di Padre Louis-Marie o.p. 1
Premessa
É un dato storico che non ha bisogno di dimostrazioni il fatto che gli ebrei, presi nel loro insieme, non hanno accettato Gesù come Messia promesso. Lo è altrettanto il fatto che invece gli altri popoli pagani, esclusi dall'antica Alleanza, lo hanno accettato divenendo cristiani. Questo ostinato rifiuto è rimasto intatto nei secoli, come dimostra l'articolo di rabbi Simmons.
Tale rifiuto sembra essere addirittura giustificato anche da molti cristiani, i quali, ingannati da false dottrine diffuse da molti membri della Gerarchia cattolica, credono che se anche Gesù fosse il Messia, gli israeliti otterrebbero già la salvezza seguendo l'antica Legge mosaica. Lo stesso Giovanni Paolo II (1920-2005), davanti alla comunità ebraica di Magonza, in Germania, il 17 novembre 1980, ha affermato che «l'Antica Alleanza che non è mai stata revocata».
Ma negli Atti degli Apostoli San Pietro, primo Pontefice della Storia, esclama: «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome (che quello di Gesù) dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4, 12). D'altronde, Cristo stesso ha affermato di essere venuto proprio per le pecorelle smarrite di Israele (Mt 15, 26), e ha comandato agli Apostoli di annunciare il Vangelo ad ogni creatura, quindi anche agli ebrei (Mc 16, 15). Non per nulla la Chiesa da Lui fondata ha pregato per secoli (fino alla riforma liturgica del 1969) per la conversione degli ebrei, perché non è cosa da poco rigettare il Salvatore dell'umanità.
Introduzione
«Why Jews don't Believe in Jesus» («Perché gli ebrei non credono in Gesù»). Con questo titolo, un pubblicista ebreo - il rabbino Shraga Simmons, editore di Aish.com a Gerusalemme - ha redatto un breve articolo in cui cerca di dimostrare che Gesù Cristo non è il Messia promesso da Dio e annunciato dai Profeti 2.
Per Simmons:
Sono questi i tre argomenti che ci accingiamo ad esaminare. Essi serviranno a mettere in rilievo la solidità della nostra santa religione cattolica.
CAPITOLO I
Secondo il rabbino Simmons, si trattava di quattro mansioni:
Innanzi tutto, qual è il ruolo del Messia? Su questo punto, rabbi Simmons riduce a quattro proposizioni l'insegnamento dei sedici Profeti dell'Antico Testamento. Secondo lui, il Messia:
Manifesto degli ebrei che ancora attendono la venuta del Messia. É scritto: «Il Messia, ora»!
Il rabbino prosegue: «È un fatto storico che Gesù non ha adempiuto nessuna di queste profezie messianiche». In realtà, il rabbino legge tutte le profezie che evoca con un pregiudizio costante: una concezione temporale, ossia terrena, del messianismo (il ruolo del Messia riguarderebbe principalmente la società terrena e la felicità in questo mondo). Ed è solamente perché egli legge le profezie in questa prospettiva così effimera che può accusare Cristo di non averle portate a compimento. È dunque questo presupposto che andremo ad esaminare per primo.
Il regno messianico
L'annuncio del Messia corre e si rafforza lungo tutto l’'Antico Testamento, dal primo libro (Gn 3, 15-22; 18 e 49, 8-10), fino a Malachia (Ml 3, 1), e viene sviluppato in immagini particolarmente sorprendenti da Isaia e da Daniele. Il Messia sarà un re ebreo, discendente di Davide, e il suo splendore supererà quello di tutti gli altri re; il suo regno riunirà tutti i popoli nel culto del vero Dio. Su questo tutti sono d'accordo.
Ora, è precisamente di questo regno messianico che Gesù parla nelle sue parabole (una decina di esse si presentano fin dall'inizio come una descrizione del regno tanto atteso, simile ad un grano di senape, ad un tesoro nascosto, ecc...). Gli ebrei dell'epoca, dominati dai romani, subiscono da diversi secoli l'influenza di una letteratura apocrifa che presenta il futuro Messia come l'eroe di una guerra di liberazione e di conquista del mondo. Essi fanno molta fatica ad elevarsi al di sopra di una nozione temporale del regno di Dio.
Gesù attacca frontalmente questo pregiudizio. Le sue parabole annunciano che il Regno verrà stabilito sulla terra, ma solamente come l'anticipo provvisorio di una realtà essenzialmente celeste (Nostro Signore lo designa come il Regno dei cieli; Mt 13); esso avrà, fin da qui sulla terra, una dimensione pubblica e sociale, ma è essenzialmente interiore e occorrerà cercarlo per scoprirlo veramente (parabole del tesoro nascosto e della perla preziosa); esso non verrà con la pompa che si aspettano farisei (Lc 17, 20), ma crescerà lentamente (parabola del seminatore), trasformando il mondo poco a poco (parabola del lievito); nel quale tuttavia resteranno sempre i cattivi (parabole del loglio, della rete, dell'uomo che si presenta al banchetto di nozze senza l'abito nuziale, delle vergini stolte).
«Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8, 12).
Soprattutto, questo regno non verrà stabilito brandendo le armi (Mt 26, 52), ma al contrario soffrendo la persecuzione (Mt 5, 10-12; Gv 12, 24-25); le ricchezze che accumulerà non saranno d'oro e di denaro, ma tutte interiori (Mt 5, 3); i suoi capi non mireranno a dominare gli altri, ma a servirli (Lc 22, 24-27; Gv 13, 15); infine, sebbene venuto per gli ebrei (Mt 15, 24) e impostosi al mondo intero (Mt 28, 18) questo regno non sarà un dominio mondiale e temporale degli ebrei, ma al contrario riserverà un posto di primo piano ai pagani convertiti, figurati dalla pecorella ritrovata (Gv 10, 16), dal figliol prodigo che ritorna al focolare (Lc 15), dal pubblicano pentito (Mt 9, 9-13; Lc 18, 14 e 19, 2) e dalla conversione dei pubblici peccatori (Lc 7, 39 e 23, 43), mentre gli ebrei - chiamati «i primi» - si escluderanno da se stessi, come indicano le parabole dei vignaioli perfidi (Mt 21, 33-46), delle nozze regali (Mt 22, 1-14) e del banchetto nuziale (Lc 14, 15-24).
Due concezioni opposte del regno messianico si affrontano durante tutta la vita pubblica di Cristo. Quando il demonio va a tentare Gesù, chiedendogli insistentemente se è il Messia, parla solamente di soddisfazioni corporali, di gloria umana e di dominio mondiale (Mt 4, 1-11): è ciò che la maggior parte degli ebrei si aspetta dal Messia. Più tardi, dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù deve fuggire per evitare che gli ebrei non si rivoltino contro i romani proclamandolo re (Gv 6, 15).
Satana tenta Gesù Cristo offrendogli i beni di questa terra e Lui gli risponde dicendo che bisogna cercare i beni celesti.
Interrogato da Pilato, egli tuttavia riconosce di essere re (Gv 18, 37), ma precisa subito che il suo regno non è di questo mondo (Gv 18, 36). Poco prima dell'Ascensione, gli Apostoli stessi manifestano di non avere ancora afferrato la natura del regno messianico: «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele»? (At 1, 6).
Solo la venuta dello Spirito Santo alla Pentecoste potrà illuminarli. Duemila anni più tardi il punto di intoppo è sempre lo stesso: Nostro Signore Gesù Cristo è venuto a predicare un regno essenzialmente soprannaturale, liberando le anime dal dominio del diavolo, distribuendo le ricchezze della grazia e della carità divina, e preparando delle corone di gloria eterna nell’altro mondo. Al contrario, gli ebrei persistono nell'aspettare un regno temporale, delle ricchezze, delle corone, una vittoria e una gloria essenzialmente terrena, e a leggere in questa prospettiva le profezie dell'Antico Testamento. L'opposizione è irriducibile.
Gesù Cristo è venuto per liberarci dalla tirannia del peccato e del demonio.
La questione essenziale
Ogni dibattito onesto tra ebrei e cristiani dovrebbe dunque vertere non tanto su questa o quest'altra profezia specifica, ma sulla visione d'insieme in cui le profezie sono comprese. Un ebreo che accettasse veramente di rimettere in discussione - anche solo per un istante - i pregiudizi che gli fanno interpretare le profezie in modo principalmente temporale e terreno, sarebbe, con la grazia di Dio, molto vicino alla conversione.
Come non vedrebbe infatti di primo acchito che Gesù di Nazareth ha realizzato, ma su di un piano superiore, tutto ciò che era stato promesso? L'ebreo sa che la promessa messianica centrale è quella di un re, discendente di Davide, che deve imporre la sua autorità su tutta la terra, riunendo tutti i popoli nel culto del Dio unico. Se dunque si libera lo spirito dai suoi pregiudizi nazionali, come non vedere che Gesù di Nazareth ha esteso la sua autorità su tutta la terra e ha sparso, ovunque, il culto del Dio unico?
