di Jacques Lermigeaux 1
Prefazione
A causa delle tante sciocchezze (perché attenuarle timidamente in «inesattezze»?) che si son dette e scritte, apertamente e ammiccando, sarebbe facile cedere alla debolezza di scendere sul terreno della disputa. Va detto subito, invece, che non è questo il senso di questo opuscolo su Galileo Galilei di Jacques Lermigeaux. Non intende, cioè, né ribattere le polemiche con la polemica, né le accuse con controaccuse, che sarebbero inutili, controproducenti e senz'altro di cattivo gusto.
Al contrario, l'Autore di questo studio ha voluto comporre, in breve, alcuni spunti per una meditazione storica attenta e, soprattutto, per un'impostazione corretta della ricerca, scevra cioè da quei pregiudizi (che per essere tali inficiano la correttezza dell'indagine) che sono retaggio di secoli di storiografia massonica e cosiddetta «laica» che ha voluto contemporaneamente regalare alla scienza il suo «martire» e comprovare (manipolando) il ruolo di greve oscurantismo rivestito «da sempre» dalla Chiesa cattolica. Perché, in questa disputa, subito Galileo fu identificato con la «scienza», e quindi alle relative vicende si andò attribuendo un chiaro significato di sfida della ragione alla fede, ponendo lo storico interrogativo circa la preminenza del metodo «scientifico» (che qui assume il significato di «razionale» e «pragmatico») e l'insegnamento dogmatico.
Vignetta anticlericale: la religione incatena l'umanità e le impedisce di progredire mediante l'oscurantismo.
Quanto sia inesatta una simile impostazione, e quanto sia anti-storica lo si vede riflettendo su quanto l'Autore ha scritto per i nostri lettori. È un taglio parziale quello dell'analisi proposta da Lermigeaux: la questione è assai complessa e va ben oltre il caso del povero Galileo. È solo un aspetto, quindi, della vasta questione; ma un aspetto importante. Da ultimo mi pare interessante notare quanto la correttezza dell'analisi storica dei fatti in qualche modo non solo precisi, ma arricchisca e in un certo senso nobiliti anche la stessa figura di Galileo, mettendone in luce l'umanità, il suo essere, cioè, un uomo, non un «caso», uno strumento per le propagande altrui. Un uomo molto «figlio del suo tempo»; con pregi, anche, e qualche debolezza: soprattutto alla «chiara fama». Non ebbe purtroppo la lungimiranza sufficiente a prevedere l'uso fazioso cui si sarebbe prestata la sua «libera scienza».
Scienza e fede 2
Nel 1963, durante lo svolgimento del Concilio Vaticano II, alcuni scienziati cattolici inviarono ai Padri conciliari una lettera collettiva da cui estraiamo il seguente passo:
Questa grave accusa riassume il pensiero della maggioranza degli uomini di scienza e dei filosofi contemporanei. Come docente li conosco abbastanza bene perché ho avuto numerose conversazioni con i colleghi e faccio parte da molto tempo dell'Union Catholique des Scientifiques Français («Unione Cattolica degli Scienziati Francesi»). Sono sempre rimasto colpito dalla loro mancanza di approfondimento su questo tema, accontentandosi il più delle volte di ripetere senza esame critico le opinioni comunemente ammesse ed espresse durante le conferenze, i corsi, su alcuni articoli e su opere apparentemente ben documentate.
Presso l'uomo della strada e nella memoria collettiva di questi ultimi secoli, si perpetua il mito di una lotta accanita tra un blocco ecclesiastico oscurantista e una vittima innocente, incarnazione della scienza. Si è persuasi che Galileo Galilei (1564-1642) sia stato condannato per avere sostenuto la teoria eliocentrica dell'Universo (secondo la quale i pianeti, e in particolare la Terra, girano attorno al Sole che si suppone fisso), contro la tesi, quasi universalmente ammessa nella sua epoca e suggerita dalle apparenze, secondo cui il Sole gira attorno alla Terra (teoria geocentrica).
Proveremo a dimostrare che, in questo caso, si tratta di una schematizzazione tenace, ma semplicistica. Per formarsi una convinzione seria, è da una parte necessario conoscere il più esattamente possibile le origini e lo svolgimento di questa vicenda, e dall'altra sapere ricollocarla nel contesto politico e religioso dell'epoca. È ciò che tenteremo di fare.
Sopra: il sistema eliocentrico in una stampa del 1708.
Un precursore: Copernico
Il principale precursore di Galileo fu l'astronomo polacco Copernico, del quale riprese e perfezionò la teoria eliocentrica. Niccolò Copernico nacque in 1473 a Thorn, sulla Vistola, a Sud di Gdansk. Figlio di un ricco negoziante, egli studiò prima a Cracovia (1491-1495) e quindi a Bologna (1496). Studiò la filosofia, l'astronomia, il Diritto Canonico e andò a stabilirsi a Frauenburg per occupare la funzione di canonico dal 1506 fino alla sua morte, avvenuta nel 1543. Copernico fu un grande scienziato.
Egli conosceva molto bene i filosofi dell'antichità, e in particolare Tolomeo (100-178 d. C.), colui che portò la teoria geocentrica alla sua più grande perfezione. Ma già nel V secolo a. C., certi pitagorici parlavano di un «fuoco centrale» che era il Sole. Tuttavia, il vero precursore di Copernico fu Aristarco di Samo (310 ca a.C-250 ca. a.C.), il quale propose le idee essenziali del sistema eliocentrico, ma non trovò seguito tra i suoi contemporanei. Fin dal 1505, Copernico fu sedotto dall'ipotesi del Sole centro dell'Universo, ma si trattava più di una convinzione metafisica che di una deduzione scientifica.
Egli venne influenzato da una vera mistica della luce e del Sole che già si incontra in Platone (428 a.C.-328 a. C.). Il Sole è un simbolo del divino; essendo il più bello e il più brillante degli astri, dev'essere collocato in un posto d'onore, ossia al centro dell'Universo. Ma Copernico era un uomo prudente. Egli attese il 1512 per far circolare tra i suoi amici un manoscritto che riassumeva i principî del suo modello astronomico. Nel 1533, Papa Clemente VII (1478-1534) ne venne a conoscenza senza muovere alcuna obiezione. Parecchi alti dignitari ecclesiastici incoraggiarono Copernico a pubblicare in toto la sua teoria.
Egli iniziò quindi a redigere una vera «Somma» astronomica, un lavoro monumentale in sei volumi intitolato De revolutionibus orbium cælestium («Le rivoluzioni delle sfere celesti»), ma non osò pubblicarlo integralmente. Ne fece però un riassunto, la Narratio Prima («Prima narrazione»), nel 1540, che conobbe un grande successo, il che lo convinse a dare alle stampe il De revolutionibus orbium cælestium, il cui primo esemplare apparve nell'anno della sua morte, il 1543.
Sopra: Papa Clemente VII e il De revolutionibus orbium cælestium di Copernico.
