Premessa
Probabilmente qualcuno si chiederà di quale utilità possa essere ai nostri giorni un riassunto della dottrina marxista. Per il mondo occidentale, scomparso il moloch sovietico, la minaccia comunista si è di fatto dissolta. La Cina, ultimo grande regime rosso, va rapidamente occidentalizzandosi; se si escludono realtà trascurabili come il Venezuela, la Corea del Nord o Cuba, del comunismo che all'inizio degli anni '60 sembrava voler ingoiare oltre all'Estremo Oriente anche l'Africa e l'America Latina non è rimasto un gran che.
Anche i vari partiti comunisti europei, soprattutto dopo il crollo del Muro di Berlino (1989), sono andati via via trasformandosi in realtà riformiste che poco o nulla hanno conservato della vecchia identità marxista. Tuttavia, anche se falce e martello si sono eclissati, molti ancora oggi conservano la forma mentis marxista e l'approccio quasi religioso a questa filosofia. Il comunismo è finito, ma i comunisti - nonostante il fallimento a livello globale - ci sono ancora... Lo prova il fatto che a differenza degli altri totalitarismi (nazismo e fascismo), al crollo del comunismo non ha fatto seguito nessuna Norimberga, neppure morale, nonostante i milioni di morti fatti in tutto il mondo.
Ancora ai nostri giorni, la filosofia marxista, un vero e proprio credo religioso tinto di ateismo con tanto di dogmi e credenze, una teoria insensata e sanguinaria, è lì a ricordarci a quali orrori porta la strada delle utopie, e in ultima analisi dove conduce la ribellione sistematica a Dio portata alle sue conseguenze più estreme: al «culto dell'uomo quale essere supremo» (così Karl Marx), ossia al satanismo.
PARTE PRIMA
«Il marxismo leninismo (è una) concezione unitaria del mondo» 1. Quale «concezione del mondo»? A questa domanda risponde Stalin (1879-1953): «Il materialismo dialettico è la concezione del mondo propria del partito marxista leninista» 2.
Henri Lefebvre (1901-1991), filosofo marxista francese:
Il marxismo non è una somma di dottrine giustapposte che possono essere giudicate separatamente, ma è un tutto organico che deve essere considerato sempre nel suo insieme. Considerazioni del tipo «accetto l'analisi economica del marxismo, ma non la filosofia», «accetto questa singola parte e rifiuto quest'altra», denunciano una fondamentale incomprensione del carattere globale del marxismo.
Il materialismo
Lenin (1870-1924):
Ma che cos'è il materialismo? Esso è la dottrina secondo cui la materia è l'unica realtà: non c'è Dio, non c'è anima, non ci sono valori e fini spirituali che trascendono l'uomo, ma tutto ciò che esiste è un prodotto della materia.
Il marxismo distingue due soli tipi di filosofia:
Idealista, per i marxisti, è dunque non solo Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), secondo il quale l'idea è l'unica realtà, ma chiunque affermi l'esistenza di realtà non materiali (Dio, l'anima, ecc...). Ma cos'è la materia? Il marxismo evita per lo più di impelagarsi in questioni scientifiche sull'essenza della materia (atomi o energia, corpuscoli o onde, ecc....). La materia è una «categoria filosofica» (Lenin): in questo senso è semplicemente definita «ciò che agendo sugli organi dei nostri sensi produce la sensazione» 7. Le proprietà della materia sono l'eternità e l'infinità: «In ogni sua parte, essa non ha né principio né fine» 8.
Per Friedrich Engels (1820-1895),
Lo spirito, il pensiero, la coscienza derivano dalla materia: non che il pensiero sia materiale, ma
Il materialismo dialettico
Così Karl Marx (1818-1883):
Il materialismo illuministico (Helvetius, d'Holbach e Diderot), il materialismo positivistico (Moleschott e Buchner) sono materialismi statici; Marx aggiunge una nota dinamica, la dialettica. La materia non è statica, ma è in movimento: «il movimento è il modo di esistere della materia» 12. Come la materia, il movimento è infinito ed eterno:
Non un qualunque movimento, ma il movimento dialettico, la dialettica. Per Hegel la dialettica era il movimento dell'unica realtà che e l'Idea, lo Spirito, il Pensiero («Panlogismo», ossia tutto è Idea).
Tale movimento avveniva attraverso la continua nascita, dalla lotta di due termini che si urtano, di un terzo termine sintetico che supera gli altri due e che subito diventa il primo membro di una nuova triade. Il processo del reale è sempre un processo triadico: il primo termine si chiama tesi, il secondo antitesi, il terzo - che supera gli altri due - sintesi. Ogni sintesi diventa la tesi di una nuova triade, e così via all'infinito.