Prima della nascita di Cristo, lo stesso popolo ebraico faceva fatica a perseverare nel culto del Dio unico. Tentato senza tregua di costruirsi un vitello d'oro o di piegare il ginocchio davanti a Baal, questo popolo è stato ricondotto sulla retta via da tutta una serie di Profeti che gli hanno ripetuto giorno dopo giorno che Yahwéh, un giorno, sarebbe stato adorato da tutti i popoli della terra.
Mentre Mosé è sul Monte Sinai, gli ebrei cadono nell'idolatria adorando un vitello d'oro (Es 32, 1).
Ma gli ebrei faticavano ad accettare questa verità; essi avrebbero preferito divenire loro stessi gli déi delle nazioni. Esortazioni, minacce, castighi si succedono lungo tutto l'Antico Testamento per mantenere il popolo eletto nella fedeltà alla sua Alleanza con il Dio unico. Ed ecco che, improvvisamente, sono i popoli pagani che, gli uni dopo gli altri, si convertono al Dio unico. Essi ricevono e abbracciano la rivelazione fatta ad Abramo, ad Isacco e a Giacobbe. E questo rovesciamento inaudito ha un nome: è il cristianesimo.
Se riflette seriamente, il nostro ebreo non può non rimanere turbato da questo fatto storico tanto incontestabile quanto inatteso: in tre secoli, i discepoli di Cristo abbattono l'idolatria; immergono i greci - così fieri della loro filosofia - nella lettura meditata dei Libri Sacri del giudaismo; gli imperatori romani - conquistatori dell'Universo - si prostrano davanti ad un figlio di Davide: Gesù di Nazareth.
Non è forse questa l'evidente realizzazione della promessa divina fatta ad Abramo (Gn 22, 18)? Forse il nostro ebreo potrebbe inalberarsi: come attribuire il titolo di re ad un crocifisso? E tuttavia, se vuole essere onesto, deve comunque ammettere che Gesù di Nazareth è stato realmente acclamato re da centinaia di milioni di esseri umani.
Questa monarchia essenzialmente religiosa gli sembra così sconcertante, fastidiosa - e persino irritante - da considerarla come inesistente. Durante i secoli, i re e gli imperatori - come Napoleone I (1769-1821) in occasione della sua consacrazione - hanno riconosciuto pubblicamente Gesù di Nazareth come il loro sovrano. Il regno di Cristo - essenzialmente celeste e sovrapolitico - differisce moltissimo da ciò che gli ebrei attendono.
Gesù Cristo «Re dei re e Signore dei signori» (Ap 19, 16).
Ma anche se rifiutano che esso sia messianico, non possono negare che esista, perché ha anche una dimensione terrena. Il nostro ebreo arguirà certamente che la Bibbia promette un trionfo temporale; che i Profeti non parlano di regno sovrapolitico, di ricchezze spirituali, di destino soprannaturale, ma di una felicità tutta terrena. Ora, una promessa è una promessa. Il Messia deve apportare questa felicità passeggera.
Ma Dio non è infinitamente superiore all'uomo? Non ha forse diritto di restringere a priori la sua munificenza, racchiudendola negli angusti limiti terreni? Peraltro, equivarrebbe forse a mancare alle sue promesse se colmasse gli uomini con sovrabbondanza, ad un livello completamente superiore? Se Dio vuole dare di più di quanto ci si aspetta, in cosa ci danneggerebbe? Gli oracoli degli stessi Profeti lasciavano intravedere, nei loro passi più belli, una realizzazione che supera l'ordine materiale. Ecco, ad esempio, un passo di Isaia:
O di Ezechiele:
Il Sacramento del Battesimo, istituito da Cristo, porta a compimento la profezia di Ezechiele.
I testi si succedono, si completano, si ripetono: non c'è modo di sfuggirli. Per poco che il nostro ebreo consenta alla grazia che gli è offerta, l'evidenza è lì, a portata di mano: tutti questi passi, inseriti in mezzo a descrizioni di prosperità terrena (Terra Promessa, vigne, frumento, bestiame, ecc...), danno loro un senso molto superiore: un senso spirituale. Le promesse materiali sono state valide, ma solo per un periodo di tempo, quello dell'Antica Alleanza. Esse dovevano cedere il posto ad una nuova Alleanza che preparavano e dovevano prefigurare.
E non ci si dovrebbe stupire che le realtà spirituali siano annunciate per mezzo di immagini materiali, perché, in definitiva, come potrebbe essere altrimenti? Come annunciare l'ignoto, il sovrumano e il celeste se non utilizzando dei termini conosciuti, riferendosi nell'immediato a realtà umane e terrene? Anche il rabbino Shraga Simmons potrebbe giungervi se solo abbandonasse per un istante i suoi pregiudizi. Forse gli basterebbe pregare con umiltà e sincerità, come fece un giorno del 1826 un certo Jacob Libermann (1802-1852), figlio del rabbino di Saverne divenuto sacerdote cattolico:
Ma prima di pregare così, bisogna accettare di rinunciare a certe prevenzioni, e non ci si sbarazza così facilmente di pregiudizi succhiati insieme al latte materno. Come ha detto Théodore Ratisbonne (1802-1884), un altro celebre convertito passato per questi combattimenti interiori e divenuto in seguito fondatore della Congregazione delle Religiose di Nostra Signora di Sion:
Come molti altri ebrei, anche il rabbino Simmons si aggrappa disperatamente alla sua concezione del «capitolato di oneri» del Messia. Egli deve costruire il terzo Tempio, riunire tutti gli ebrei nella terra d'Israele, procurare la pace universale, e infine diffondere «la conoscenza universale del Dio d’Israele che riunirà l'umanità formando un solo popolo». Vediamo tutto ciò più da vicino.
Sopra: la preghiera del Padre Nostro in ebraico.
Primo compito: il terzo Tempio?
Ricostruire il Tempio. Ciò non aveva alcun senso al tempo di Gesù Cristo, poiché il secondo Tempio di Gerusalemme era ancora in piedi 5. E tuttavia, Gesù Cristo stesso fa allusione ad una tale costruzione. «Distruggete questo tempio - dice agli ebrei - e io lo ricostruirò in tre giorni». Dunque, il rabbino Simmons non ha torto, malgrado le apparenze, di chiedere al Messia la costruzione di un terzo Tempio. Ma qui, come sempre, l’attesa degli ebrei, troppo materiale, è superata e come eclissata dalla realtà: Gesù «parlava del tempio del suo corpo» (Gv 2, 21). La stessa cosa Gesù la annuncia, poco dopo, alla Samaritana:
Risorgendo dopo tre giorni Gesù Cristo
ha ricostruito il Tempio del
Suo Corpo.
Sopra: Gesù (Yeh-shu-ah) in ebraico.
Legati al loro Tempio nazionale, gli ebrei lo piangono ancora quasi duemila anni dopo la sua distruzione. Ma il Messia - che aveva annunciato questa distruzione («non resterà pietra su pietra»; Mc 13, 2) - ha inaugurato un culto spirituale. Egli ha chiamato tutti gli uomini a divenire «pietre viventi» (1 Pt 2, 4-5) di un Tempio di cui Egli è la pietra angolare (1 Pt 2, 6-8) e anche la testa, poiché questo Tempio è il suo corpo (Gv 2, 21; 1 Cor 12).
Mentre gli ebrei si chiudono nell'idea di un Tempio materiale, composto di pietre morte ed eretto in un luogo particolare del pianeta, Cristo propone un suo Tempio definitivo; atto a rimanere anche nell'eternità, e dunque libero dalla materia; un Tempio universale, dove tutti gli uomini potranno entrare; un Tempio vivente al quale saranno integrati mediante il Battesimo.
Questo tempio cristiano è reale Un ebreo rischia di considerare questa spiegazione come un gioco di prestigio intellettuale destinato ad evitare una difficoltà imbarazzante. L'applicazione del nome «Tempio» al Corpo di Gesù Cristo gli sembrerà arbitrario, e sarà tentato a rigettare l'argomento con un manrovescio. E tuttavia:
- Le nozioni di Tempio-corpo
(Gv 2, 21) e di pietre viventi (1 Pt 2, 4-5)
non sono state assolutamente forgiate per i bisogni della causa,
allo
Gli stessi Profeti, malgrado l'importanza che accordavano al Tempio (capitoli 30-34 di Geremia; 40-48 di Ezechiele) si prodigavano a promuovere un culto spirituale e a relativizzare il Tempio materiale. Si pensi agli avvertimenti di Geremia:
L'ultimo dei profeti, Malachia, annuncia che verrà offerto ovunque un sacrificio universale al quale parteciperanno le nazioni, ossia anche i non-ebrei:
Infine, l'ebraismo non potrebbe accusare decentemente il cristianesimo di essere privo di un Tempio, visto che esso ne è stato privato da quasi venti secoli! Nel momento stesso in Gesù Cristo offriva il suo sacrificio sulla croce (sacrificio di cui è al tempo stesso il Sommo Sacerdote, la Vittima e il Tempio), il velo del Tempio di Gerusalemme si strappò interamente, da cima a fondo (Mt 27, 51). Meno di quarant'anni dopo, il Tempio ebraico venne completamente distrutto. Ora, per il giudaismo, l'assenza di Tempio materiale implica l'assenza del culto essenziale prescritto da Dio nell'Antico Testamento. Dall'anno 70 in poi, il culto stabilito da Mosé è stato abolito. Il sacerdozio di Aronne non esiste più. Non ci sono più sacrifici pubblici.