La rivoluzione copernicana
Numerosi pensatori sostengono che quest’opera apportò una vera rivoluzione nella concezione dell'Universo, ciò che Immanuel Kant (1724-1804) definì la «rivoluzione copernicana». L'uomo non è più al centro dell'Universo. La concezione geocentrica, ereditata dei greci e universalmente ammessa nel Medioevo, fece posto al sistema eliocentrico; la Terra è un pianeta tra altri pianeti. È incontestabile che all'epoca una simile teoria poteva sembrare incompatibile con certi testi della Bibbia. Ad esempio, nel Libro di Giosuè (Gs 10, 12-13) si legge:
Giosuè ferma il Sole sulla valle di Aialon.
Come ha potuto Yahwéh fermare il Sole se questo è immobile al centro dell'Universo? Oggi comprendiamo che in realtà si tratta di una domanda inutile, ma bisogna mettersi nel contesto intellettuale dell'epoca. Nel 1917, in pieno XX secolo, un fenomeno probabilmente analogo a quello della Bibbia si produsse a Fatima, dove decine di migliaia di persone videro una sorta di «danza del Sole», e il Sole che sembrava precipitare a tutta velocità sulla folla, mentre nessuna perturbazione nei movimenti degli astri fu rilevata dagli osservatori astronomici. Questo miracolo aveva come unico scopo quello di autenticare il messaggio rivelato dalla Santa Vergine a tre bambini.
Sopra: Fatima, 13 ottobre 1917; il Sole danza nel cielo davanti ad una folla di 70.000 persone nella Cova da Iria.
Anche nel Libro di Giobbe (Gb 9, 7) è scritto che Giobbe si rivolge a Dio dicendogli: «Dà un comando al Sole ed esso non spunta, conserva le stelle sotto chiave». Nel Salmo 104 (versetto 5) si legge: «Sulle sue basi fondasti la terra, che starà immota in perpetuo». Dunque la Bibbia sarebbe in contraddizione con la realtà descritta da Copernico? In realtà si tratta di una visione semplicistica delle cose. Gli autori dell'Antico Testamento non facevano corsi di astronomia, ma dispensavano un insegnamento religioso e morale.
Tuttavia, anche se erano state chiarite alcune questioni esegetiche relative a queste apparenti contraddizioni, è certo che queste nuove concezioni del mondo ponevano dei gravi problemi teologici. Se la Terra è solamente un pianeta tra altri pianeti, questi ultimi non potrebbero essere abitati? Questi altri esseri avrebbero contratto il peccato originale? Ci sarebbero state altre rivelazioni, altre incarnazioni e altri Cristi? Quesiti al cui riguardo Copernico si mantenne sempre molto discreto.
La reazione alle teorie copernicane
Nel XVI secolo, le idee di Copernico raccolsero solamente poche adesioni. Ci furono dei sostenitori e degli oppositori, il che dimostra che le cose non erano poi così evidenti, e che i suoi argomenti erano poco convincenti. Il più serio dei suoi oppositori fu l'astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601), un osservatore meticoloso che accumulò nel corso di trentacinque anni di ricerche un'enorme quantità di misure di una precisione notevole. Egli non rimase convinto dalle idee di Copernico.
In compenso, il suo collaboratore Johannes Keplero (1571-1630) ereditò alcune sue osservazioni e adottò la teoria eliocentrica. Egli fece fare all'astronomia un considerevole passo in avanti scoprendo le traiettorie elittiche e soprattutto enunciando le tre famose leggi che portano il suo nome, e che spiegano i movimenti dei punti materiali intorno ad una massa puntuale presa come origine, leggi che si applicano ai movimenti dei pianeti intorno al Sole. Ricordo di avere ascoltato una ventina d'anni fa la conferenza di un eminente Padre domenicano, molto conosciuto all'epoca, il quale affermò che i protestanti, molto più aperti alle nuove idee, avevano accolto favorevolmente la concezione del mondo di Copernico. In realtà, accadde esattamente il contrario.
La Chiesa cattolica fu molto prudente e molto lenta nel reagire, mentre le chiese riformate attaccarono immediatamente e vigorosamente, anche prima dell'uscita del De revolutionibus orbium cælestium. I grandi riformatori (Lutero, Melantone e Calvino) condannarono la nuova astronomia come contraria alla Sacra Scrittura. Filippo Melantone (1497-1560) diede alle stampe per diciannove volte un manuale intitolato Dottrine di fisica, in cui tentava di confutare il sistema copernicano. Fin dal 1539, Martin Lutero (1486-1546) attaccò Copernico con termini particolarmente virulenti: «Questo pazzo che pretende di sconvolgere tutta l'astronomia»! Da parte cattolica, la posizione può essere riassunta in quella del Cardinale gesuita San Roberto Bellarmino (1542-1621), membro del Sant'Uffizio:
In modo più generale, è interessante notare che a quel tempo i gesuiti insegnavano la distinzione tra «filosofia naturale» (o fisica tradizionale), che ricercava le cause ed era di dominio di Aristotele (384-322 a. C.), e le scienze matematiche, e in particolare l'astronomia, che si preoccupava soprattutto di «come» elaborare le «finzioni matematiche» (oggi si dice «modelli») più perfezionate per tentare di rendere conto dei fenomeni osservati. Quale uomo di scienza contemporanea non aderirebbe a questa concezione?
Tuttavia, Copernico non riuscì a convincere l'intelligentsia della sua epoca. Gli si accordò tutt'al più il beneficio di un'ipotesi tra tante possibili. Bisogna dire che i suoi argomenti erano poco convincenti. Il «modello» di Copernico era più complicato di quello di Tolomeo. Esso era contro il senso comune e obbligava ad un sforzo di astrazione che rendeva difficile il suo insegnamento. Per molto tempo si insegnarono entrambe le teorie, ma riportando Copernico alla fine degli studi, vista la complessità dell'esposizione.
Fu questo insegnamento che Galileo seguì. Il vero atteggiamento scientifico consiste nell'essere prudenti, e nel restare allo stadio dell'ipotesi in attesa che l'esperienza e le scoperte vengano ad annullare o a confermare la teoria. Tutto sommato, questo era l'atteggiamento dei gesuiti e del Cardinale Bellarmino. Già San Tommaso d'Aquino (1225-1274) aveva scritto nella Somma teologica (1266-1273):
È ciò che si verificò più tardi. Ricordiamo che si definiscono «eccentrici» un insieme di cerchi che non ha lo stesso centro ed «epiciclo» la traiettoria descritta da un punto di un cerchio che ruota senza slittare su un altro cerchio situato sul suo stesso piano.
Galileo, discepolo di Copernico
Galileo Galilei nacque a Pisa nel 1564 (ricordiamo che Copernico era morto nel 1543) in una famiglia modesta con sei figli. Questa gli fece intraprendere gli studi medici nel 1581, ma Galileo scoprì rapidamente la loro mancanza di rigore e si interessò sempre più alla matematica. Nel 1589, egli ottenne una cattedra di insegnante di matematica a Pisa, ma il suo spirito litigioso lo fece entrare in conflitto con la sua Università, dove restò solamente tre anni. Nel 1592, il Senato di Venezia lo nominò lettore di matematica all'Università di Padova, dove restò fino al 1610. Egli insegnò con successo la geometria, l'aritmetica, l'armonica e l'astronomia.