Il materialismo storico
Il materialismo storico è l'applicazione del materialismo dialettico alla storia della società: «Il materialismo storico estende i principî del materialismo dialettico allo studio della vita sociale [...], allo studio della storia e della società» 15. Non si tratta di un'altra componente dissociabile dal materialismo dialettico: la stessa evoluzione della materia, che ha prodotto l'uomo mediante il lavoro primordiale, prosegue, sempre avanzando dialetticamente, mediante il lavoro organizzato. Lavorando, l'uomo si trasforma, la natura si muta, l'evoluzione continua: «cambiare la società» significa allora «cambiare l'uomo».
La storia interpretata materialisticamente
L'elemento fondamentale dell'evoluzione storica è l'elemento materiale, economico:
che costituiscono la «struttura essenziale» l'«infrastruttura» su cui si impianta la «sovrastruttura» ideologica (morale, diritto, arte, religione, ecc...) che non ne è che il riflesso.
I rapporti di produzione determinano le classi sociali, che si presentano come dato costante della Storia da quando esiste la proprietà privata. La storia, dunque, è storia di classi.
La storia interpretata dialetticamente
Le classi entrano necessariamente in conflitto fra di loro: «La lotta di classe [...] è un fenomeno assolutamente necessario e inevitabile» 19. La conflittualità storica che si esprime nella lotta di classe è diretta conseguenza della conflittualità filosofica della dialettica. Nella storia c'è un necessario processo dialettico, che si fonda sulla contraddittorietà del reale e sulla lotta degli opposti.
Da questa lotta, attraverso il processo triadico tesi-antitesi-sintesi, scaturisce il progresso.
«Proletari di tutto il mondo unitevi»!
É la tesi mentale del Manifesto del Partito Comunista. Allo stadio attuale in cui è giunta, la lotta di classe si è semplificata, al punto che non esistono più che due classi: borghesi e proletari.
La borghesia è la classe sfruttatrice, il proletariato è la classe sfruttata. Lo sfruttamento consiste in questo: che il proletario con il suo lavoro crea nella merce che produce un «valore» che solo parzialmente è coperto dal salario che percepisce, mentre per il rimanente è accumulato dal capitalista, il quale si arricchisce grazie a questo plusvalore ingiustamente sottratto al lavoratore.
Di qui l'aggravarsi delle condizioni del proletariato, che necessariamente condurrà alla rivoluzione e alla «dittatura del proletariato», insieme esito necessario e termine della lotta di classe in quanto ché, dopo la vittoria del proletariato, non si potrà più parlare di classi distinte. La lotta di classe, cioè,
Sopra: medaglia coniata dal Partito Comunista Italiano. A destra, dopo Marx, Lenin e Stalin appare anche Palmiro Togliatti.
Occorre notare che la teoria economica del valore-lavoro, che è il nucleo de Il capitale di Marx, non può essere staccata dal quadro filosofico generale del marxismo.
Non si può «accettare l'analisi economica di Marx rifiutando la sua filosofia», come alcuni dicono: agli economisti che criticavano la nebulosa teoria del valore-lavoro, il marxista Rudolf Hilferding (1877-1941) rispose nel 1904 (ne La critica di Bohm-Bawerk a Marx) che «il problema non si pone a livello semplicemente economico». L'analisi materialista dell'economia non si può giudicare indipendentemente dal materialismo dialettico, anzi è l'applicazione del materialismo dialettico all'economia.
La dittatura del proletariato e il deperimento dello Stato
La dittatura del proletariato è un momento di transizione verso la società senza classi: e poiché lo Stato è la traduzione storica degli antagonismi di classe, macchina repressiva, strumento di dominazione, la scomparsa delle classi porterà con sé la scomparsa dello Stato. Il fine è analogo a quello anarchico. In termini giuridici si avranno:
Come finirà la dittatura del proletariato, lo Stato proletario? Non in maniera violenta, come è finito lo Stato borghese, ma, secondo Lenin, in modo naturale, per deperimento. Ci sarà, cioè, uno spontaneo passaggio dalla fase inferiore alla fase superiore della società comunista. Allora «tutta la società non sarà più che un grande ufficio e una grande fabbrica con eguaglianza di lavoro ed eguaglianza di salario» 24.
Dittatura degli operai armati che, secondo Lenin, determinerà l'assuefazione al lavoro spontaneo: e, mentre il capitalismo borghese remunerava secondo il lavoro effettuato, la società senza classi remunererà ognuno secondo i suoi bisogni. «Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni».
