Sopra: immagine propagandistica americana in cui è scritto: «Vendicate Pearl Harbor. Lo faranno le nostre pallottole».
Cinquant'anni fa, il 7 dicembre 1941 3, una forza navale giapponese attaccò di sorpresa la base americana di Pearl Harbor, nelle Isole Hawaii 4. Ciò provocò l'entrata in guerra degli Stati Uniti, a fianco della Gran Bretagna e dell'Unione Sovietica, contro le forze dell'asse (Giappone, Germania e Italia). Di questo avvenimento capitale della Storia contemporanea, il grande pubblico conserva in generale la seguente immagine: i giapponesi hanno attaccato a tradimento gli americani; quattro anni più tardi, essi sono stati puniti per il loro misfatto con una sconfitta esemplare. Un'immagine in parte inesatta e che è il risultato di una notevole opera di disinformazione.
È utile sostituirla con la realtà dei fatti, come si evidenzia dalle inchieste e dagli studi storici effettuati fin dal 1941; emergono così certe spiegazioni preziose sugli obiettivi della politica americana durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale e sugli inizi della marcia verso il mondialismo. Ora esamineremo i fatti, la spiegazione dei fatti e le lezioni che possono essere tratte da questa vicenda.
I I FATTI
I fatti conosciuti
All'alba del 7 dicembre 1941, la forza navale giapponese avente il nome in codice Kido Butai (sei portaerei, scortate da corazzate, da incrociatori, da sottomarini e da navi più leggere), attaccò, senza essere stata individuata - e in assenza di una dichiarazione di guerra - la base americana di Pearl Harbor, situata nelle Isole Hawaii. Diciotto navi americane furono affondate o gravemente danneggiate, tra cui otto corazzate 5; 188 aerei americani furono distrutti, la maggior parte al suolo; 2.403 uomini rimasero uccisi. Da parte giapponese, le perdite furono deboli 6. L'indomani, Franklin Delano Roosevelt (1882-1945), presidente degli Stati Uniti, si indirizzò al Congresso con queste parole 7: «Ieri, 7 dicembre 1941 - una data che sarà contrassegnata sempre da una nota d'infamia - gli Stati Uniti d'America sono stati attaccati in modo improvviso e deliberato...». Subito, il Congresso votò una risoluzione in cui si dichiarava lo stato di guerra tra gli Stati Uniti e il Giappone... una decisione che, a causa delle alleanze in vigore, comportò lo stato di guerra anche tra gli Stati Uniti e la Germania. Così, il governo degli Stati Uniti si impegnò nella Seconda Guerra Mondiale rispettando la promessa che era stata fatta da Roosevelt al popolo americano all'epoca della sua campagna elettorale nel 1940: «Noi non invieremo il nostro esercito, la nostra marina e la nostra aviazione a combattere in Paesi stranieri situati al di fuori dell'America, tranne il caso in cui fossimo attaccati». Da parte americana, tre fattori hanno contribuito al successo giapponese:
I fatti meno conosciuti
Dal 1941 al 1946, otto inchieste ufficiali su Pearl Harbor furono intraprese dalle autorità militari o civili. Esse sembrano essere state condotte nell'intento di nascondere certi fatti. Col tempo, certe realtà ignorate finiscono per liberarsi del camuffamento che hanno subìto; i testimoni parlano; le loro testimonianze vengono raccolte. Nel caso di Pearl Harbor, alcuni libri come quello dell'Ammiraglio Robert A. Theobald (1884-1957), intitolato The Final Secret of Pearl Harbor (1954) 8, o quello - già citato - di John R. Toland (1912-2004) intitolato Infamy: Pearl Harbor and its Aftermath (1982) 9, permettono di comprendere meglio ciò che è realmente accaduto 10.
Le notizie di cui disponeva Washington
Parecchi mesi prima di Pearl Harbor, i servizi speciali americani e britannici avevano decodificato i principali codici di comunicazione giapponese (battezzati «Purple», J-19 e AN dagli americani, e corrispondenti al codice diplomatico, al codice dei consolati e al codice della marina). Le informazioni così ottenute avevano presso gli americani il nome «Magic». Dunque, Roosevelt e il suo Stato Maggiore conoscevano nel dettaglio i piani giapponesi e potevano seguirne l'esecuzione e le modifiche giorno per giorno.