Fu durante questo periodo che si interessò sempre più all'astronomia e aderì al sistema di Copernico, pur insegnando anche quello tolemaico. Nel 1590, un artigiano ottico olandese ebbe l'idea di unire coassialmente una lente divergente (l'oculare) con una lente convergente (l'obiettivo) e realizzò così un cannocchiale che ingrandiva gli oggetti di circa tre volte. Nel 1609, Galileo riuscì a procurarsi i disegni di questo strumento e ne aumentò di molto l'ingrandimento in seguito a numerose prove, senza conoscerne il funzionamento perché ignorava l'ottica geometrica. Mandò un esemplare di questo cannocchiale al Doge di Venezia e gli lasciò credere di esserne l'inventore, da cui il nome «cannocchiale di Galileo» che si è perpetuato fino ai nostri giorni.
Sopra: Galileo mostra il suo cannocchiale al Doge.
Le più alte personalità veneziane si entusiasmarono per questo strumento osservando in lontananza i passanti e le navi che incrociavano al largo, il che valse a Galileo il raddoppio del suo stipendio. Con l'aiuto di questo cannocchiale, in alcuni mesi, dal 1609 al 1610, egli realizzò moltissime osservazioni celesti della più alta importanza, scoprendo numerose stelle fino a quel tempo sconosciute. La Luna non è una sfera liscia, ma è ricoperta di montagne di cui valutò approssimativamente l'altezza.
La Via Lattea è costituita da un insieme relativamente fitto di una moltitudine di stelle. Studiò le macchie solari e scoprì quattro satelliti intorno a Giove, una porzione degli anelli di Saturno e il pianeta Nettuno. Galileo descrisse le fasi del pianeta Venere, analoghe a quelle della Luna. Queste osservazioni furono raccolte in un piccolo opuscolo intitolato Sidereus nuncius («Messaggio siderale»), pubblicato il 16 marzo 1610, che generò grande stupore.
Sopra: il Sidereus nuncius di Galileo.
Le conseguenze delle scoperte di Galileo
Entusiasmato dalle sue osservazioni, Galileo le considerò come le conferme della teoria copernicana. In effetti, i satelliti di Giove mostrano l'analogia di questo pianeta con la Terra e con il suo satellite, la Luna, e questa analogia lo condusse a pensare che questi due pianeti girano attorno al Sole. Bisogna tuttavia notare che per l'esattezza ciò non costituisce una «prova» nel senso scientifico del termine, ma solamente un forte indizio. Peraltro, le osservazioni sulle fasi di Venere erano in accordo con la teoria di Copernico, mentre quella di Tolomeo non poteva renderne conto.
Ma anche in questo caso, non poteva trattarsi di una prova inconfutabile perché anche altri modelli potevano permettere di calcolare le fasi di Venere; in particolare, quello di Tycho Brahe in cui il Sole gira attorno alla Terra immobile e gli altri pianeti ruotano attorno al Sole. Galileo non menzionò mai la teoria di Tycho Brahe. Accusò i suoi avversari di malafede, ma senza portare prove decisive. Ricordiamo che a quell'epoca gli «astronomi matematici» erano nettamente distinti dagli «astronomi filosofi» (si tratta della «filosofia naturale», la nostra fisica). I primi costruivano dei «modelli» che permettevano di rendere conto delle apparenze senza pretendere di descrivere la realtà profonda delle cose. Essi potevano permettersi tutte le audacie senza timore di essere inquietati.
I secondi, in compenso, si proponevano di comprendere la natura delle cose, come i movimenti degli astri nell'Universo. Copernico ebbe la saggezza di farsi classificare nella prima categoria. Galileo, al contrario, rivendicò altezzosamente il titolo di «filosofo». Molto sicuro di sé stesso, egli era troppo preso dalle sue convinzioni per parlare solamente «per ipotesi» come gli consigliavano con sollecitudine i suoi amici e il Cardinale Bellarmino. Questa mancanza di prudenza e - bisogna ben dirlo - di buona fede, gli valse in seguito diversi guai seri. Certamente egli aveva ragione su certi punti, ma non portava a suo favore prove convincenti. Nel frattempo, tutto gli riusciva. Nel 1611, Galileo si recò a Roma dove venne ricevuto con i più grandi riguardi dal prestigioso Collegio Romano dei Padri gesuiti.
Egli fu ammesso, in occasione di una seduta solenne, come membro dell'Accademia dei Lincei, (una specie di Accademia delle scienze), una società di scienziati molto progressista, molto critica nei confronti dell'insegnamento scolastico tradizionale e avida di «nuova filosofia». Ma ben presto, fin dal 1612, cominciarono gli attacchi contro Galileo da parte di universitari e predicatori di Pisa e di Firenze. Si narra di un gioco di parole di uno di essi: «Uomini di Galileo, perché restate così a guardare il cielo»?, parafrasando le parole pronunciate dai due angeli subito dopo l'Ascensione all'inizio degli Atti degli Apostoli. Galileo apprese che la Granduchessa di Toscana, Cristina di Lorena (1565-1636), era turbata a causa delle voci che circolavano a proposito dell'incompatibilità del sistema di Copernico con la Sacra Scrittura.
Si dà il caso che la Granduchessa esercitasse una grande influenza politica e finanziaria, il che spinse Galileo a contrattaccare nel maggio 1615 con una lettera a Cristina di Lorena in cui riassunse le sue idee sull'interpretazione delle Sacre Scritture di fronte alle nuove idee in campo astronomico. Egli prese in prestito dal Cardinale Cesare Baronio (1538-1607), bibliotecario del Vaticano, questa formula lapidaria: «Nella Bibbia, l'intenzione dello Spirito Santo è di insegnarci come si va in cielo e non come va il cielo».
Il che è perfettamente esatto. Nel 1615, Mons. Piero Dini consigliò a Galileo di parlare solamente «per ipotesi». Nello stesso anno, il 12 aprile, il Cardinale Bellarmino scrisse la sua famosa lettera a Padre Paolo Antonio Foscarini (1565-1616), partigiano di Copernico. Crediamo necessario citare il passo fondamentale di questa lettera in quanto riassume perfettamente da una parte il pensiero del Sant'Uffizio, e dall'altra illumina di una luce decisiva il delicato problema delle relazioni tra scienza e Sacra Scrittura. Ecco il passo:
Si può immaginare una proposta più obiettiva, più scientifica e più leale? Galileo era persuaso che avrebbe fornito tali prove. Oggi sappiamo che non solo non le ha mai fornite (esse non furono date che molto più tardi da altri uomini di scienza) e che d’altra parte Galileo sbagliò di grosso su alcuni punti. Uno dei suoi errori figura proprio nel Discorso del flusso e riflusso del mare, un opuscolo che egli redasse a Roma nel 1616, alla vigilia del suo monitum.