Questo passaggio dal capitalismo alla fase inferiore del comunismo (dittatura del proletariato) in cui tutti sono coercitivamente uguali, e dalla fase inferiore a quella superiore (società senza classi) in cui l'uguaglianza è invece il risultato delle libere volontà, è secondo Lenin inevitabile, e dunque non è utopistico, ma scientifico.
Si ignorano i tempi dello sviluppo, ma abbiamo la certezza di questo «deperimento»: l'evoluzione storica travolgerà la religione, la famiglia, la proprietà. Queste grandi linee dell'ideologia marxista ci permettono di definire il marxismo una sètta filosofica: non una scuola, non una corrente, non un movimento di pensiero, ma una sètta per il suo carattere religioso: una religione evidentemente secolarizzata e trasposta sul piano temporale.
Si tratta di una vera e propria utopia: e il carattere proprio di ogni utopia è quello di falsare le leggi necessarie della natura, falsare quell'ordine che è stato dato da Dio e a cui l'uomo deve conformarsi, entro cui deve realizzarsi. L'odio per Dio porta a negare la Sua creazione: la natura.
Così, mediante il processo dell'evoluzione storica, il marxismo cerca di dissolvere le realtà naturali prime, facendone pure realtà storiche in balia del trionfante divenire: cosi è per la religione, la famiglia, la proprietà.
Il comunismo nega la religione, la famiglia e la proprietà
La religione Il marxismo, presentandosi come materialismo e negando quindi l'esistenza di Dio, nega di conseguenza la religione come rapporto necessario che lega, attraverso il rito, l'uomo a Dio. La religione è una sovrastruttura
Sopra: manifesto sovietico antireligioso.
Aggiunge Lenin:
Sopra: manifesto sovietico antireligioso.
Secondo la Grande Enciclopedia Sovietica, la religione
Sopra: altri manifesti sovietici antireligiosi.
La religione è dunque un male sociale che la rivoluzione comunista deve combattere: «La nostra propaganda comprende necessariamente anche la propaganda dell'ateismo» 28. Secondo l'art. nº 124 della Costituzione Sovietica, «la libertà di culto e la libertà di propaganda antireligiosa sono riconosciute per tutti i cittadini».
Di fatto, la propaganda religiosa e l'insegnamento religioso sono proibiti, mentre è favorita e incrementata la propaganda ateistica e antireligiosa. In realtà, come ogni forma di pensiero rivoluzionario, il marxismo vuole sostituire il culto dell'uomo al culto di Dio:
Sopra: manifesto sovietico antireligioso.
L'uomo è il dio dell'uomo, e l'utopia del paradiso che la Rivoluzione creerà sulla terra sostituisce la fede nella vita eterna:
Sopra: altro manifesto sovietico antireligioso: la religione cristiana è una trappola!
La religione è però insieme «espressione della miseria e protesta contro di essa» 32. Marx, come poi Antonio Gramsci (1891-1937), distingue dunque:
La famiglia
● La famiglia è una sovrastruttura Come la religione e la proprietà, essa è per il comunismo una realtà di storia e non di natura: quindi «che l'abolizione dell'economia separata sia inseparabile dall'abolizione della famiglia è cosa che si intenda da sé» 33. Secondo Marx, il comunismo finirà per introdurre
● L'origine della famiglia
Nell'epoca primitiva, l'orda originaria viveva non solo nel comunismo primitivo, ma anche nella completa promiscuità sessuale. Soltanto successivamente nella società di classi nata con la proprietà privata, nasce la famiglia, dove la donna è vittima e l'uomo sfruttatore: anzi, c'è un rapporto fra l'alienazione familiare e lo sfruttamento della classe oppressa, il proletariato. Il passaggio al comunismo comporterà dunque la «liberazione della donna» mediante la soppressione della famiglia.
● La soppressione della famiglia Secondo Engels, il comunismo sopprimerà «la duplice base dell'odierno matrimonio - la dipendenza della donna dall'uomo e dei figli dai genitori» 36. Le due soppressioni sono collegate: emancipare la donna per il marxismo vuol dire emanciparla dal lavoro domestico e toglierle l'educazione dei figli, che sarà effettuata dallo Stato socialista:
Tutto questo dovrebbe portare all'abolizione del matrimonio e al libero amore:
In pratica nell'Unione Sovietica ci sono stati atteggiamenti diversi:
La proprietà privata «I comunisti possono riassumere la loro dottrina in questa unica espressione: abolizione della proprietà privata» 39. Anche la proprietà privata è per il marxismo una realtà storica e non naturale. Per Engels sono esistite diverse forme di proprietà che corrispondono ai diversi stadi di sviluppo della divisione del lavoro: la proprietà della tribù, la proprietà della città antica, la proprietà feudale, infine la proprietà privata basata sul capitale e sull'industria moderna. La proprietà privata è per Marx conseguenza del lavoro alienato e, nello stesso tempo, mezzo in cui il lavoro si aliena.