Essi furono informati in particolare delle istruzioni giapponesi del 4 dicembre 1941 che davano alle ambasciate e ai consolati giapponesi localizzati negli Stati Uniti e in Inghilterra l'ordine di distruggere i loro codici, il che significava una decisione di entrare in guerra a brevissimo termine. Grazie agli ascolti radio effettuati dalle navi commerciali, essi poterono seguire la marcia della forza navale Kido Butai 11. E dunque, per i dirigenti di Washington l'attacco su Pearl Harbour non poteva essere una sorpresa.
l Le notizie di cui disponeva il comando delle Isole Hawaii
Non andava allo stesso modo nelle Isole Hawaii. I capi militari locali, l'Ammiraglio Husband E. Kimmel (1882-1968) e il Generale Walter Campbell Short (1880-1949), furono tenuti sistematicamente all'oscuro sullo stato delle discussioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e il Giappone, sulle misure prese dal Giappone in previsione di un attacco e sui movimenti della forza navale Kido Butai.
Essi applicarono le consegne provenienti da Washington che gli ingiungevano essenzialmente di proteggersi contro eventuali sabotaggi, di preparare un intervento della flotta nel Sud-Est asiatico e di non prendere nessuna misura che potesse mettere in subbuglio la popolazione locale 12; tutto questo li condusse ad adottare le disposizioni già segnalate... il che facilitò il compito dei giapponesi:
Citiamo la testimonianza dell'Ammiraglio della flotta William Frederick Halsey (1882-1959) 13, che nel dicembre 1941 era uno dei tre principali subordinati dell'Ammiraglio Kimmel: «Tutte le informazioni di cui disponevamo mostravano la probabilità di un attacco giapponese nelle Filippine, nella parte meridionale della Malaysia o nell'Indonesia. Anche se l'ipotesi di un attacco su Pearl Harbor non era esclusa, l'insieme delle notizie che c'era stato comunicato indicava un'altra direzione. Se fossimo stati avvertiti del continuo e scrupoloso interesse di cui facevano prova i giapponesi per le aree esatte e per i movimenti delle nostre navi a Pearl Harbor, interesse manifestato dai messaggi "Magic", non comunicati al comando locale, avremmo evidentemente concentrato le nostre riflessioni sull'atteggiamento pratico da tenere di fronte ad un attacco certo della base» 14.
L'occultamento dei fatti
I dirigenti di Washington - il presidente Roosevelt, l'Ammiraglio Harold Rainsford Stark (1880-1972), capo delle operazioni navali, il Generale George Catlett Marshall (1880-1959), capo di Stato Maggiore dell'esercito - cercarono di coprirsi a vicenda nascondendo i fatti (lo stato di guerra facilitava un tale camuffamento) e lasciando accusare di grave negligenza nel servizio («dereliction of duty») l'Ammiraglio Kimmel e il Generale Short. Tutti i mezzi furono utilizzati: commissioni d'inchiesta oltraggiosamente parziali, testimoni essenziali scartati o sui quali vennero esercitate pressioni affinché non parlassero...
La storia di queste falsificazioni della giustizia ordinata dall'autorità suprema è dettagliatamente descritta nel libro di John Toland; essa porta una prova supplementare - e sorprendente - della realtà dei fatti. L'Ammiraglio Halsey conclude così la prefazione che ha fatto per il succitato libro dell'Ammiraglio Theobald The Final Secret of Pearl Harbor («Il segreto finale di Pearl Harbor»): «Ho sempre considerato l'Ammiraglio Kimmel e il Generale Short come ottimi ufficiali che furono gettati in pasto ai lupi come capri espiatori per avvenimenti che non dipendevano da loro. Essi agirono in base a quanto era stato dato loro di sapere. Sono i nostri martiri militari "fuori serie"» 15.