Per lui, il fenomeno delle maree costituiva uno degli argomenti decisivi in favore dei due movimenti della Terra: la sua rotazione su sé stessa e la sua rotazione attorno al Sole. Secondo Galileo, le maree sono dovute alla composizione delle velocità di questi due movimenti, velocità che, durante la giornata, aumentano e diminuiscono. Oggi sappiamo che questo fenomeno è molto debole (gli scienziati utilizzano l'espressione «di second'ordine») e che le maree sono dovute principalmente alle attrazioni rotatorie del Sole e della Luna esercitate sulle acque terrestri.
Galileo rifiutava categoricamente la nozione di attrazione a distanza. Un altro errore di Galileo fu la sua interpretazione dei venti alisei. Secondo lui erano una prova della rotazione della Terra; oggi si sa che la causa principale è la differenza di temperatura, e dunque di pressione, tra gli strati di aria polare e gli strati equatoriali.
L'avvertimento a Galileo
Considerando l'assenza di prove da una parte, e dall'altra i pericoli per la fede dovuti alle contraddizioni con la Bibbia (queste contraddizioni furono sollevate solamente molto più tardi), nel 1616 il Sant'Uffizio mise all'Indice dei libri proibiti il De revolutionibus orbium cælestium di Copernico. Galileo non venne menzionato, ma tutti compresero che la cosa riguardava soprattutto lui. D'altronde, egli era stato convocato dal Sant'Uffizio per comparire davanti al Cardinale Bellarmino e al domenicano Padre Michele Seghizzi. Il codice di procedura del Diritto Canonico dell'epoca prevedeva tre sanzioni possibili:
Il Cardinale Bellarmino, che era sempre stato benevolo verso Galileo, si accontentò di un semplice «monitum» chiedendogli di non parlare dell'astronomia copernicana che per ipotesi in attesa di poter fornire prove serie. Fu allora che avvenne un fatto spiacevole. Padre Seghizzi, che conosceva il carattere testardo di Galileo, non pensò per un solo istante che egli avrebbe ubbidito ad un semplice avvertimento.
Convinto di ciò, aveva preparato un «præceptum» che per errore o per malevolenza finì tramite mani ignote nel rapporto, sebbene non corrispondesse alla decisione del Cardinale Bellarmino. Nel 1633, ai tempi del processo contro Galileo, tale documento venne fuori e aumentò la sua colpevolezza, senza che potessero essere ascoltati i testimoni Bellarmino e Seghizzi, che nel frattempo erano deceduti.
Il periodo dopo il 1616
In principio, Galileo rispettò l'avvertimento che gli era stato dato, pur continuando a lavorare e a polemizzare. Il primo dibattito di una certa importanza avvenne con il gesuita Padre Christoph Scheiner (1575-1650), astronomo di Friburgo, a proposito delle macchie visibili sulla superficie del Sole. Quest'ultimo affermava che esse erano dovute alle polveri che gravitano attorno al Sole. Al contrario, Galileo pensava - sbagliando - che si trattasse di nuvole emesse dal Sole. Tuttavia, conviene notare che Keplero l'aveva detto prima di lui. La seconda controversia lo oppose a Padre Orazio Grassi (1583-1654), del Collegio Romano dei gesuiti, a proposito della natura delle comete.
Sopra: Padre Christoph Scheiner s.j.
Nel 1618, tre comete attraversarono il cielo suscitando un grande interesse tra gli astronomi e nel pubblico. Grassi riprese le idee di Tycho Brahe sostenendo che si trattava di corpi celesti che provengono da molto lontano e le cui traiettorie non sono circolari. Ora, agli occhi di Galileo una traiettoria non circolare era «filosoficamente impossibile» e poteva costituire una minaccia per la teoria copernicana. Senza osservazioni e senza calcoli, Galileo affermò che si trattava di un'illusione ottica prodotta dai raggi del Sole negli alti strati dell'atmosfera, del genere degli arcobaleni e delle aurore boreali.
La polemica fu molto vivace e durò per parecchi anni. Oggi si sa che su questo punto Galileo aveva torto. In questo clima polemico, l'Accademia dei Lincei, allo scopo di «rintuzzare l'orgoglio dei gesuiti», fece chiamare Galileo per redigere un'opera che divenne il manifesto della «nuova filosofia», con il preciso scopo di «liberarsi dalla gogna aristotelica». Galileo lo intitolò Il Saggiatore. Esso apparve nel 1623 munito dell'imprimatur ecclesiastico. Quest'opera riprende punto per punto (per confutarli) gli argomenti di Padre Grassi sulle comete e - colmo dell'imprudenza - diede a colui che aveva ragione una lezione sulla metodologia scientifica e sul modo corretto di analizzare.
Sopra: frontespizio de Il Saggiatore di Galileo.
Il libro ebbe un immenso successo, dovuto soprattutto alle sue qualità letterarie, alle sue brillanti metafore, alla sua incisiva ironia - talvolta feroce - alle sue scintillanti parodie dei ragionamenti scolastici che attirarono all'autore le simpatie dei burloni, la maggior parte dei quali non capiva nulla degli argomenti scientifici. In definitiva, si trattava di un'opera sleale per eccellenza.
L'avvento di Papa Urbano VIII
Il 16 agosto 1623, il Cardinale Maffeo Barberini fu eletto Papa con il nome di Urbano VIII (1568-1644). Il nuovo capo della Chiesa era giovane, sportivo, poeta e intellettuale illuminato. Ex Nunzio a Parigi, egli era un amico della Francia. Infine, era un Papa aperto alle nuove idee e libero da pregiudizi. L'Accademia dei Lincei esultò di gioia. Il 27 ottobre 1623, Il Saggiatore venne ufficialmente presentato ad Urbano VIII che ne lesse alcuni passi con divertimento e stupore.
Il nuovo Papa conosceva e apprezzava Galileo da molto tempo. Nel 1616, egli si era opposto ad un'interdizione più severa della teoria copernicana. Spinto dai suoi amici, Galileo si chiese se era giunto il momento di tentare di far rimuovere questo provvedimento. Nell'aprile del 1624, di ritorno da Roma, in uno dei suoi incontri con il Papa, gli espose il suo progetto di pubblicare un'opera in cui i diversi sistemi del mondo sarebbero stati esposti contradditoriamente. Sarebbe stato il famoso Dialogo di cui parleremo in seguito.
Urbano VIII non sollevò alcuna obiezione, ma consigliò Galileo di essere imparziale, di non privilegiare un sistema rispetto agli altri e di presentarli tutti come semplici ipotesi. Nel giugno del 1624, Galileo ritornò a Firenze, portando una lettera del Papa a Ferdinando II de' Medici (1610-1670) nella quale egli veniva qualificato come «figlio molto caro». Egli si mise al lavoro, ma diversi inconvenienti ritardano l'uscita del libro.
I rimproveri contro Il Saggiatore
Nel frattempo, il clima intellettuale era rapidamente cambiato. Incoraggiata dalla presenza sulla Cattedra di San Pietro di un Papa libertario, la «nuova filosofia» si era sviluppata senza timore, aprendosi allo scibile moderno e sviluppando una visione ottimistica dell'uomo. Si cercò di aprire la strada ad un cattolicesimo rinnovato, tentando di scuotere il controllo intellettuale esercitato dai gesuiti. L'Accademia dei Lincei si sviluppò brillantemente. La sua importante biblioteca conteneva opere di autori sospetti di eresia e anche i libri vietati circolavano clandestinamente. Contro questa corrente pericolosa per la fede, il Collegio Romano dei gesuiti reagì vigorosamente.