La proprietà è la tesi di cui la classe operaia è l'antitesi: producendo il proletariato, la proprietà ha segnato la sua fine. La Rivoluzione sarà un atto di appropriazione, l'abolizione di ogni proprietà.
É importante notare che secondo Engels l'abolizione della proprietà privata «non potrà essere effettuata in un colpo solo», ma «solo gradatamente» 41, mediante varie tappe, tra cui:
Nella prassi degli attuali partiti comunisti queste tappe non iniziano necessariamente nel momento in cui il comunismo va al potere, ma già prima, costringendo i governi non comunisti a una «politica di riforme» che attacchi la proprietà con pressioni fiscali, nazionalizzazioni, ecc...
Negando la religione, la famiglia e la proprietà, il comunismo nega le istituzioni naturali. Il comunismo si definisce come negazione dell'ordine naturale, riflesso a sua volta di una legge naturale che ha in Dio il suo autore, e si qualifica dunque come una delle manifestazioni storiche di quel rifiuto che la società moderna opera di Dio.
Rifiuto che definiamo «Rivoluzione», caricando questo termine di una valenza e non di affermazione. La negazione di Dio comporta immediatamente la negazione dell'essere, che il marxismo vorrebbe dissolvere nel movimento e nel divenire. Il comunismo, così, si presenta necessariamente come Rivoluzione permanente.
La Rivoluzione permanente
Occorre vincere un pregiudizio fondamentale che rischia di impedire qualunque considerazione adeguata del comunismo. Molti pensano che l'obiettivo del comunismo sia l'instaurazione di una società perfetta, da cui tutte le ingiustizie siano eliminate: e la Rivoluzione sarebbe un mezzo per raggiungere questo fine. Nulla di meno marxista! Lo scopo è fare la Rivoluzione: e i mezzi sono le contraddizioni che si incontrano (o che il Partito crea) nella società. Scrive Arthur Rosenberg (1889-1943), ex-membro del comitato Esecutivo della Terza internazionale:
Il marxismo non ha come scopo l'eliminazione della miseria. Scrive il già citato Henri Lefebvre:
Così il comunista cinese Liu Sciao-ci (1898-1969):
Anzi, il marxismo si serve della miseria come strumento: senza la miseria del proletariato non sarebbe possibile la rivoluzione; essa non è dunque un male da eliminare, ma un mezzo da sfruttare per il fine. Al contrario, «la "prosperità industriale" determina i tentativi di "comprare gli operai" e di allontanarli dalla lotta: questa prospettiva in genere "demoralizza" gli operai» 45. Così, nei loro scritti sull'India e sulla Cina Marx ed Engels si rallegrano cinicamente della miseria generata dai tentativi inglesi di industrializzazione forzata dell'0riente: essa alimenterà la Rivoluzione.
Anche dal sistema del libero scambio e degli eccessi del capitalismo nascente Marx si rallegra per lo stesso motivo:
Concludendo, il marxismo non ha per fine la riforma, ma la rivoluzione:
Dunque la rivoluzione è il fine. Ma quale Rivoluzione? Che cos'è la Rivoluzione? Occorre ricordare che il marxismo consta anzitutto, come si è detto, di due principî fondamentali:
Egli può (e quindi deve) collaborare al divenire evolutivo. Può accelerare la Rivoluzione, la marcia verso il meglio. Questo aiuto che l'uomo dà all'evoluzione è detto appunto Rivoluzione. La Rivoluzione, cioè la collaborazione dell'uomo al divenire evolutivo, si compie in due fasi:
La Rivoluzione perciò non è un semplice rivolgimento storico:
Sopra: Il Quarto Stato, un dipinto del pittore piemontese Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907).
Ma il divenire incessante, la contraddizione come essenza della realtà:
É l'esito ultimo del primato del divenire sull'essere. La società rivoluzionaria é la società della contraddizione incessante, la società della negazione della natura, della negazione di Dio nella sua opera, e il marxismo è l'adorazione filosofica del divenire. La futura «società comunista», così, non sarà certo una società senza contraddizioni (quasi che la dialettica potesse cessare!) né senza lotte (Mao Zedong ha teorizzato la necessità di continue «rivoluzioni culturali» anche dopo l'avvento del socialismo) e del resto
Lo slogan che circolava tra i bolscevichi, la cui formulazione sembra paradossale, al contrario definisce rigorosamente il carattere della Rivoluzione comunista: «La méta è nulla, il movimento è tutto»!