Il Libro del Levitico è diventato così antiquato che il giudaismo ha dovuto essere ricostruito su altre basi. Le riunioni di preghiere nelle sinagoghe hanno preso il posto dei sacrifici nel Tempio, e i sacerdoti sono stati sostituiti dai rabbini. Ma torniamo al rabbino Simmons e alla sua obiezione: se il Tempio materiale è così importante, perché mai Dio avrebbe permesso che esso si eclissasse? E perché questa eclissi - annunciata da Cristo («non resterà pietra su pietra») - si è prodotta poco dopo la sua morte, poco dopo che Egli aveva annunciato la costruzione di un nuovo Tempio universale e spirituale? Ecco un segno che dovrebbe riuscire a turbare anche i ciechi.
L a riunione di tutti gli ebrei nella terra d'Israele
Seconda grande missione del Messia: riunire tutti gli ebrei nella terra d'Israele. Ora, è avvenuto esattamente il contrario. Dunque, Gesù non è il Messia promesso. Il ragionamento del rabbino sarebbe inevitabile se Dio avesse realmente promesso in modo assoluto che il Messia avrebbe riunito tutti gli ebrei nella terra materiale d'Israele. Ma la Sacra Scrittura indica tutto l'opposto. Le promesse di prosperità temporale inviate da Dio al suo popolo sono promesse condizionate: se sarete fedeli, io voi proteggerò e vi benedirò; ma se disubbidite, vi consegnerò ai vostri nemici e vi disperderò. È quasi il riassunto di tutto l'Antico Testamento:
Gli ebrei condotti in cattività a Babilonia.
Le promesse temporali sono sempre condizionate. E quando la condizione non è esplicita, è sottintesa, come Dio stesso ha indicato, mettendo in guardia contro un'interpretazione troppo assoluta delle sue promesse:
Nessuna delle promesse temporali dell'Antico Testamento è dunque assoluta. Ciò che è assoluto, in compenso, per il popolo dell'Alleanza, è il legame tra fedeltà e premio, infedeltà e castigo. Il capitolo ventiseiesimo del Libro del Levitico enumera tutta una serie dei flagelli con cui Dio punirà l'infedeltà, e conclude con la più grave, quella della dispersione:
Ora, come ha fatto notare Blaise Pascal (1623-1662), la stessa cattività di Babilonia non è niente rispetto alla terribile dispersione che ha colpito il popolo ebraico dall'anno 70 7. Essendo il più terribile castigo che abbia mai colpito il popolo eletto, tale dispersione è necessariamente la punizione per il suo più grande crimine. Le promesse divine non permettono di concludere diversamente.
Secondo il rabbino spagnolo Mosé Maimonide (1138-1204), e la maggior parte degli ebrei attuali, questo esilio sarebbe solamente un mezzo per disperdere nel mondo intero la testimonianza ebraica, come un lievito nella pasta; una misteriosa purificazione estrema (ma interminabile) prima dell'avvento del Messia. Ma anche in questa ipotesi, l'esilio dovrebbe essere - innanzi tutto e necessariamente - un castigo, poiché le promesse formali di Dio legano indissolubilmente dispersione e punizione.
Il fatto che la cattività di Babilonia abbia preparato la venuta del Messia diffondendo le profezie non impedisce che essa sia stata soprattutto un castigo per il popolo eletto. Qualunque sia il modo di rivoltare il problema, la domanda rimane sempre la stessa: quale crimine è stato commesso per attirare un simile castigo? Nel 1778, Padre Vincent-Toussaint Beurier (1715-1782), un celebre predicatore, apostrofava così i suoi contemporanei ebrei:
Un giovane ebreo del XIX secolo, il già citato Théodore Ratisbonne, si pose le stesse domande, ed esse lo condussero al cattolicesimo. Nel 1824, ancora esitante, scriveva ad un amico:
Responsabile delle scuole israelitiche dell'Alsazia (suo padre era il presidente del Concistoro), Théodore ebbe tre anni più tardi l'opportunità di citare davanti ai genitori degli alunni il XXVIII capitolo del Libro del Deuteronomio, dove sono enumerate le benedizioni e le maledizioni annunciate al popolo d'Israele. Il testo fece sensazione:
Un'altra immagine dell'«Ebreo errante».
Questa lettura venne interrotta dalle proteste furiose di uno degli assistenti che vide in essa un attacco contro le tradizioni ebraiche e ingiunse urlando al pubblico di ritirarsi. Théodore rispose con calma che leggeva solamente le parole di Mosé, e riprese la sua lettura. Ma egli comprese che non avrebbe potuto ritardare indefinitamente la sua professione pubblica della fede cristiana. Alcuni mesi più tardi, dichiarò a suo padre:
Nel XXI secolo, malgrado il ristabilimento
dello Stato d'Israele nel 1948 e la stupefacente risurrezione della
lingua ebraica, la situazione degli ebrei
O prelude al contrario ad una nuova catastrofe che si prepara a colpirli? L'avvenire lo dirà. In ogni caso, lungi dal provare la mancata venuta del Messia, la brutale dispersione degli ebrei nell'anno 70 - meno di quarant'anni dopo la crocifissione di Cristo - è un segno manifesto della Sua venuta.
Sopra: la preghiera dell'Ave Maria in ebraico.
La pace universale
Terzo compito del Messia secondo il rabbino Simmons: «Fare entrare il mondo in un'era di pace universale, e mettere fine ad ogni odio, oppressione, sofferenza e malattia». Il rabbino evoca a questo riguardo un celebre passo del Profeta Isaia (Is 2, 2-4):
Il senso della profezia Questa profezia, insindacabilmente messianica, annuncia la conversione dei pagani al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Le immagini sono vigorose, ma restano delle immagini: nessuno oserebbe anche solamente pensare che la montagna di Sion dev'essere trasportata sulla cima dell'Himalaya, né che tutti i popoli della terra verranno ad installarvisi. Non c'è ragione di spingere il senso degli ultimi versetti per immaginare un tipo di pacifismo universale (che, logicamente, dovrebbe essere esteso anche agli animali, se si interpretano allo stesso modo gli annunci del capitolo XI):
Il lupo insieme all'agnello, un simbolo dell'era messianica.
Isaia annuncia solamente che la Rivelazione del vero Dio sarà aperta ai pagani, i quali troveranno in essa una sorgente di giustizia e di pace. Tutta la questione verte sulla natura di questa pace.
Pace esterna e pace interiore Gesù Cristo porta una pace principalmente interiore e soprannaturale; gli ebrei aspettano una pace esterna, civile e sociale. Ma la pace più importante non è la pace interiore? Se la guerra civile è la peggiore delle guerre, che cosa dire della guerra intestina che l'uomo deve condurre e subire all'interno del suo cuore?
Ogni uomo prova questa lotta intima tra la ragione (che mostra ciò che è onesto e giusto) e le diverse passioni. Nell'intimo del nostro essere è il nostro rapporto con Dio che è falsato, dal peccato di Adamo. Venendo a sanare questo disordine fondamentale, Gesù porta la pace (che è, secondo la celebre definizione di Sant'Agostino, «la tranquillità dell’ordine»). Essa offre a tutti gli uomini l'amicizia di Dio. Il cuore umano, così portato ad accusare gli altri, comprende che il primo nemico è se stesso.
Egli cambia la sua spada in vomere, ossia ritorce le sue armi contro di sé, applicandosi a rompere la propria durezza interiore, strappando i rovi dei vizi, e aprendosi al seme della Parola di Dio. La grazia, con il suo corteo di virtù e di doni, ristabilisce l'ordine all’interno del cuore umano, non in modo immediato, brutale e spettacolare, ma dolcemente e progressivamente, nella misura in cui l'uomo, con la sua libertà, collabora all'ordine che Dio vuole porre in lui.
Una pace molto reale Un ebreo qualificherà questa pace cristiana come un'utopia o una pia illusione. Che rilegga i Profeti. Il capitolo LIII di Isaia - che fa consistere la missione del Messia in un sacrificio propiziatorio per il peccato - non lascia forse intendere chiaramente che la prima pace da ristabilire è quella dell'uomo con Dio? Inoltre, anche se è essenzialmente soprannaturale, la pace portata dal cristianesimo non potrebbe essere contestata, perché essa ha anche delle conseguenze temporali e visibili che anche gli ebrei non saprebbero negare.
Come spiegare senza di essa la forza dolce e calma (e spesso il sorriso) di milioni di martiri cristiani? L'ardore col quale folle di giovani nobili bellicosi gettarono improvvisamente la loro spada per andare a dissodare le terre di un monastero, realizzando alla lettera l'oracolo di Isaia (Is 2, 4)? Si pensi a San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), che nel XII secolo trascinò quasi tutti i suoi fratelli, i suoi zii e suo padre nell'abbazia, tutti votati fino a quel momento al servizio delle armi; ma questo nome illustre non deve far dimenticare le migliaia di giovani che, in tutte le epoche, compirono lo stesso sacrificio.