Nel 1625, una protesta riguardante Il Saggiatore giunse al Sant'Uffizio. Durante i secoli, il testo di questa lamentela fu considerato come perduto. Gli storici erano a conoscenza della sua esistenza grazie ad una lettera di un certo Mario Guiducci (1585-1646), ex alunno e amico di Galileo, ben introdotto negli ambienti romani, e che era il suo informatore quando risiedeva a Firenze. Ma qualche decennio fa, nel 1982, lo storico italiano Pietro Redondi ha trovato negli archivi del Sant'Uffizio un documento anonimo che pretende, per diverse ragioni che sarebbe troppo lungo esporre, di essere la famosa protesta contro Il Saggiatore.
Sopra: lo storico Pietro Redondi.
Redondi attribuisce questa lettera a Padre Grassi, del quale abbiamo ricordato la vivace polemica contro Galileo a proposito delle comete. Padre Grassi rimprovera a Il Saggiatore di aver preso in prestito dalla dottrina di Copernico, ma una denuncia molto più grave riguarda le specie eucaristiche. Nel suo manifesto, Galileo sviluppò una teoria delle «sensazioni» nella quale giocano un grande ruolo le «particelle minimali», che altro non sono che gli «atomi» del filosofo greco Democrito (460-370 a. C.).
Padre Grassi si dice turbato nella sua fede perché, secondo lui, la teoria degli atomi rende impossibile nell'Eucarestia la transustanziazione, ossia la trasformazione della «sostanza» del pane e del vino nella «sostanza» del Corpo e del Sangue di Cristo, in opposizione all'insegnamento della Chiesa ricordato solennemente dal Concilio di Trento. Padre Grassi si chiede se la teoria di Galileo è eretica. Oggi si sa che la teoria atomica non è affatto in contraddizione con la distinzione tra «sostanza» e «accidente» della filosofia scolastica, ma a quell'epoca questa accusa contribuì a rendere sospetto il pensiero di Galileo.
La faccenda del Dialogo
È necessario esaminare da vicino tale questione perché essa fu la causa immediata del processo contro Galileo del 1633. Abbiamo visto che egli iniziò a redigere il suo libro a Firenze nel 1624, e lo intitolò Dialogo sul flusso e riflusso del mare perché era convinto che la sua teoria sulle maree costituisse una prova inconfutabile del sistema copernicano. Ora, abbiamo visto che questa teoria non poteva costituire in nessun caso una simile prova. Nel maggio del 1630, Galileo si recò a Roma e incontrò il Papa che si mostrò ancora una volta favorevole alla pubblicazione del suo libro.
Gli chiese nuovamente di presentare il sistema di Copernico come un'ipotesi, di non tirare in ballo la Sacra Scrittura, e anche di abbandonare la sua pretesa «prova» delle maree di cui certi elementi sembravano assurdi persino ai profani. Gli propose di sostituire il titolo Dialogo sul flusso e riflusso del mare con il titolo che venne poi adottato: Dialogo sui due principali sistemi del mondo: di Tolomeo e di Copernico (in realtà, il titolo era molto più lungo, come era di moda a quell’epoca). Contrariamente a ciò che molte persone credono oggi, al tempo di Galileo, come prima e anche dopo, chiunque poteva pubblicare un libro scientifico senza autorizzazione preliminare della Chiesa di Roma.
È ciò che aveva fatto precedentemente Copernico. Ma Galileo ci teneva assolutamente ad ottenere l'imprimatur perché pensava che questa approvazione della Gerarchia ecclesiastica avrebbe disarmato le reazioni dei personaggi che ingiuriava nel suo libro col disprezzo che aveva sempre manifestato nei suoi scritti o nelle riunioni private verso coloro che non erano del suo parere. Per farcene un'idea, ecco alcuni esempi di ingiurie che figurano nel Dialogo: idioti, stupidi, pigmei mentali, appena degni del nome di esseri umani, ecc... Fuggendo il clima malsano di Roma durante l'estate, Galileo ritornò a Firenze. Ma proprio in quei giorni si diffuse in quella città un'epidemia di peste venuta dal Nord. Venne quindi stabilita una quarantena che vietò immediatamente ogni comunicazione tra Roma e Firenze.
Solo alcune lettere potevano passare tramite l'ambasciatore a Roma del Granduca di Toscana. Galileo decise di approfittare di queste circostanze eccezionali per ingannare coloro che gli erano più devoti e il Papa stesso. Questa fu la ragione principale della sua condanna. Egli voleva pubblicare al tempo stesso un libro il cui contenuto sosteneva esattamente il contrario delle richieste del Papa, come mostreremo in seguito, e tuttavia ricevere la sua approvazione ufficiale. Per tale ragione occorreva evidentemente che il Vaticano accordasse l'imprimatur senza conoscere il contenuto del libro.
Il Papa aveva incaricato Padre Nicolao Riccardi, molto favorevole a Galileo, di verificare che l'autore avesse rispettato le sue richieste. Galileo fece sapere che, non potendo inviare il suo libro a Roma, ma desiderando tuttavia di non ritardarne la pubblicazione, si proponeva di farlo pubblicare a Firenze. Simultaneamente, egli fece esercitare diverse pressioni a Roma tramite i suoi amici fiorentini. Il nuovo ambasciatore di Toscana in Vaticano, Niccolini, molto devoto agli interessi di Galileo, era sposato con la cugina preferita di Padre Riccardi, una certa Caterina. Tutte queste persone desideravano solamente una cosa: giungere ad un compromesso, cosa che avvenne: il libro di Galileo sarebbe stato stampato a Firenze dopo essere stato esaminato da un inquisitore locale.
Sopra: Galileo Galilei all'Università di Padova.
Si chiese a Galileo di redigere una prefazione e delle conclusioni, e di mandarle a Padre Riccardi che avrebbe concesso l'imprimatur senza leggere per intero il libro. Fu allora che la disonestà di Galileo divenne lampante. Egli chiese subito che l'inquisitore designato a Firenze fosse Padre Giacinto Stefani, uno dei suoi amici più devoti, richiesta che gli venne accordata. Ma ecco un fatto molto più grave: la prefazione che scrisse per Padre Riccardi sosteneva esattamente il contrario di ciò che scriveva nel resto del suo libro.
Egli si pretendeva nemico di Copernico: «Voglio - scrive Galileo - difendere il sistema di Tolomeo». Padre Riccardi trovò tutto ciò molto sospetto ed esitò a concedere l'imprimatur. Ma sotto le pressioni amichevoli di Niccolini, della cara cugina Caterina e soprattutto di Padre Giovanni Battista Ciampoli, «cameriere segreto» e grande confidente del Papa, finì per accordarlo nel luglio del 1631, e il Dialogo apparve a Firenze nel febbraio del 1632. Nel giugno dello stesso anno, la quarantena stabilita a causa della peste venne revocata e il libro poté essere venduto anche a Roma.