PARTE SECONDA IL COMUNISMO IN AZIONE
Il leninismo
Il comunismo, come abbiamo visto, si definisce come negazione della natura, e negazione, nella natura, del suo Autore, cioè di Dio. Il comunismo, tuttavia, conosce la natura. Se non la conoscesse, del resto, non potrebbe negarla. Sa cioè che esiste una natura, afferma la possibilità di trasformarla - ma, per trasformarla, comincia col tenerne conto.
Solo in questa prospettiva si può capire Lenin e comprendere lo spartiacque tra quel filone di socialismo romantico che va da Blanqui a Sorel, e che è noto come blanquismo, e il marx-leninismo, il leninismo scientifico che non si accontenta dell'improvvisazione romantica, ma fa della Rivoluzione non solo uno slancio o una tensione ideale, ma una scienza. Si tratta di due linee metodologicamente contrapposte. Il blanquismo è volontarismo rivoluzionario, la versione rivoluzionaria, cioè, di quello che dalla parte opposta viene talvolta indicato come golpismo.
Sopra: propaganda elettorale comunista in Italia. La promessa di un mondo migliore...
La sua prospettiva si potrebbe riassumere in questi termini: bisogna trovare delle persone assolutamente disposte a fare la rivoluzione secondo la modalità operativa principale della cospirazione, fino al colpo di Stato. I dati naturali, lo Stato della nazione, interessano marginalmente: e il blanquismo è più interessato al reclutamento di rivoluzionari che alla loro formazione, perché pensa, volontaristicamente, che basti la ferma volontà di fare la Rivoluzione per assicurarne il successo. Il leninismo è invece una prospettiva più complessa che, senza negare la necessità del reclutamento del nucleo di militanti necessari all'operazione rivoluzionaria, si sforza di costruirli razionalmente tenendo conto dei dati naturali e della struttura naturale della società.
La natura conosce l'autorità, conosce la gerarchia, conosce legge secondo cui sono i pochi a guidare i molti: verità elementari che i teorici dell'élitismo (Mosca, Pareto, Michels) riscopriranno in quegli anni e che lo stesso Lenin riaffermerà, tanto da essere definito da parte dello storico social-democratico Franz Borkenau (1900-1957), come l'«antidemocratico» fautore della «teoria fascista delle élite» 52.
Si può discutere sulla fedeltà di Lenin a Marx, ma certamente, se è vero che la prassi è per il marxismo il metro di giudizio della dottrina, Lenin è, più di Marx, il vero marxista e il vero rivoluzionario: Lenin ha fatto la Rivoluzione, mentre Marx si è limitato a parlarne.
Il marxismo, abbiamo detto, è una sètta filosofica: ma non è soltanto questo, perché passa all'azione, è azione, è prassi rivoluzionaria. Esso si può dunque ulteriormente definire come una sètta filosofica che attraverso un'organizzazione sovversiva si propone la conquista del mondo.
Una sètta filosofica... Non solo una filosofia, non solo una scuola di pensiero, ma una concezione del mondo che surroga la religione presentandosi in termini di certezza assoluta. Il filosofo non è lo studioso delle leggi oggettive della natura ma l'apostolo intollerante di una nuova verità. Su questo piano è evidente la filiazione dall'illuminismo, primo movimento culturale che abbia inteso fare del filosofo non un conoscitore della verità, ma un propagandista.
...che attraverso un'organizzazione sovversiva... Il marxismo introduce dunque un elemento ulteriore: il primato della prassi, elemento di radicale novità che fa del filosofo non solo un propagandista culturale, ma un uomo che agisce, che fà, un organizzatore e propagandista della Rivoluzione. In questo senso, non è soltanto una sètta filosofica, ma una vera organizzazione sovversiva. Lenin, che i socialdemocratici accusano di aver deformato il pensiero di Marx, è l'autentico marxista, e la Rivoluzione russa, più che l'apparizione del Il Manifesto o de Il Capitale, è l'avvenimento filosofico per eccellenza.
...si propone la conquista del mondo Il marxista e l'uomo che lotta per una verità (anche se di tipo tutto particolare): è una verità che ha caratteri di universalità. Non una verità, metafisica, ma la «verità» che nasce dalla storia: il marxista non è mosso da volontà di potenza, ma da una fede cieca nella storia. Il mondo marcia verso il comunismo, verso il fenomeno universale e perpetuo della società senza classi. Le caratteristiche che il cristiano attribuisce all'al dì là vengono attribuite a questo al dì qua nella loro totalità. Unica è la Storia, unica è l'attività lavorativa mediante la quale l'uomo si auto-trasforma: unica, dunque, dovrà essere infine la società comunista, vero contro-impero mondiale da cui nessun uomo dovrà restare fuori.