Nello stesso periodo di San Bernardo ci fu, ad esempio, il conte Goffredo di Cappenberg (1096-1127), discendente di Carlo Magno, che trasformò il suo castello in un monastero, che impiegò tutte le sue ricchezze per saziare i poveri, che consacrò le sue mani al sollievo dei lebbrosi, e passò tutta la sua vita in un'ubbidienza perfetta, con suo fratello Atton (padrino dell'imperatore Federico Barbarossa), che fece professione monastica insieme a lui.
La «conversione» del lupo di Gubbio operata da San Francesco d'Assisi (1182-1226) porta a compimento alla lettera la profezia di Isaia (Is 11, 6): «Il lupo dimorerà insieme con l'agnello» 10; essa illustra in modo visibile ciò che accade nei cuori.
San Francesco ammansisce il feroce lupo di Gubbio.
Il cuore del focoso San Francesco di Sales (1567-1622), ad esempio, che passò tutta la sua vita a vincere il suo carattere irascibile, fino ad essere universalmente conosciuto come il «dolce Vescovo di Ginevra» 11.
Naturalmente, non tutti i cristiani diventano santi di questa tempra. Troppi restano cattivi e infedeli alle grazie ricevute. Spesso, gli stessi buoni non si santificano che lentamente. Ma la santità eroica è presente in tutta la storia della Chiesa come una scia di luce e di pace. Nel XX secolo, essa raggiunse il campo di Auschwitz dove un frate cattolico, Padre Massimiliano Kolbe (1894-1941), offrì volontariamente la sua vita per salvare un prigioniero. Chiuso nel bunker della fame, impressionò persino i suoi custodi nazisti per la carità, la dolcezza e la gioia di cui risplendeva. Il dr. Nicet Wlodarski, testimone oculare dei fatti, scrive:
Bruno Borgowiec, impiegato come interprete al bunker, racconta:
Sopra: Franciszek Gajowniczek, il soldato polacco al cui posto Padre Kolbe chiese di morire.
In un altro racconto:
Sopra: Padre Massimiliano Kolbe.
Che si confronti questo racconto con le molteplici testimonianze ebraiche sui campi di concentramento nazisti: esso stona immediatamente. Questa serenità, questa gioia nella sofferenza è caratteristica dei martiri cristiani. E da dove può dunque venire questa pace, così visibilmente soprannaturale, se non dal Signore Gesù?
Anche la pace temporale La pace temporale non è una conseguenza diretta del cristianesimo, ma non gli è neanche estranea. Il pianeta Terra, che da secoli risuonava dello scontro delle armi e dei clamori guerrieri, sembrò calmarsi e raccogliersi quando si avvicinò la nascita del bambino-Dio. L'imperatore Augusto (63 a.C.-14 d.C.) impose la pace universale, sia all'interno dell'impero che alle sue frontiere, chiudendo, dopo la battaglia di Azio (31 a.C.), le porte del tempio della guerra, quasi sempre aperte dalla fondazione di Roma.
Il mondo era in pace quando gli angeli vennero a cantare la notte di Natale: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà». La Chiesa cattolica divenne la custode di questa pace. Quando l'impero romano crollò sotto il peso delle invasioni barbare, la Chiesa non venne trascinata in questa fine, ma vinse pacificamente i barbari, mutando progressivamente il loro cuore; attirando gli uni ai monasteri, imponendo agli altri la «pace di Dio» o la «tregua di Dio», e, da queste orde che dovevano sommergerla, fece nascere le diverse nazioni della cristianità. Gesù non ha mai preteso stabilire il paradiso in terra.
«Gloria in excelsis Deo».
Sopra: in ebraico: «Santo il Re dei re il Messia Gesù».
Il loglio resta mescolato al buono grano (Mt 13, 41), e le atrocità non sono mancate anche all'interno del cristianesimo. Ma la predicazione costante della carità, e soprattutto l'esempio dei Santi, non rimasero senza frutti. La Chiesa protesse il matrimonio, e dunque le donne e i bambini. Seppe resistere ai re e agli imperatori quando si comportavano da tiranni. Essa soppresse poco a poco la schiavitù. Instaurò una società cristiana che, pur nelle sue miserie terrene, si è mostrata incontestabilmente più umana e più attenta ai deboli di tutte le civiltà pagane 14. Senza fornire direttamente la pace temporale, Gesù Cristo la dona in sovrappiù, nella misura in cui le nazioni si sottopongono alla Sua legge.
Un esempio E per concludere a proposito della profezia di Isaia, dedichiamo volentieri al rabbino Simmons l'esempio di uno dei suoi predecessori, così descritti da Tertulliano (155-230), Padre della Chiesa:
Quarto compito: un solo popolo
Quarto compito del Messia: «Diffondere la conoscenza universale del Dio d'Israele che riunirà l'umanità formando un solo popolo». Quelli che sanno distinguere la religione dalla politica («Date a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio»), riportano evidentemente questa promessa nell'ordine religioso. E constatano allora che essa si è realizzata, poiché una società unica che ha riunito nel suo seno tutte le nazionalità, senza mescolarle né confonderle, ha sparso nel mondo intero la conoscenza del Dio unico rivelatosi per primo a Israele.
Al contrario, coloro che sognano ancora un messianismo essenzialmente temporale interpretano queste promesse di unificazione mondiale in modo umano (naturale, politico, terreno), ne concludono che ancora non sono state compiute. Per risolvere queste due interpretazioni concorrenti, è sufficiente paragonare i frutti visibili dell’una e dell'altra, così come la loro logica interna.
L'albero si giudica dai frutti «È meglio un uovo oggi che una gallina domani», dice il proverbio. La Chiesa cattolica ha già un grande vantaggio sul «popolo unico» atteso dagli ebrei: esso esiste già! Questa esistenza è indiscutibile poiché la Chiesa possiede un'unità esterna e un'universalità facilmente riscontrabili anche da chi non ha la fede. Storicamente parlando, il cristianesimo è la prima religione universale.
Mentre ogni popolo (od ogni famiglia di popoli) aveva le sue divinità nazionali, essa li ha condotti alla fede nel Dio unico. La Chiesa ha conquistato tutta la terra, ma nella pace, senza violentare nessuno, subendo al contrario lunghe e sanguinose persecuzioni 16. Il paragone con l'islam (che è stata la seconda religione universale della Storia, e sotto molti aspetti, una contraffazione della prima) è a questo riguardo assai illuminante. L'universalismo del cristianesimo è un universalismo di pace (da due millenni, il cristianesimo genera continuamente frutti di pace: i Santi). Si può dire altrettanto del messianismo temporale?
I frutti del messianismo temporale Quali sono, da duemila anni a questa parte, le grandi imprese universalistiche ispirate dal messianismo temporale?
Ogni storico può rimanere colpito solamente dalla forza apparentemente irresistibile con la quale queste utopie mortifere - contrarie al più elementare buon senso - si impongono tutto d'un tratto come una marea montante ad una grossa porzione dell'umanità. Anche i più materialisti tra loro - gli ideologi marxisti - sembrano animati da un fervore quasi religioso, come da un soffio mistico. Il fatto è che tutti attingono più o meno direttamente la loro forza dalla speranza messianica d'Israele. Speranza di origine divina, certamente, per essere portatrice di una tale energia, ma sicuramente deviata per essere all'origine di tanti disastri.
Come diceva Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), «le follie moderne non sono idee cristiane diventate pazze» 21, ma idee ebraiche: la speranza messianica distolta dal suo vero oggetto (la salvezza eterna) e applicata all'ordine temporale. Il peggio è che il messianismo temporale sopravvive ai disastri che genera. E continuerà a generarne di nuovi perché, secondo il rabbino Simmons che evoca su questo punto l'autorità di Maimonide, «ogni generazione contiene nel suo seno un individuo che avrebbe la capacità di diventare il Messia».
«Un solo popolo», dice il rabbino Dopo i frutti (di pace da un lato, di morte dall'altro), paragoniamo la logica interna dell'universalismo cattolico con quella del messianismo temporale. La speranza del rabbino di «riunire l'umanità formando un solo popolo» conduce immediatamente ad una domanda: il popolo ebraico è dunque chiamato a fondersi con le altre nazioni per formare un popolo unico? In questo caso, come conserverà tutte le prerogative cui il rabbino si mostra così attaccato?
Ma se rifiuta di mescolarsi agli altri, cosa sta ad indicare questo «popolo unico»? In questo caso, diventa palpabile la formidabile contraddizione interna della speranza messianica ebraica. Ed è stato necessario, in realtà, che Dio stesso intervenisse per risolverla, facendo comprendere agli Apostoli che la Chiesa non poteva aprirsi all'umanità intera che abbandonando le particolarità ebraiche (At 10 e 11). «Non vi è più giudeo né greco - esclama San Paolo - [...] ma tutti voi siete uno solo in Cristo Gesù. E se voi siete di Cristo siete seme di Abramo, eredi secondo la promessa» (Gal 3, 28-29).
