saprai mettermi là quando
verrà il momento.
Quegli
individui, che orgogliosi (il gruppo Gurdjieff; N.d.R.)! Non bisogna dire
"Io sono", ma "Egli è".
Non
riconosco a nessun uomo il diritto d'impicciarsi della mia
vita spirituale. La mia
salvezza è una faccenda che verrà regolata tra Dio e me. È
tutto. E ho
capito che amavo Dio.
Io
dormo al centro del mondo»
9. |
Abbiamo visto che nel mondo della cultura più di qualcuno si è
lasciato sedurre da Gurdjieff, le cui idee hanno esercitato
un'influenza molto più profonda di quanto non appaia a prima
vista. Ma l’Insegnamento propugnato da Gurdjieff conduce ad una
vera elevazione spirituale o non è forse un percorso mirante a
realizzare l'auto-divinizzazione di sé? Si può forse supporre di
avvicinarsi a Dio in questo modo? Noi riteniamo di no; del
resto, per ammissione dello stesso Gurdjieff, la Quarta Via è
una via «contro la natura e contro Dio».
L'Insegnamento prevede una serie di tecniche assai pesanti
(movimenti, osservazione di sé, danze, ecc...) finalizzate ad
ottenere uno stato superiore di coscienza. Nel misticismo
cristiano invece è Dio che si rivela di Sua iniziativa
all'uomo e lo fa manifestando il Suo amore. Quella di Gurdjieff
è una via che relativizza la verità, che distorce la morale
secondo i propri scopi, che inverte il concetto di Bene e di
Male, che non contempla l'amore per il prossimo, che sovverte
l'intero sistema di valori della società.
Una via che provoca gravi conseguenze fisiche e psichiche nei
suoi adepti, se non addirittura la morte nei casi più gravi, è
una via oscura, pericolosa e luciferina. Ma per fortuna quello
di Gurdjieff non è l'unico cammino «spirituale» a disposizione
dell'umanità. Ce n'è uno di molto più sicuro e luminoso, che ci
insegna la bellezza dell'amore per il prossimo e del dono
gratuito di sé, quello di Gesù Cristo: «Io sono la via, la
verità e la vita» (Gv 14,6).
Per chi
volesse approfondire ulteriormente il personaggio
Gurdjieff, nonché l'azione dei vari gruppi che in epoca
più recente si rifanno al suo
«Insegnamento», e soprattutto i danni provocati agli
adepti, segnaliamo questo sito francese:
http://www.prevensectes.com/gurdj.htm
In
particolare, raccomandiamo la terza parte del saggio
Le Système Gurdjieff (2006):
http://ns4005993.ip-192-99-13.net/gurdj3.pdf
|
Note
1
Cfr. L. Pauwels, op.cit.;
si veda in nota a pag. 46.
2
Cfr. P. D. Ouspensky,
op. cit., pag. 410.
3
Ibid., pagg. 252-253.
4
Cfr. L.
Pauwels, op. cit., pagg. 49-50.
5 Ibid.,
pag. 338.
6
Ibid., pagg.
339-342.
7 Ibid., pagg. 356-359.
8
Ibid., pagg. 301-302.
9
Ibid., pagg. 304-306.
|