Dato che lo si aspettava da molto tempo con impazienza, il successo fu immediato, tanto più che era in italiano, di facile lettura e satirico. Esso sollevò immediatamente un entusiasmo prossimo al delirio nello stesso momento in cui iniziarono a tuonare le proteste, soprattutto quando ci si accorse della frode dell'autore. Il Papa rimase profondamente addolorato; lui che aveva sempre trattato Galileo con i più grandi riguardi e persino con amicizia. Egli disse a Niccolini: «L'ho trattato meglio di quanto egli non abbia trattato me, visto che mi ha ingannato». Urbano VIII comprese che bisognava agire.
Il contenuto del Dialogo
Prima di andare più oltre, ci pare necessario riassumere i punti essenziali del Dialogo. Esso è suddiviso in quattro giornate nel corso delle quali tre personaggi discutono. Il primo, Salviati, rappresenta Galileo; si designa come «l'accademico dei Lincei». Il secondo, Sagredo, serve da testimone favorevole, e infine il terzo, Simplicio, sostiene il ruolo del «sempliciotto» che presenta obiezioni strambe e pone domande stupide; egli rappresenta gli oppositori di Galileo, vale a dire coloro che non condividevano le sue idee.
Durante la prima giornata si discute sulle idee generali di Aristotele sul cosmo e di Platone (427-347 a. C.) sulla corruzione della Terra e sull'incorruttibilità del resto del mondo. Il secondo giorno si affronta il movimento della Terra passando in rassegna gli argomenti classici favorevoli o contrari. Ma Galileo resta legato alla concezione artistotelica ormai smentita delle traiettorie circolari. Egli ignora totalmente le leggi di Keplero, morto tuttavia nel 1630, la forza centrifuga, e nega assolutamente l'attrazione tra le masse, realtà tanto certa quanto misteriosa. Ecco ciò che scrive a proposito di Keplero: «Egli ha prestato orecchio e dato il suo assenso al potere della Luna sulle acque, alle proprietà occulte (ossia all'attrazione universale) e ad altre baggianate».
Sopra: frontespizio del Dialogo.
Durante il terzo giorno vengono affrontati gli argomenti astronomici a favore o contro Copernico. Ma anziché presentarli in modo imparziale, come gli aveva chiesto il Papa, Galileo afferma la superiorità del sistema copernicano utilizzando i suoi argomenti abituali: i satelliti di Giove e le fasi di Venere. Egli sostiene poi che Tolomeo, per rendere conto dei movimenti dei pianeti, aveva dovuto adottare «un gran numero di epicicli», mentre per Copernico era sufficiente «un solo ed unico movimento della Terra», il che è falso visto che Copernico utilizza più epicicli di Tolomeo (quarantotto anziché quaranta). In seguito, egli prende in esame un nuovo argomento: quello delle macchie solari. Innanzitutto, si attribuisce la precedenza della loro scoperta: «Il primo scopritore delle macchie del sole, come di tutte le novità celesti, fu il nostro accademico dei Lincei (cioè lui stesso), ed egli le ha scoperte nell'anno 1610».
Ora, le macchie solari erano state osservate molto, molto tempo prima ad occhio nudo da Teofrasto di Atene (371-287 a. C.), nel IV secolo a. C.. In Cina, in Corea e in Giappone erano conosciute fin dall'anno 28 a. C. Un'enciclopedia cinese del XVIII secolo cita 112 osservazioni di questo fenomeno tra il 1588 e il 1638 d. C.. Nel 1611, l'astronomo tedesco Scheiner pubblicò un gran numero di misure relative ai movimenti di queste macchie, osservate con un occhiale. Due anni dopo, nel 1613, Galileo fece apparire come sue osservazioni, e, unicamente per usurpare la precedenza di Scheiner, anticipò la data il suo manoscritto al 1610. Nel seguito della terza giornata, egli utilizza la curva apparente delle macchie solari come argomento per provare la rotazione della Terra attorno al Sole.
È allora che Simplicio gli fa osservare molto giustamente che la curva apparente sarebbe la stessa se fosse il Sole a gravitare attorno alla Terra. Galileo replica che ciò si produrrebbe se il Sole girasse su sé stesso attorno ad un asse di direzione fissa, «il che è quasi impossibile da credere». In modo generale, Galileo sostiene che nessun astro può girare attorno ad un altro mantenendo in una direzione fissa l'asse della sua rotazione su sé stesso. Ora, questo è proprio ciò che avviene per la Terra: il suo asse di rotazione fa un angolo costante di circa 23° col perpendicolare al piano dell'eclittica, vale a dire il piano della sua traiettoria attorno al Sole.
È questa proprietà che produce il fenomeno delle stagioni; senza di essa non ci sarebbero né inverno, né estate. Infine, l'ultima giornata del Dialogo è dedicata soprattutto alla teoria delle maree. Galileo riprende la sua falsa spiegazione negando assolutamente la scoperta di Keplero sull'attrazione esercitata dalla Luna. Ma ancor più grave, ed è ciò che irritò di più Urbano VIII, è che Galileo pretende di sostenere il sistema di Copernico con la Sacra Scrittura. Egli presume di plasmare a suo gradimento gli insegnamenti della Chiesa. Quest'ultima, pensa Galileo, dovrebbe essergli riconoscente per i suoi sforzi che la illuminano maggiormente sul senso della Bibbia! Era troppo: egli aveva superato ogni limite.
Il processo a Galileo
Malgrado la sua delusione e la sua collera, Urbano VIII conservava sempre il suo affetto per Galileo. Egli decise di salvarlo. Contrariamente a tutti gli usi, negò di condurlo davanti all'Inquisizione e decise di fare esaminare la questione da una semplice commissione, sperando che le cose finissero lì. Ma la commissione, dopo avere tenuto cinque sedute in un mese, concluse con la necessità di far comparire Galileo davanti al Sant'Uffizio. Il Papa pianse su questa decisione: «Che Dio gli perdoni l'errore di essersi ficcato in un simile imbarazzo, mentre l'avevo già tirato fuori dai guai una volta quando ero Cardinale».
Il processo ebbe luogo nella primavera del 1633. Il Papa non poteva opporsi alle decisioni del Sant'Uffizio, ma diede comunque disposizioni affinché Galileo fosse trattato con riguardi eccezionali. Al suo arrivo a Roma, egli lo autorizzò a risiedere nel palazzo dell'ambasciatore di Toscana, la famosa Villa Medici che esiste tutt'ora. Una carrozza venne messa a sua disposizione affinché potesse passeggiare per Roma e per i dintorni. I giudici del Sant'Uffizio dovevano emettere il loro verdetto basandosi onestamente sui rapporti di quattro «consultori» scelti tra i teologi che non erano sistematicamente ostili a Galileo.
Sopra: Galileo davanti ai giudici dell'Inquisizione romana.