In altre parole, i criteri di appartenenza al popolo eletto non sono più razziali (la discendenza fisica da Abramo), ma spirituali (l'incorporazione mistica a Cristo). La Sinagoga ha rifiutato questa realtà, temendo soprattutto di perdere il suo statuto speciale. E allo stesso tempo ha rinnegato la profezia del «popolo unico». L'attuale giudaismo rimprovera vivamente alla Chiesa di proclamarsi il «nuovo Israele». Per esso si tratta di una pretesa inammissibile. Ma questa «pretesa» manifesta proprio la splendente realizzazione della profezia messianica. È nella Chiesa (il «nuovo Israele») che si avvera l'oracolo di Zaccaria:
Augustin Lémann (1836-1909), un illustre convertito dal giudaismo, commentava:
Il paradosso dell'universalismo cattolico
Se l'universalismo messianico degli ebrei è
intrinsecamente contraddittorio
Charles Maurras (1868-1952), un teorico nazionalista che non aveva la fede, ha dovuto riconoscere che questa società sovranazionale, lungi dal nuocere alle nazioni, le aveva largamente beneficate; egli l'ha definita anche come «l'unica internazionale che valga». Il fatto è che la Chiesa si trova su di un altro ordine rispetto alle nazioni temporali. Il suo sviluppo non potrebbe dunque disturbarle, ma al contrario esse approfittano della sua azione moralizzatrice. A che obiettasse che la Chiesa non ha ancora riunito tutta l'umanità nel suo seno, bisognerebbe dare due risposte distinte.
Innanzi tutto, nulla impedisce, prima della fine del mondo, un trionfo universale della santa Chiesa che realizzerebbe completamente la profezia messianica (senza tuttavia stabilire il paradiso sulla terra, giacché gli uomini resteranno peccatori e la Chiesa minacciata dalla tiepidezza). Gli ebrei stessi raggiungeranno in questo momento l'unica Chiesa. Ma anche coloro che rifiutano questa speranza dovranno convenire che la Chiesa è già una società universale evoluta presso tutti i popoli del mondo. E dunque, essa realizza già la profezia del popolo unico 24. «Tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio» (Is 52, 10; Sl 97, 3).
La quadruplice risposta di Cristo
Sui quattro compiti messianici che gli si rimprovera di non avere eseguito, Nostro Signore Gesù Cristo ha risposto in anticipo con quattro sentenze:
«Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15).
CAPITOLO II
Per il rabbino Simmons, Gesù non ha solamente omesso di agire come Messia. Egli mancava già di tre qualità indispensabili al Messia: quelle di profeta, di discendente di Davide e di fedele osservante della legge ebraica.
Gesù è stato un profeta?
Su questo punto, il rabbino Simmons è categorico: non solo Gesù non era un profeta, ma non poteva esserlo:
Anziché definire o descrivere ciò che è un profeta e di paragonarlo alla figura di Gesù, il rabbino enuncia un principio: la dispersione del popolo ebraico impediva la profezia. Ma da dove proviene questo principio? Esso è stato forgiato proprio per tentare di spiegare la strana assenza di profeti dopo la venuta di Gesù Cristo, perché questa assenza costituiva un argomento molto forte in favore della sua messianicità. Stiamo dunque girando a vuoto!
In realtà, se c'è stato, prima della venuta di Gesù, una certa mancanza della profezia (alcuni secoli di silenzio proprio per meglio preparare ciò che stava per avvenire) 25, essa riappare bruscamente e brillantemente in Giovanni Battista. E quest'ultimo designa esplicitamente Gesù come il Messia. Basta considerare onestamente la figura di San Giovanni Battista - la sua penitenza nel deserto, la sua predicazione al tempo stesso rude e piena di speranza, i discepoli che attira, le conversioni che opera, l'opposizione che incontra, la sua coraggiosa testimonianza davanti ad Erode e il suo martirio - per riconoscere che egli realizza perfettamente il tipo dei profeti dell'Antico Testamento.
Anche Gesù compie alla perfezione questo tipo di profeta (colui che parla in nome di Dio), particolarmente nel suo annuncio del «regno» messianico. Egli è ben più di un profeta, ma almeno dovrebbe essere dovuto riconosciuto come tale. Gesù, del resto, ha fatto davanti a numerosi testimoni degli annunci assai precisi che sono stati confermati dagli avvenimenti.
La profezia della caduta di Gerusalemme è stata diffusa e trascritta dagli evangelisti molto prima della sua realizzazione. Essa ha spinto i primi cristiani a fuggire da questa città - secondo i consigli dati da Cristo stesso - quando hanno visto giungere gli avvenimenti predetti. Nessuno è profeta in patria! Gesù non è stato riconosciuto dal suo popolo. Ma lungi dal nuocere al quadro, questa incomprensione aggiunge solamente un tratto supplementare di conformità. Nostro Signore lo ha tristemente sottolineato:
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti».
Gesù figlio di Davide
Il rabbino diventa ironico:
Prima risposta In realtà, nessuno dei due testi evocati dal rabbino (Gn 49, 10; Is 11, 1) parla di filiazione paterna. Gn 49, 10 non fa che precisare solamente l'epoca della venuta del Messia:
Giacché è precisamente nell'epoca di Cristo che i discendenti di Giuda hanno perso il potere in Israele, i rabbini dovrebbero evitare di attardarsi troppo su questa profezia... Quanto ad Is 11, 1, questo versetto annuncia che il Messia discenderà da Iesse, ossia dalla famiglia di Davide, ma non precisa in nessun modo che egli sarà il suo antenato dal lato paterno:
Sopra: re Davide.
Il fatto che la Vergine Maria sia una discendente di Davide è sufficiente per affermare che lo è anche Gesù, e sia, a rigor di termine, «un germoglio del tronco di Iesse». Dunque, la profezia è compiuta.
Seconda risposta Si potrebbe tuttavia obiettare che solo la discendenza maschile permetteva la trasmissione dei diritti ereditari. Bisogna andare dunque più lontano e notare che San Giuseppe, anche se non è il padre biologico di Gesù Cristo, è suo padre legale, ufficiale. Ora, nel diritto ebraico, la paternità adottiva prevale sulla paternità biologica. Non è la genealogia della Santa Vergine, ma bensì quella di San Giuseppe che offrono gli evangelisti, perché è questa genealogia ufficiale quella che conta.
Si noti, del resto, che San Matteo - che si rivolge essenzialmente agli ebrei palestinesi - privilegia sistematicamente la genealogia legale (mentre San Luca - che scrive per i greci - fornisce invece la paternità reale) 26. La nascita di Gesù a Betlemme sottolinea anche l'origine davidica di Gesù. È proprio perché Davide era originario di Betlemme che Giuseppe e Maria hanno dovuto recarvisi per il censimento.
Terza risposta Secondo i Profeti, il Messia non doveva essere solamente il figlio di Davide, ossia il suo discendente, ma anche il suo Signore. Gesù stesso cita il salmo in cui Davide dichiara: «Oracolo del Signore al mio Signore: "Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi"» (Sl 109, 1). Chiese Gesù ai farisei (Mt 22, 41-46): «Così dunque se il Messia è figlio di Davide, come mai chiama quest'ultimo il "mio Signore"»?
Questa espressione si comprende solamente se, pur essendo discendente di Davide, il Messia in qualche modo lo precede, e dunque, non ne discende sotto tutti i gli aspetti. Ora, Gesù è figlio biologico di Davide tramite sua madre, figlio legale tramite suo padre putativo, ma allo stesso tempo trascende questa origine in quanto Figlio di Dio. Le profezie non potevano essere meglio compiute.
Gesù e la Legge ebraica
Il terzo argomento del rabbino cade sulla permanenza della Legge ebraica (la Toràh):
Ciò equivale ad ignorare la celebre sentenza di Gesù: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5, 17). Secondo il rabbino non c'è che un'alternativa: ubbidire o disubbidire. Chi non ubbidisce alla Legge è un ribelle, e dunque un impostore. Ciò significa dimenticare che una simile alternativa si impone solamente a coloro che sono sottomessi alla legge e non al legislatore.
Ora, anche se l'atteggiamento di Gesù nei confronti della Legge ebraica ha qualcosa di sorprendente, non appare mai come ribelle. Al contrario, la sorpresa nasce dal contrasto tra l'umiltà con cui si impegna costantemente a portare a compimento la Sacra Scrittura 27, e, dall'altra parte, l'autorità con cui legifera («Avete inteso che fu detto agli antichi... ma io vi dico...»; Mt 5, 21; 5, 27, ecc...). Legiferando, Gesù si mostra superiore alla Legge di Mosé. Ma sotto un altro aspetto, egli ubbidisce a questa Legge, perché quest'ultima regolava il modo in cui doveva essere perfezionata dal Messia, legislatore definitivo.
Dunque, la nuova Legge non abolisce la vecchia, ma la eleva e la trasfigura, portando a compimento ciò che raffigurava. La si può paragonare alla farfalla: questa non uccide, né caccia il bruco: semplicemente essa è il bruco nella tappa estrema e perfetta della sua esistenza. La «piena osservanza della Toràh» è precisamente ciò a cui Cristo ha condotto gli ebrei (almeno quelli che hanno voluto seguirlo): la pienezza della Legge, insegna San Paolo, è la carità (Rm 13, 10).