Roosevelt voleva la guerra con il Giappone
Il presidente Roosevelt conosceva in anticipo l'operazione messa in moto dai giapponesi contro Pearl Harbor, un'operazione rischiosa (l'obiettivo era localizzo a più di 6000 km dal loro punto di partenza) 16, e che poteva riuscire solamente se la base fosse stata colta di sorpresa: «All'avvicinarsi del 4 dicembre (1941) - spiega John Toland - Roosevelt e un piccolo gruppo di consiglieri che comprendevano Stimson, Knox e Marshall, dovevano scegliere tra tre opzioni. Potevano annunciare al Giappone e al mondo intero l'avvicinarsi di Kido Butai, il che avrebbe obbligato quasi certamente i giapponesi a fare marcia indietro. Seconda opzione: potevano informare Kimmel e Short che le portaerei giapponese erano a Nord-Ovest delle Hawaii e dar loro l'ordine di inviare tutti gli aerei di pattuglia a lunga distanza disponibili alla ricerca di questa forza navale. Un attacco così concepito nel segreto poteva riuscire solamente se la sorpresa fosse stata completa; una volte scoperta prima di essere a portata del suo obiettivo, Kido Butai avrebbe dovuto fare retromarcia. (Terza opzione) Un mese prima dell'ultimatum consegnato tramite Hull 17 al Giappone 18, Ickes (segretario di Stato agli interni) aveva scritto nel suo diario: "Da molto tempo ero persuaso che il miglior modo per noi di entrare in guerra sarebbe stato di farlo per mezzo del Giappone" 19. La prima bomba caduta su Oahu 20 avrebbe definitivamente risolto il problema di impegnare l'America - Paese di cui metà della popolazione voleva la pace - nella crociata contro Hitler. La terza opzione avrebbe permesso di ottenere questo risultato: essa consisteva nel lasciare all'oscuro Kimmel, Short e tutti gli altri - ad eccezione di alcuni iniziati - dell'avvicinarsi della forza aeronavale Kido Butai, in modo che i giapponesi proseguissero nella loro operazione fino al punto di lancio senza sapere che erano stati scoperti. Ciò avrebbe reso l'attacco giapponese certo. Se Kimmel, Short e gli altri avessero conosciuto questo segreto, le loro eventuali reazioni avrebbero potuto rivelare ai giapponesi che il loro piano d'attacco era stato svelato» 21. Roosevelt adottò la terza opzione, il che prova che voleva la guerra con il Giappone. Volontà che condivideva insieme ai suoi principali collaboratori, come il già citato segretario di Stato agli esteri Harold Lill Ickes (1874-1952), o il segretario di Stato alla guerra Henry Lewis Stimson (1867-1950), che scrisse nel suo diario in data 25 novembre 1941: «La questione è di sapere come li potremo (i giapponesi) manovrare in modo che essi sparino per primi, senza che ciò comporti troppi pericoli per noi; una faccenda difficile» 22. Su questa volontà di fare la guerra al Giappone, ecco altre due testimonianze: «Posso dire che prima del 7 dicembre 1941, era evidente, anche per me, che mettevamo il Giappone con le spalle al muro. Le condizioni che gli erano state imposte - evacuare la Cina, ad esempio - erano così dure che sapevamo che sarebbero state rifiutate. Non volevamo che il Giappone le accettasse» 23. «Il Giappone è stato spinto ad attaccare l'America a Pearl Harbor 24. É falsificare la Storia affermare che l'America è stata costretta ad entrare in guerra» 25. Dopo un mezzo secolo di disinformazione, questi fatti cominciano a venire allo scoperto, o in modo prudente o in modo aperto: «Roosevelt ha cercato deliberatamente l'attacco su Pearl Harbor per fare entrare l'America in guerra»? 26. A questa domanda che pone alla fine del suo libro Back Door to War: the Roosevelt Foreign Policy (1933-1941), lo storico americano Charles C. Tansill risponde affermativamente, da quel è il contesto del libro, ma è un «sì» appena suggerito... Nel suo articolo del Figaro-Magazine, del 30 novembre 1991, Jean |