C'era Padre Riccardi, ex alunno di Galileo, divenuto suo amico, Padre Agostino Oreggio (1577-1635), teologo del Papa, che doveva dunque riflettere il suo pensiero, sempre amichevole, nei confronti dell'imputato. Il terzo, Padre Melchior Inchofer (1585-1648), era un gesuita, e il quarto, Padre Pasqualiga, la pensava esattamente come Inchofer. Galileo venne interrogato quattro volte dal 12 aprile al 21 giugno. Malgrado la sua frode e i suoi molteplici inganni, tutto sarebbe filato liscio grazie all'amicizia del Papa. Ma fin dal primo interrogatorio egli aggravò la sua situazione mentendo sfacciatamente malgrado il giuramento di dire la verità: egli affermò che il suo libro non sosteneva la teoria di Copernico, alla quale non credeva del resto più da molto tempo.
Non gli venne rimproverato di avere esposto questo sistema, perché il Papa glielo aveva consigliato, ma di essere stato «temerario», ovvero di non averlo presentato come un'«ipotesi». Gli si chiese di dire la verità, ma durante gli interrogatori successivi egli si ostinò contro ogni evidenza. Egli pretendeva di essersi dimenticato ciò che aveva scritto, di essersi spiegato male circa la sua opposizione al sistema di Copernico, e si proponeva di scrivere un seguito al suo libro per mettere le cose in chiaro... In una parola, trattò i teologi da imbecilli, mostrando così il disprezzo quasi patologico che nutriva per i suoi contemporanei. Di fronte a tanti inganni e menzogne, la causa sarebbe stata persa davanti a qualsiasi tribunale.
Nel momento in cui il verdetto stava per essere emesso, il Papa disse a Niccolini: «Dopo la pubblicazione del verdetto, ci rivedremo ed esamineremo insieme la maniera di procurargli meno dispiacere possibile». L'ultima seduta del processo si svolse il 22 giugno 1633 nella grande sala del convento dei domenicani di Santa Maria Sopra Minerva. Era giunta l'ora solenne della lettura del verdetto. Il giudizio comportava due parti. Nella prima figura un esposto storico degli avvenimenti dall'inizio delle proteste contro Galileo verso il 1612. Si ricorda la promessa che egli aveva fatto di ubbidire al monitum del Cardinale Bellarmino nel 1616, aggravata dal præceptum di Padre Seghizzi, ingiungendogli di non parlare del sistema di Copernico che «come ipotesi» in attesa di poter fornire prove serie.
Sopra: Galileo legge l'atto di abiura giurando sui Vangeli.
Ma il rimprovero più grave, a lungo esposto, è di avere «estorto mediante promesse ed artifici» l'imprimatur di Firenze ingannando il Papa, il Sant'Uffizio e i suoi amici. La seconda parte contiene la sentenza. La teoria eliocentrica non è dichiarata eretica, ma solamente «contraria alle Sacre Scritture», il che è molto diverso. Difatti, un'opinione non può essere dichiarata «eretica» se non è opposta ad un dogma proclamato solennemente dalla Chiesa nelle condizioni molto precise indicate dal Diritto Canonico. Ecco il testo della sentenza:
Si osservi come i rimproveri siano relativamente blandi: si tratta di «errore», di «disubbidienza», di «reato». Gli si chiede di essere più «riservato» in futuro. Non si parla assolutamente di eresia o di scomunica, come riportano la maggior parte dei dizionari o dei libri di Storia. Le sanzioni e soprattutto le loro applicazioni furono benigne. Galileo doveva recitare i sette salmi penitenziali una volta alla settimana per tre anni. Inoltre, egli fu autorizzato a far recitare queste preghiere al suo posto da una delle sue figlie 4, una monaca carmelitana, Suor Maria Celeste.
Egli fu teoricamente condannato a restare in prigione il tempo che il Sant'Uffizio avrebbe giudicato necessario, ma subito Urbano VIII gli permise di andare dove voleva. Non venne mai imprigionato, nemmeno per un'ora, contrariamente a ciò che spesso è stato scritto. Dopo un breve soggiorno nel palazzo del suo amico Niccolini a Roma, Galileo andò a passare cinque mesi nel palazzo del suo altro amico gesuita Ascanio Piccolomini (1590-1671), Arcivescovo di Siena.
Il Cardinale Ascanio Piccolomini, Arcivescovo di Siena.
Poi si installò definitivamente nella sua casa personale, «Il Gioiello», ad Arcetri, vicino a Firenze dove iniziò a scrivere un nuovo libro. Ricevette numerosi ospiti, tra cui Vincenzo Viviani (1622-1703) ed Evangelista Torricelli (1608-1647), che in seguito divennero celebri. Urbano VIII continuò a fargli versare i redditi dei suoi due benefici ecclesiastici fino alla sua morte avvenuta nel 1642. Certamente, egli dovette pronunciare l'abiura in ginocchio, le mani sui Vangeli, non in pubblico, ma solamente davanti ai suoi giudici. Dovette unicamente ripetere ciò che aveva già detto da sé parecchie volte durante il processo, ossia che non credeva alla rotazione della Terra. Notiamo infine che la famosa frase che egli avrebbe detto rialzandosi - «eppur si muove» - e che viene riportata nella maggior parte dei libri di Storia, è una pura invenzione di Voltaire (1694-1778).
Sopra: Galileo muore nella sua villa di Arcetri invocando il nome di Gesù.
Il bilancio dell'opera di Galileo
Guardando da vicino, ci si accorge che il suo apporto alla scienza e alla conoscenza è in generale abbastanza modesto. Galileo aveva il genio di farsi valere accaparrando a suo profitto le scoperte degli altri. Ne abbiamo fornito alcuni esempi, ma ce ne sono altri. La figura di Galileo e il bilancio della sua opera sono riassunti brillantemente in questo passo del libro di Arthur Koestler (1905-1983) sulla storia della cosmologia, apparso in francese con il titolo Les somnambules («I sonnambuli»):
Sopra: lo scrittore ungherese Arthur Koestler e il suo libro Les somnambules.
Notiamo di sfuggita che la famosa esperienza della torre di Pisa, detta «esperienza di Galileo», fu in effetti realizzata da Simon Stevin, nato a Bruges nel 1548. Essa consiste nel lasciar cadere da una grande altezza degli oggetti di pesi diversi e nel constatare che essi impiegano lo stesso tempo per arrivare al suolo, il che conduce alla nozione di massa e alla relazione fondamentale della dinamica. Nel 1983, è apparso un libro intitolato Galileo Galilei, 350 anni di Storia (1633-1983) 5.
È un'opera collettiva, pubblicata dal Vaticano sotto la direzione di Paul Poupard, ex rettore dell'Istituto Cattolico di Parigi, oggi Cardinale e Presidente del Consiglio Pontificio per la Cultura. Si tratta di una raccolta di studi fatti da religiosi gesuiti e domenicani. I risultati sono stupefacenti. Vi si trova soprattutto il riassunto dei diversi miti conformistici e abituali su Galileo. L'opera si conclude con una dichiarazione di Giovanni Paolo II (1920-2005), il quale ha dichiarato che «Galileo è colui che viene giustamente definito il fondatore della fisica moderna» (!?). Ma in mezzo a questo ammasso convenzionale emerge l'articolo di un domenicano statunitense, Padre William Wallace (1918-2015), il quale apporta nuovi documenti
Sopra: l'opera a più mani Galileo Galilei, 350 anni di Storia (1633-1983) e a fianco Padre William Wallace o.p..