E lo stesso Santo, così zelante fino a quel momento per le tradizioni dei suoi padri, scoprì che la Legge è solamente un mezzo, non un assoluto 28. Le promesse sono state fatte ad Abramo sulla base della fede e non della Legge. Dunque, quest'ultima, che è venuta dopo, non potrebbe essere il fondamento della salvezza, né pretendere di essere definitiva in tutte le sue prescrizioni materiali (Rm 4; Gal 3). Destinata a proteggere la fede, di per sé la Legge non conferisce la vita della grazia; buona in sé, ma pesante, essa è un'opportunità di numerose trasgressioni e un vero fardello (Rm 7).
Venendo a trasfigurarla, Gesù agisce da vero liberatore. I Profeti hanno preparato questa trasfigurazione 29. Quando Geremia rimproverava ad Israele di essere «incirconciso di cuore» (Ger 9, 26) non indicava chiaramente che la circoncisione corporale non è un assoluto, ma solamente il segno esteriore di una necessaria purificazione del cuore? San Paolo dirà altrettanto affermando che «giudeo non è chi appare tale all'esterno, e la circoncisione non è quella visibile nella carne» (Rm 2, 28). Notava Padre Augustin Lémann:
A chi gli chiedeva perché avesse rinunciato alla Sinagoga, Eugenio Zolli (1881-1956), ex Gran Rabbino di Roma, rispondeva allo stesso modo:
Il giudaismo attuale assomiglia ad un bruco che, avendo ricevuto alcune notizie sullo stato alato che lo aspetta, si rifiuta ostinatamente di entrare nel suo bozzolo. È a lui, in quanto bruco, che sono state fatte quelle promesse, e non alla sfrontata farfalla che cerca di captare la sua eredità. Egli difenderà contro il cielo e la terra il suo stato di bruco.
Esso volerà un giorno, certamente, e aspetta febbrilmente la venuta del Messia che gli darà le ali. Ma vuole ricevere queste ali in quanto bruco, senza perdere le sue zampe da bruco, le sue abitudini da bruco, la sua legge da bruco. E ciò va avanti da duemila anni.
CAPITOLO III TRADOTTI IN MANIERA ERRATA?
Agli occhi del rabbino Simmons, Gesù non solo non ha portato a compimento le profezie che avrebbe dovuto adempiere, ma ha anche il grande torto di aver portato a compimento quelle che non doveva adempiere! A questo proposito, il rabbino attacca tre celebri profezie che non sarebbero altro che testi tradotti in modo sbagliato:
Vediamo questi punti nel dettaglio.
La nascita verginale, profetizzata da Isaia (Is 7, 14)
Il rabbino Simmons afferma:
Il rabbino dimentica che non sono i cristiani che hanno tradotto la Bibbia in greco, ma gli stessi ebrei, molto prima della nascita di Gesù Cristo (la versione greca detta «dei Settanta»). Ora, in questa versione, la parola ebraica 'almah è tradotta non come «giovane donna», ma come «giovane vergine» (parthènos); è questo stesso termine che San Luca usa per designare la Vergine Maria nel suo racconto dell'Annunciazione 32.
Sopra: antichissimo frammento del Libro di Isaia in greco estratto dalla Bibbia detta «dei Settanta».
È solamente dopo la venuta di Cristo, nel secolo II della nostra era, che gli autori ebrei si prodigarono a fornire una nuova traduzione, per opporla al cristianesimo. Teodozione di Efeso, Aquila del Ponte e Simmaco tradussero 'almah con «giovane donna». Se si vuole considerare il termine ebraico in sé ('almah) non si può conoscere il senso esatto che esaminando i suoi diversi impieghi nella Bibbia.
Ora, in tutta la Sacra Scrittura non si trova questa parola che una decina di volte. A seconda del contesto, essa designa delle ragazze che sono o certamente o molto verosimilmente vergini; una sola volta, il termine designa una ragazza che è probabile che sia vergine (il contesto non permette di fornire una risposta definitiva) 33. Tutto ciò implica logicamente che:
Aggiungiamo infine che uno studioso ebreo del XIX secolo, l'ex rabbino Paul David Drach (1791-1865), ha dimostrato con grande profusione di dettagli come le antiche tradizioni ebraiche confermino l'interpretazione cristiana di questo passo di Isaia: esso è il tema della sua Troisième Lettre d'un rabbin converti aux Israélites ses frères («Terza lettera di un rabbino convertito agli israeliti suoi fratelli»; Roma 1833) 34.
Dunque, la realtà è in definitiva rigorosamente contraria alle affermazioni del rabbino Simmons. Non sono i teologi cristiani che, parecchi secoli dopo, hanno tradotto 'almah con «vergine», ma al contrario i traduttori ebrei che, più di un secolo dopo la venuta del Cristo, hanno rigettato la traduzione fino a quel momento accettata per introdurre il termine di «giovane donna». La sfida lanciata da San Girolamo (347-420) agli ebrei del suo tempo è sempre di grande attualità:
La crocifissione, profetizzata da Davide (Sl 21)
Si tratta del salmo 21 (22 nel salterio ebraico). Davide canta la richiesta che lanciata verso Dio da un uomo suppliziato dai suoi nemici, e in conclusione, la sua azione di grazie quando Dio lo ha liberato. I versetti 15-19 annunciano in modo particolare la Passione di Cristo:
« Hanno forato le mie mani e i miei piedi» (Sl 21).
Ma il rabbino contesta la traduzione del versetto «hanno forato le mie mani e i miei piedi»:
Anche in questo caso, lo scaltro rabbino omette di precisare che la traduzione «hanno forato le mie mani e i miei piedi» non è un'invenzione cristiana. Questa era già la traduzione greca fornita dai Settanta prima della nascita di Cristo. Nessuno all'epoca l'ha mai contestata, mentre questa versione dei Settanta era molto diffusa, ed era pressoché la traduzione greca ufficiale della Bibbia, in un'epoca in cui il greco era la lingua dominante.
Fu solamente dopo la nascita e la diffusione del cristianesimo che gli ebrei sentirono il bisogno di un'altra traduzione. Vocalizzando il testo in modo diverso (in ebraico, solo le consonanti vengono indicate, e un testo può dar luogo numerose letture possibili) gli ebrei Aquila e Simmaco tradussero: «Hanno legato le mie mani e i miei piedi», una traduzione che aveva il vantaggio di rievocare in forma minore la crocifissione, pur conservando l'inconveniente di poter essere facilmente applicabile a Cristo.
Nel Medio Evo, i massoreti (studiosi ebrei che si prodigarono per mettere per iscritto la vocalizzazione del testo) preferirono tradurre: «Come il leone, le mie mani e i miei piedi». Il testo non aveva molto senso, ma essi pretendevano che si doveva sottintendere il verbo «contundono», il che dava: «Come un leone (contundono) le mie mani e i miei piedi». Questa è, come abbiamo visto, la soluzione adottata dal rabbino Simmons. Senza essere assolutamente impossibile da un punto di vista logico, questa lettura presenta tre grossi difetti:
In se stessa, la versione «hanno forato le mie mani e i miei piedi»:
Ogni osservatore imparziale converrà che la verosimiglianza, in questo caso, non è dalla parte del rabbino Simmons.
«Si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte».
Il Servo sofferente, annunciato da Isaia (Is 53)
Il capitolo LIII di Isaia è una delle vette dell'Antico Testamento, non solo a causa della forza emotiva con cui annuncia la passione del Messia, ma soprattutto per la spiegazione dottrinale che ne dà. Prima di discuterne, rileggiamo questo capitolo:
Il rabbino Simmons contesta, evidentemente, che si tratti di una profezia messianica:
Ecco il «messia» secondo il rabbino Simmons: il popolo israelita.
Per la terza volta, il rabbino Simmons, si opponi non solo all'interpretazione cristiana, ma anche - senza dirlo - a quella di numerosi ebrei. Molti israeliti, infatti, hanno dovuto ammettere che questa profezia annunciava il Messia, anche se poi l'hanno sottoposta ad un'esegesi più che acrobatica per cancellarne gli aspetti che li urtavano. Un caso assai significativo è quello del Targum di Gionata, che Padre Marie-Joseph Lagrange (1855-1938) definisce come «un esempio caratteristico e persino divertente dei controsensi cui può condurre la preoccupazione di restare fedeli alle parole di un testo, sottraendosi per quanto possibile al suo spirito» 38.
Sopra: Padre Marie-Joseph Lagrange e a lato il Targum di Gionata.
Tutto il capitolo LIII viene interpretato in questo modo. Quando Isaia dice che Dio farà ricadere sul suo Servo l'iniquità di tutti, il Targum di Gionata afferma che si parla del Tempio (di cui il testo non dice una sola parola): secondo questo commentario, il Tempio è stato profanato a causa dei peccati d'Israele.