La strategia leninista
La preoccupazione di fondo di Lenin è quella di fare la Rivoluzione. E, per fare la Rivoluzione, occorre rispettare certe leggi naturali ineliminabili. Una di queste leggi dice che non sono le masse, ma le minoranze a fare la storia. Gli uomini non sono uguali, esiste una gerarchia naturale, sono i pochi a muovere i molti. Il profeta dell'egualitarismo fà sua questa verità squisitamente reazionaria... cadendo così, secondo alcuni, in un atteggiamento antimarxista o «fascista»: ma è stata proprio questa conoscenza della natura ad assicurare il successo dell'azione rivoluzionaria di Lenin.
Questi intuisce che le società si fanno e si distruggono a partire dagli uomini. Scrive Lenin in Che fare?:
Occorrono invece «uomini che consacrino alla Rivoluzione non solo le sere libere, ma tutta la loro vita» 54.
Si tratterà necessariamente di una minoranza anche perché «è molto più difficile impadronirsi di una decina di teste forti che non di un centinaio d'imbecilli» 58; e di una minoranza rigorosamente formata:
Come si vede, si tratta di un'organizzazione fondata su criteri tutt'altro che democratici o ugualitari: Lenin afferma che «non è possibile sostituirla con il controllo democratico generale» e che i rivoluzionari
Attraverso questa duplice struttura, sotto la guida segreta ma ferrea del piccolo gruppo dei rivoluzionari di professione, la sètta filosofica diviene partito, che è parola etimologicamente pertinente, quasi a indicare la divisione dell'umanità in due campi. É un esercito speciale che conduce una guerra ben più totale della «guerra totale», perché non è circoscritta alle operazioni militari, anche se il partito ha una struttura tipicamente militare. Questa rigorosa organizzazione è considerata da Lenin essenziale al successo della Rivoluzione.
Una dura polemica è pertanto condotta contro i socialisti democratici, dall'altra contro gli «estremisti» dei gruppuscoli social-rivoluzionari. Ai democratici, ai menscevichi, ai «social-traditori», allo stesso Karl Kautsky (1854-1938) che si limita ad una ortodossia formale nei confronti di Marx, Lenin ricorda che «una centralizzazione assoluta e la più severa disciplina del proletariato sono condizioni essenziali per la vittoria sulla borghesia» 61.
Occorre «un partito temprato nella lotta»: «Chi indebolisce, sia pure di poco, la disciplina ferrea del partito del proletariato (soprattutto durante la dittatura del proletariato) aiuta di fatto la borghesia» 62. Ai dottrinaristi di sinistra, ai social-rivoluzionari, agli anarchici, Lenin obietta che per vincere occorre «combinare le forme di lotta legali e illegali, parlamentari ed extraparlamentari» 63: «I rivoluzionari che non sanno combinare le forme illegali di lotta con tutte le forme legali sono pessimi rivoluzionari» 64. I «bolscevichi di sinistra» che rifiutano di partecipare al «parlamento reazionario» hanno forse compreso i principî teorici, ma non la strategia del comunismo. Risponde Lenin:
Il «partito di ferro» è indispensabile alla strategia comunista, ma esso deve sempre essere disponibile al compromesso tattico. la «disciplina ferrea del partito» e il «destreggiarsi» sono due aspetti inscindibili di un'unica metodologia. Questa metodologia, applicata ai Paesi occidentali e cristiani tramite la riflessione di Gramsci, si è perfezionata proprio negli anni '70, con il programma di compromesso culturale. Esso consiste nella ricerca della conquista dello Stato attraverso la conquista della società, mediante una lenta e accorta penetrazione di tutte le sue strutture: la scuola, le società economiche, la magistratura, lo stesso mondo cattolico sono lentamente infiltrati dall'interno.
L'ala marciante della Rivoluzione si serve così della tecnica di trasbordo ideologico e della complicità dei moderati per acquistare sulla società quella egemonia che, sola, può garantirne il successo. Per fare ciò occorre un compromesso culturale, in cui il mondo non-comunista, e in particolare quello cattolico, rinuncino alla difesa del proprio modello di uomo e di società; mentre il movimento comunista, per parte sua, essendo una ideologia della prassi, ed essendo vincolato solo al successo della Rivoluzione, mantenga, al di là delle concessioni verbali, il proprio progetto egemonico.
La crisi teoretica del marxismo
Due posizioni insuperabili Da una parte: Stalin e Lev Trotskij (1879-1940). Di fatto, l'esito storico-politico del marxismo è la contrapposizione di due posizioni che si muovono a vicenda critiche insuperabili: lo stalinismo e il trotzkismo. Queste due posizioni hanno un significato che va al di là della polemica fra Stalin e Trotskij(terminata con l'esilio del secondo e il suo assassinio in Messico nel 1940, preceduto dallo sterminio dei trotzkisti nei campi di concentramento staliniani): esse possono essere assunte come categorie, considerate come due atteggiamenti tipici all'interno del comunismo.