Sono stati rinvenuti alcuni
manoscritti di Galileo, pubblicati come se fossero stati scritti da
lui, che riproducono esattamente i corsi dei professori
Egli si costruì per tutta la vita una reputazione presentando come suoi numerosi insegnamenti dei suoi insegnanti gesuiti, senza mai citarli, senza essergli riconoscente, anzi lanciando molto spesso contro di essi dei violenti attacchi, spesso maligni. Padre William Wallace conclude che questi nuovi documenti devono indurre a sostanziali revisioni nelle esposizioni che i manuali storici dedicano al «mito di Galileo», al processo di 1633 e al ruolo di Galileo nella rivoluzione scientifica.
Gli inizi della scienza moderna
La figura che emerge nettamente nel mondo scientifico di questa epoca è certamente quella di Johannes Keplero. Con lui tutto l'ammasso degli «eccentrici» e degli «epicicli» viene spazzato via e sostituito dalle tre famose leggi di Keplero che rendono molto semplicemente conto dei movimenti dei pianeti intorno al Sole. Le prime due datano dal 1609, la terza dal 1618. Con esse inizia veramente lo scienza moderna. Nel 1604, Keplero formulò per primo la legge fotometrica dell'irradiamento luminoso inversamente proporzionale al quadrato della distanza dalla sorgente.
Egli fondò una nuova scienza, la «diottrica» che studia la luce riflessa. Conoscendo l'ottica geometrica, Keplero perfezionò l'occhiale astronomico (i fisici conoscono bene l'oculare di Keplero). Fin dal 1605, egli intravide la gravitazione universale e la legge di attrazione in ragione inversa al quadrato della distanza, ripresa più tardi da Isaac Newton (1642-1727), e beneficiò delle misure estremamente precise di Tycho Brahe. Egli fu un genio precoce e un accanito lavoratore, malgrado le enormi difficoltà familiari, coniugali e materiali.
Sopra: Isaac Newton.
Egli fu condannato dai luterani e morì in miseria nel 1630, a Ratisbona. Il suo corpo venne inumato in un cimitero che dopo poco venne completamente distrutto dalla guerra. Keplero non ha una tomba. Egli inviava regolarmente le sue pubblicazioni a Galileo il quale non le teneva in nessun conto e restava legato ai vecchi epicicli di Copernico. Galileo non comprese mai la rivoluzione scientifica che si stava realizzando sotto i suoi occhi. Anche alla fine della sua vita scrisse con disprezzo che «la concezione di Keplero non vale nemmeno un centesimo dei miei pensieri». L'espressione di Kant «rivoluzione copernicana» dovrebbe essere sicuramente sostituita da «rivoluzione kepleriana».
Le ragioni profonde del «mito» di Galileo
Sia sul piano scientifico che su quello morale, Galileo è indifendibile. Ci si può chiedere allora perché lo si cita quasi sempre come esempio di scienziato onesto, padre della scienza moderna, condannato dalla Chiesa a causa delle sue opinioni scientifiche. In fondo, condannandolo la Chiesa ha fatto un grande regalo alla memoria di Galileo. Subito dopo il processo del 1633, la vicenda iniziò ad essere utilizzata contro la Chiesa cattolica, e si amplificò nel XVII e soprattutto nel XVIII secolo dal rosacroce Newton, dall'illuminista Bernard le Bouyer de Fontenelle (1657-1757), dal protestante Pierre Bayle (1647-1706) e dal massone Voltaire.
Quest'ultimo vede in Galileo «un grande filosofo». Nel suo Dizionario filosofico (1764) Voltaire scrive: «Ogni inquisitore dovrebbe arrossire fino in fondo all'anima vedendo solamente una sfera di Copernico». Se Galileo non fosse stato condannato, sarebbe rimasto quasi sconosciuto, probabilmente molto meno noto di Keplero.
E siccome si è voluto fare di lui un campione della lotta all'oscurantismo, occorreva che fosse un grande scienziato e un grande pensatore; gli si attribuirono allora grandi scoperte che non ha mai fatto e concezioni scientifiche che non ha mai avuto. Si sostiene che furono le sue idee scientifiche a farlo condannare, il che è assolutamente falso. Papa Urbano VIII ha scritto: «La santa Chiesa non ha condannato la dottrina di Copernico e non la condannerà mai come eretica».
Che i nemici della Chiesa cattolica facciano di ogni erba un fascio falsificando la verità da secoli, è una cosa normale, comprensibile; ma ciò che è costernante è il sentimento di colpevolezza di molti uomini di Chiesa ai nostri giorni, sentimento che d'altronde si ritrova anche in altri settori (Inquisizione, crociate, ecc...). Essa non cessa di rinvangare la «leggenda di Galileo», battendosi continuamente il petto e chiedendo l'assoluzione. Il succitato libro che il Vaticano ha pubblicato riflette questa contrizione morbosa e ingiustificata nella maggior parte dei suoi articoli. Un domenicano francese, Padre Bernard Vinaty, ha scritto:
Evidentemente questo autore non conosce la Storia. In un altro articolo di un gesuita italiano, Padre Mario Vigano, si attribuisce a Galileo «l'introduzione della scienza esatta con le misure precise [...]. Galileo è in effetti il vero padre della scienza moderna», mentre, al contrario, egli si accontentava, come Copernico, di misure e calcoli approssimativi da cui derivano i loro errori nella concezione degli epicicli che non esistono. Fu Tycho Brahe ad introdurre le misure precise e Keplero i calcoli rigorosi.
Padre Vigano parla dell'avversione dei teologi e soprattutto di Urbano VIII verso la teoria copernicana, il che spiegherebbe la severità usata contro Galileo durante il processo del 1633, mentre il Papa non ha mai condannato la teoria eliocentrica; egli chiese a Galileo di farne un'esposizione scientifica nel Dialogo, e ha fatto tutto ciò che era in suo potere per attenuare i rigori, del resto molto relativi, del verdetto del Sant'Uffizio. In conclusione, si può dire che il caso Galileo è solamente un esempio, tra tanti altri, di falsificazione della Storia a scopo ideologico. Rallegriamoci che in questi ultimi decenni un'irresistibile corrente si sta sviluppando per dimostrare alle giovani generazioni che ci si è sbagliati su molti argomenti da secoli e che coraggiose revisioni si impongono. La revisione è un compito essenziale dello storico.
Note
1 Traduzione dell'originale francese L'affaire Galilée (Action Familial et Scolaire), a cura di Paolo Baroni. 2 Questo scritto di Jacques Lermigeaux è stato pubblicato dalla rivista L'Écritoire nei nn. 3, 4 e 5 del 1991. 3 Sinonimo di astronomo a quell'epoca.
4
È interessante notare che Galileo conviveva more uxorio con
Marina Gamba, dalla quale ebbe tre figli, un maschio e due femmine
(entrambe divennero suore), e che tale situazione irregolare non gli
venne mai rinfacciata da nessun ecclesiastico. Diversa sarebbe stata
la sua sorte nella Ginevra di Calvino, dove gli adulteri 5 Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1984.
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