Quando il testo dice che il Servo di Yahwéh non ha aperto la bocca, il Targum di Gionata interpreta in questo modo: «È stato esaudito ancor prima di aprire la bocca per pregare». Poi, invece di essere trattato come un agnello condotto al macello, è lui che trascina i popoli alla carneficina! E così via. Il Targum di Gionata interpreta risolutamente al contrario tutti i passi che indicano le sofferenze del Messia. Conclude Padre Lagrange:
Rashi (1040-1105) è il nome di un rabbino di Troyes che impose l'idea secondo cui Is 53 non si applicherebbe al Messia, ma al popolo ebraico. Egli spiegava che in altri passi di Isaia l'espressione «servo di Yahwéh» designa il popolo d'Israele. Ma il «servo di Yahwéh» descritto da questi passi è designato esplicitamente da Isaia come il Servo-Israele; è un peccatore indurito (Is 43, 24-28, ecc...), punito per le sue iniquità (Is 43, 27-28, ecc...), cieco riguardo all'opera di Dio (Is 42, 19-20).
Al contrario, il «Servo sofferente» di Is 53 è presentato come un uomo perfettamente innocente, obbediente e fedele a Dio, che porta su di sé i peccati degli altri. Questo capitolo non può designare il popolo d'Israele, poiché il Servo è colpito «per l'iniquità del mio popolo». La cosa è sufficientemente chiara visto che, nel corso dei secoli, nessuno si è ingannato su questo punto. È solamente dopo la venuta di Gesù Cristo - e contro di lui - che si è voluto applicare Is 53 al popolo ebraico.
Oggi, si vorrebbe anche vedere in questi passi un annuncio di ciò che gli ebrei chiamano Shoah. E tuttavia, nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, mentre si prodigava a proteggere il suo piccolo gregge ebraico, non era al suo popolo, ma al Messia che pensava irresistibilmente il rabbino-capo di Roma ogni volta che leggeva questo capitolo di Isaia.
Egli aveva visto una volta, nella sua infanzia, in Ucraina, un crocifisso nella casa di uno dei suoi compagni, e non poteva trattenersi dal ripensarci ogni volta che leggeva il cantico del Servo sofferente. Convertitosi più tardi al cristianesimo, Israel Zolli, (questo era il suo nome), raccontò quanto questo testo di Isaia lo aveva aiutato nel suo percorso verso Cristo Gesù 40.
«Hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa» (Sl 21).
Conclusione
Il rabbino Simmons invoca altri argomenti contro il cristianesimo, ma senza rapporto con le profezie, e talmente caricaturali che non meritano una confutazione dettagliata. Egli afferma che «l'idea cattolica della Trinità trasforma Dio in tre parti distinte: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo», il che sembra indicare che egli non si sia mai preso la pena di leggere un catechismo, né, ad esempio, il Simbolo di Sant'Atanasio.
Il rabbino sembra non avere mai afferrato ciò che designa il mistero dell'Incarnazione, poiché pensa che si possa affermare (per contraddirla) che Dio è incorporeo, infinito, fuori dallo spazio, e che «Dio non è un mortale». Egli confonde il cattolicesimo con il manicheismo affermando: «La dottrina cattolica tratta spesso il mondo fisico come un male che bisogna evitare». Sarebbe interessante, peraltro, censire le profezie messianiche che il rabbino Simmons omette di parlare nel suo studio.
Non dice nulla, ad esempio, dell'epoca in cui il Messia doveva nascere, predetta tuttavia in parecchi modi diversi 41. Ma un tale studio ci condurrebbe troppo lontano. Il solo esame delle profezie esplicitamente evocate dal rabbino contro Gesù Cristo ci sembra bastare a stabilire solidamente che Gesù Cristo ha portato a compimento gli oracoli dei Profeti, e che dunque è il Messia inviato da Dio. Che egli si degni di affrettare il giorno in cui il suo popolo, infine, lo riconoscerà!
«Oracolo del Signore al mio Signore: "Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi"» (Sl 109, 1).
Note
1 Traduzione dall'originale francese Pourquoi les juifs ne croient pas en Jésus, apparso sulla rivista Le Sel de la terre (nº 59, Inverno 2006-2007), a cura di Paolo Baroni. 2 Utilizziamo qui la versione francese pubblicata da John Kohn su un sito internet ebraico (http://www.lamed.fr/actualite/israelnation/1024.asp) il 19 maggio 2004. John Kohn precisa che il testo del rabbino israeliano è stato adattato e arricchito di commenti da lui curati. 3 Cfr. M. Briault C.S.SP, Le vénérable père F. M. Libermann, Gigord, Parigi 1946, pagg. 17-18. 4 Cfr. Le T.R. Père Marie-Théodore Ratisbonne, fondateur de la société des prêtres et de la congrégation des religieuses de Notre-Dame de Sion, d'après sa correspondance et les documents contemporains («Il revererendissimo Padre Marie-Théodore Ratisbonne, fondatore della Società dei sacerdoti e della Congregazione delle religiose di Nostro Signora di Sion, secondo la sua corrispondenza e i documenti contemporanei»), vol. I, Parigi 1905, pag. 62. 5 Il secondo Tempio di Gerusalemme - edificato al ritorno dalla cattività di Babilonia, a partire dal 516 a. C., e rinnovato interamente da Erode nel 19 a. C. - sarà distrutto dai romani solamente nell'anno 70. Entrandovi, Nostro Signore ha compiuto l'oracolo del Profeta Aggeo secondo cui la gloria del secondo Tempio avrebbe superato quella del primo (Ag 2, 9). Anche l'ultimo dei profeti, Malachia, annunciava questa venuta del Messia nel secondo Tempio: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l'angelo dell’alleanza, che voi sospirate, ecco viene, dice il Signore degli eserciti» (Ml 3, 1). 6 Cfr. P. V.-T. Beurier, L'aveuglement de ceux qui ont tué Jésus-Christ («L'accecamento di quelli che hanno ucciso Gesù Cristo»). Padre Beurier era un religioso eudista. 7 «Quando Nabucodonosor portò il popolo (in cattività) fu detto loro che vi sarebbero rimasti poco, e che sarebbero tornati in patria. Essi furono sempre consolati dai profeti, e i loro re continuarono. Ma la seconda distruzione è senza promessa di ristabilimento, senza profeti, senza re, senza consolazione, senza speranza; perché lo scettro è stato tolto per sempre. Essi sono stati fatti prigionieri senza l'assicurazione di essere rilasciati fra settant'anni. Ora essi sono senza alcuna speranza» (B. Pascal, Pensées). 8 Cfr. P. V.-T. Beurier, op. cit.. 9 Cfr. Le T. R. Père Marie-Théodore Ratisbonne, vol. I, Parigi 1905, pagg. 60-61. Anche il fratello più giovane di Théodore, Alphonse, si convertì al cattolicesimo, ma più tardi, dopo un'apparizione della Santa Vergine, nella chiesa di Sant'Andrea delle Fratte a Roma, il 20 gennaio 1842. Poco prima aveva accettato di portare la Medaglia Miracolosa della Madonna di Rue du Bac. 10 Diversi Santi hanno compiuto miracoli analoghi verso animali feroci o nocivi: i Padri del deserto, San Girolamo (e il suo leone), San Martino di Porres, ecc... 11 San Francesco di Sales ha lasciato intravedere il lavoro che dovette fare per vincere la collera nella piccola frase con cui rispose un giorno ad un amico che si stupiva della sua dolcezza verso un ateo: «Temevo di sfogare in un quarto d'ora questo poco liquore di mansuetudine che cerco di raccogliere da ventidue anni come una rugiada nel vaso del mio cuore». Un altro amico manifestò così il risultato di questi sforzi: «Mi sembra che tutta la mansuetudine che può essere in un uomo era riunita in lui: non potevo mai saziarmi di vederlo e di sentirlo tanto era dolce e piacevole, non compiendo mai un'azione né proferendo una parola che non fosse determinata dalla dolcezza di Nostro Signore» (cfr. F. Vidal, Aux sources de la joie avec Saint François de Sales, Parigi 1974, pagg. 163, 133). 12 Cfr. A. Ricciardi, Maximilien Kolbe, prêtre et martyr, Sources historiques («Massimiliano Kolbe, prete e martire, fonti storiche»), Médiaspaul, Parigi 1987, pag. 347. Ecco la testimonianza del dottor Rodolphe Diem: «Sono rimasto al campo di Auschwitz dal gennaio 1941 al gennaio 1945, e non conosco nessun caso simile, nessun atto di amore eroico verso il prossimo come quello di cui ha dato prova Padre Kolbe» (ibid., pag. 344). 13 Cfr. A. Ricciardi, op. cit., pagg. 348-349. 