In Italia, ad esempio, con qualche differenza, Palmiro Togliatti (1893-1964) gioca il ruolo di Stalin, e Amadeo Bordiga (1889-1970) - il vecchio capo del PCI espulso dal partito - quello di Trotskij, mentre Gramsci, che pure era alla ricerca di una filosofia che permettesse di evitare sia lo stalinismo che il trotzkismo, messo nella necessità di scegliere si orienta di fatto verso lo stalinismo.
Trotskij introduce il concetto di «rivoluzione tradita», in Russia non si è realizzato il vero comunismo, perché Stalin ha tradito la Rivoluzione. Con Stalin la Rivoluzione ha assunto e rafforzato le realtà e gli istituti che avrebbe dovuto negare: lo Stato, l'autorità, la burocrazia, l'élite dirigente, l'apparato poliziesco, ecc... Soprattutto, la Rivoluzione si è circoscritta a una sola nazione («socialismo in un solo Paese») tradendo così il concetto marxista di «Rivoluzione permanente» che avrebbe postulato un tentativo immediato di estendersi al mondo intero.
Stalin risponde: non esiste un «comunismo ideale»; la realizzazione sovietica, il «socialismo in un solo Paese» è l'unico modo per fare avanzare la Rivoluzione, e le critiche Trotskij rappresentano una posizione utopistica, idealista, che in ultima analisi favorisce l'avversario. Chi ha ragione? Stalin o Trotskij? Tutti e due. Ha ragione Trotskij: perché il comunismo, come ogni Rivoluzione, ha inevitabilmente esiti totalitari. Ma ha ragione anche Stalin: perché la Rivoluzione non poteva riuscire che a condizione di essere tradita, tanto che l'iniziatore del «tradimento» è stato lo stesso Lenin.
Egli, prima di Stalin, ha dato allo Stato sovietico i caratteri che Trotskij denunciava. Ma nella stessa filosofia marxista-leninista, di cui Trotskij sottolinea l'importanza, erano insiti quegli sviluppi che egli combatte. Non esistono due comunismi: il comunismo ideale, mai realizzato, e il comunismo «tradito» degli Stati socialisti; la costruzione ideale, per la sua stessa struttura, non può dare altro esito, nella pratica, che lo Stato totalitario e oppressivo di cui l'Unione Sovietica è stata il modello.
Così, la contrapposizione fra Stalin e Trotskij rimane insuperabile: e l'irresolubile alternativa può essere mascherata soltanto degradando la filosofia a ideologia, imponendo autoritariamente una strada, facendo dell'ideologia sovietica quel «cumulo di menzogne» sistematiche, oppressive, che Aleksandr Isaevič Solženicyn (1918-2008) denuncia nel suo scritto Vivere senza menzogna.
Dall'altra: la materia e la dialettica. Oltre e sotto la prima contrapposizione (storico-politica) ve ne è una seconda (teoretica), altrettanto insuperabile. Siamo abituati a dare per scontato il passaggio da Hegel a Marx: Marx avrebbe «raddrizzato» Hegel - il passaggio sarebbe filosoficamente ineccepibile. Ma lo è davvero? É il materialismo dialettico una filosofia coerente? Può la materia essere il soggetto della dialettica? Certo: il marxismo è un tutto inscindibile in cui il materialismo e la dialettica non possono essere separati.
Ma se unire questi due elementi è arbitrario, allora il marxismo è un falso filosofico: e il mettere l'accento sull'uno o sull'altro aspetto dovrà portare a uscire dal marxismo. Di fatto, storicamente il marxismo ha sempre teso a una simile decomposizione:
Anche qui, le critiche che le due parti si muovono sono ugualmente valide: perché è vero che una pura «filosofia della prassi» non può tollerare un substrato idealistico, mitico com'è la dialettica, ma è anche vero che, se tutto è movimento, il movimento incessante della dialettica finisce per dissolvere, travolgere la materia. Anche a livello speculativo, dunque, siamo di fronte ad una impasse insuperabile, ad uno scacco del marxismo. Al tentativo di risolvere questa impasse si dedicano le varie scuole neo-marxiste occidentali, mentre l'ortodossia regna nei Paesi socialisti.