14 Schiavitù, superstizioni, sacrifici umani, tirannide dei sovrani, soppressione dei bambini indesiderati, sfruttamento della donna, ecc...: ecco i mali dai quali il cristianesimo ha liberato l'umanità. Occorre ricordare che la vita umana non valeva quasi nulla nell'impero romano, almeno quella dei neonati, degli schiavi o dei gladiatori? E che nessuna autorità religiosa era in grado di porre dei limiti ai capricci dell'imperatore, che giunse anche a farsi adorare come un dio? 15 Cfr. Tertulliano, Contra Gnosticos, XIII. 16 Probabilmente si opporranno a questa affermazione i soliti luoghi comuni sull'Inquisizione, sulle crociate e sulla conquista delle Americhe. Basta qui rispondere che né l'Inquisizione né le crociate avevano lo scopo di convertire al cristianesimo. La prima si prodigava a proteggere la fede dei cristiani già battezzati; le seconde a liberare la Palestina - terra cristiana invasa dall'islam - affinché i pellegrini potessero recarvisi senza pericolo. Né l'una né le altre sono state delle imprese di conversione forzata. Quanto all'America Latina, essa è stata conquistata con la forza delle armi dalla Spagna e dal Portogallo, non dalla Chiesa. Quest'ultima ha diffuso il cristianesimo con la predicazione, con l'esempio e per mezzo dei miracoli, come d'altronde è accaduto ovunque. Fu grazie ai miracoli - e senza mai ricorrere alla violenza - che San Louis Bertrand (1526-1581) operò decine di migliaia di conversioni in Colombia; furono le apparizioni della Madonna di Guadalupe (1531) che convertirono il popolo messicano, ecc... 17 Sulle origini giudeo-nazarene dell'islam, vedi la tesi di É.-M. Gallez, Le Messie et son prophète. Aux origines de l’islam («Il Messia e il suo profeta. Alle origini dell’islam»), Éditions de Paris, 2005. Ma indipendentemente da queste opere storiche, la dipendenza dell'islam dal messianismo temporale ebraico è più che evidente. 18 «La nuova Gerusalemme sarà ovunque trionferà l'idea francese della Rivoluzione», dichiarava Maurice Bloch (cit. in M.-J. Lagrange o.p., Le Messianisme chez les juifs 150 a.C. à 200 d.C., Gabalda, Parigi 1909, pag. 331). 19 Sul ruolo degli ebrei nel comunismo, vedi in particolare A. Solcenicyn, Deux siècles ensemble («Due secoli insieme»), vol. II, Fayard, Parigi 2003. 20 Vedi H. Ryssen, Les espérances planétariennes («Le speranze planetarie»), Éd. Baskerville, Levallois, 2005. Questo libro mostra molto bene come l'utopia del messianismo temporale insita nel comunismo, sottende oggi l'ideologia mondialista, ma manca di spirito cristiano. Le critiche voltairiane contro la Bibbia (pagg. 204-208) sono particolarmente sgradevoli. 21 «World full of Christian ideas gone mad» (cfr. G. K. Chesterton, Orthodoxy, 1908). 22 Cfr. A. Lémann, Histoire complète de l'idée messianique («Storia completa dell'idea messianica»), Gand 1974, pag. 268. Padre Lémann (1836-1909) era canonico di Notre-Dame. Vedi anche la profezia di Zaccaria: «Così popoli numerosi e nazioni potenti verranno a Gerusalemme a consultare il Signore degli eserciti e a supplicare il Signore» (Zc 8, 22). 23 Mentre tutte le altre società religiose si mettono rapidamente al servizio del potere politico, come le chiese scismatiche orientali (i cosiddetti «ortodossi»), gli anglicani, i protestanti, i musulmani, ecc..., la Chiesa cattolica è sempre riuscita a liberarsi dai poteri che tentavano di asservirla. 24 Si può notare che, globalmente, malgrado le persecuzioni e le diverse crisi che possono essere interpretate come «variazioni stagionali», l'influenza della Chiesa sulla terra è sempre stata crescente. 25 Blaise Pascal scrive a questo proposito: «Dio ha suscitato dei Profeti per sedici secoli; e nei quattrocento anni successivi ha diffuso tutte queste profezie mediante gli ebrei insediati in tutti i luoghi della terra. Ecco qual è stata la preparazione alla nascita di Gesù Cristo, di cui il Vangelo prima di essere creduto da tutti, ha necessitato non solo che ci fossero le profezie per farlo credere, ma anche che queste profezie fossero sparse da tutti, affinché fossero abbracciate da tutto il mondo». 26 Vedi P. Emmanuel-Marie o.p., Les généalogies de Notre-Seigneur («Le genealogie di Nostro Signore»), in Le Sel de la terre, nº 34, pagg. 30-33. 27 Dal solo San Matteo, si può citare: 1, 22; 2, 15 e 17; 2, 23; 4, 14; 8, 17; 12, 17; 13, 14 e 35; 21, 4; 26, 54 e 56; 27, 9 e 35. 28 Molte delle discussioni tra Gesù e i farisei vertono su questo punto. Vedi particolarmente Mc 2, 24-28 e 3, 1-6. «Il sabato è stato fatto per l'uomo, e non l'uomo per il sabato; ecco perché il Figlio dell'uomo è padrone anche del sabato». 29 Anche un erudito ebreo non convertito al cristianesimo, Bernard Lazare (1865-1903), lo ha notato: «E si può dire che il vero mosaismo, purificato e reso più grande da Isaia, Geremia ed Ezechiele, diffuso ovunque universalmente ancora dai giudeo-ellenisti, avrebbe portato Israele al cristianesimo se non ci fossero stati l'esdraismo, il fariseismo e il talmudismo a trattenere la massa degli ebrei nei lacci delle strette osservanze e delle rigide pratiche rituali» (cfr. B. Lazare, L'antisemitismo. Storia e cause, Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia 2000, pag. 21). «Se gli israeliti si fossero attenuti al puro mosaismo non vi è dubbio che, a un certo momento della loro storia, avrebbero potuto modificare questo mosaismo in modo tale da lasciar sussistere soltanto i precetti religiosi o metafisici; può anche darsi che, se avessero avuto come libro sacro soltanto la Bibbia, si sarebbero fusi nella Chiesa nascente che trovò i suoi primi adepti nei sadducei, negli esseni e nei proseliti ebrei. Un altro fattore impedì la fusione e mantenne gli ebrei come popolo isolato fra gli altri popoli: l'elaborazione del Talmud, il dominio e l'autorità dei dottori che insegnarono una presunta tradizione» (ibid., pag. 17). 30 Cfr. P. T. De Saint-Just o.f.m., Les Frères Leemann, juifs convertis («I fratelli Lemann, ebrei convertiti»), Librairie Saint-François, Parigi 1937, pag. 372. 31 Cfr. F.-X. De Guibert, Eugenio Zolli, avant l'aube («Eugenio Zolli, prima dell'alba»), Parigi 2001, pag. 110. 32 Il termine parthènos dei Settanta, designa sempre una vergine. Anche nel greco classico, questo vocabolo designa, nel suo senso principale, una vergine ancora giovane (vedi, ad esempio, il Dizionario di Bailly o il Lexicon di Zorell). 33 Per il dettaglio, vedi, ad esempio, P. F. Ceuppens o.p., De Prophetiis messianicis in Antiquo Testamento, Collegium Angelicum, Roma 1935, pagg. 192-196; PP. Lusseau-Collomb, Manuel d'études bibliques («Manuale di studi biblici»), vol. III, Téqui, Parigi 1934, pagg. 148-149. 34 Il rabbino David Drach, genero di Emmanuel Deutz, Gran Rabbino del Concistoro centrale, chiese il battesimo cattolico nel 1823. Egli ricevette i nomi di Paul, Louis e Bernard. Drach ha ripreso e sviluppato il suo studio su Isaia 7, 14 nel secondo tomo della sua opera De l'Harmonie entre l'Église et la Synagogue («Dell'armonia tra la Chiesa e la Sinagoga»; Parigi 1844, pagg. 1-383). 35 Cfr. San Girolamo, Contra Jovinianum, I, 32 ; PL 23, 254. 36 Per i dettagli, vedi, ad esempio, P. F. Ceuppens o.p., op. cit., pagg. 363-364. 37 Come si è visto, esiste una variante di questa consonante finale. Le due versioni permettono di tradurre «hanno forato» (prendendo questo verbo sia come una forma coniugata che come un participio plurale, il che ci riporta allo stesso risultato, quanto al senso). In compenso, una sola delle due permette di leggere «come un leone». 38 Cfr. P. M.-J. Lagrange o.p., Le Messianisme chez les juifs (150 a.C. à 200 d.C.), Gabalda, Parigi 1909, pag. 241. 39 Ibid., pag. 243. 40 Israel Zolli (1881-1956), battezzato insieme alla moglie a Roma il 13 febbraio 1945, volle ricevere il nome di Eugenio, in onore di Papa Pio XII, Eugenio Pacelli, che lo aveva efficacemente aiutato a salvare e a soccorrere gli ebrei italiani durante la guerra.
41
Blaise Pascal nota nei suoi Pensées che l'epoca della venuta
del Messia è predetta al tempo stesso dalla condizione del popolo
ebraico, da quella dello stato del popolo pagano, e dal numero degli
anni. Per ciò che è del popolo ebraico, occorreva che lo scettro
fosse tolto da Giuda (Gn 49, 10,). Per le nazioni pagane,
occorreva che fosse venuto il quarto impero annunciato da Daniele (Dn
2, 31-45 e 7, 1-27): quello dei romani. Quanto al numero degli anni,
bisognava che passassero le settanta settimane di anni annunciate
dallo stesso Daniele (Dn 9, 24-27). Era soprattutto
necessario - sottolinea Pascal - «che tutti questi segni
arrivassero nello stesso momento». Il che si è realizzato
nell’epoca di Gesù Cristo. |