Si ricerca da parte di queste scuole l'accordo fra i postulati del materialismo dialettico e la realtà naturale e sociale, che resiste caparbiamente alla propria evoluzione. D'altra parte, il progredire della Rivoluzione e la degenerazione accelerata del costume sembrerebbero quasi scavalcare la filosofia rivoluzionaria per eccellenza: ed ecco dunque la necessità di collegare il marxismo all'esistenzialismo (Sartre e Merleau-Ponty), allo strutturalismo (Althusser), alle varie forme di «filosofia della liberazione» (Bloch e Marcuse).
Di fronte a questa crisi, varie posizioni La crisi del marxismo è insieme la crisi della società e della cultura occidentale, che il marxismo ha profondamente segnato: e da essa dipende l'attuale situazione di disorientamento generale, in cui tutti viviamo. Di fronte a questa crisi si possono assumere vari atteggiamenti:
Conclusione
Il marxismo, si è detto, nega il primato dell'essere e nega, in particolare:
Il principio di identità e di non-contraddizione (A è uguale ad A ed è diverso da non-A; ciò che è è, ciò che non è non è), che deriva immediatamente dal primato dell'essere sul divenire. Già per Hegel, il maestro di Marx, la verità delle cose non è nel loro essere, ma nel loro divenire, nel movimento, cioè nella dialettica: la verità della tesi è nella sua negazione, nell'antitesi, che permette il passaggio alla sintesi; di qui la formula: «Ciò che è non è, e ciò che non è è», che esprime il primato del divenire e la negazione del principio di non-contraddizione. «Et super hoc principio - dice San Tommaso d'Aquino (1225-1274) - omnia alia fundantur» («su questo principio si fondano tutte le cose»).
L'esistenza del peccato originale Se vi fosse il peccato originale non sarebbe possibile la salvezza totale in terra, la società perfetta. Ma l'essere delle cose - come si è visto - è il loro non essere. L'essere della vita è la negazione dialettica della vita: la morte. La finitezza dell'uomo (che è evidente: gli uomini sono finiti, muoiono) non è un limite indebito causato da qualcosa che segnerà per sempre gli uomini, ma è anzi una condizione intrinseca positiva, un'antitesi che permette il processo dialettico.
Ora, il principio di non contraddizione (il primato dell'essere) e l'esistenza del peccato originale sono il fondamento dell'idea di Tradizione. Il primato dell'essere spiega l'esistenza di verità eterne e metastoriche, grazie alle quali si può vivere l'eterno nel tempo e che, in quanto metastoriche - non in balìa della Storia, non dissolte dalla storia - possono essere consegnate (traditæ) di generazione in generazione; mentre il peccato originale spiega che possono oscurarsi e possono essere dimenticate e perfino negate dagli uomini. Il marxismo, quindi, è l'antitesi più radicale dell'idea di Tradizione.
Il primato dell'essere, poi, fonda la stabilità della natura e delle sue leggi: leggi permanenti, oggettive, universali, valide cioè sempre e per tutti gli uomini, cosicché si può parlare di legge naturale, come legge morale che la ragione può leggere nella umana. Legge naturale che è fondamento di ogni legge positiva, anche se nessun ordinamento giuridico positivo potrà mai realizzarla nella sua pienezza e perfezione.
La negazione del primato dell'essere è la negazione di Dio e della verità metafisica, la negazione della legge morale, del diritto naturale e quindi la negazione dei primi istituti naturali, derivabili cioè dalla stessa natura dell'uomo e dalle sue inclinazioni, i quali sono la famiglia, la proprietà, lo Stato: istituti di natura e non di storia, e come tali ineliminabili, eliminabili solo attraverso il terrore e la repressione più spietata.
Sopra: amministrazione della «giustizia» nella Cina comunista verso i dissidenti politici.
Ma se l'autore della natura è Dio, e non l'uomo, la negazione degli istituti naturali è anzitutto la negazione di Chi ha fatto le creature, la negazione del Creatore nella negazione del creato, il rifiuto di Dio nel rifiuto della famiglia e della proprietà. Questa è l'essenza rivoluzionaria del comunismo, caricando il termine Rivoluzione, considerato, al di là del suo significato di sommovimento episodico, come categoria filosofico-politica, di una valenza metafisica, e intendendolo nella sua realtà più profonda.
Che cos'è la Rivoluzione? É la negazione dell'ordine naturale e cristiano e cioè di una società e di un mondo fondati sulla legge naturale e rivelata, la negazione in ultima analisi dell'Autore di questa legge, cioè di Dio. In questo senso si può stabilire un'essenza metafisica della Rivoluzione, che è anche l'essenza del comunismo, senza con questo dire che il comunismo esaurisca la Rivoluzione. Se unica infatti è la verità, unica è l'essenza del rifiuto di essa - il non serviam (di Lucifero) - la «liberazione» cioè da ogni dipendenza politica e spirituale, ma infinite sono le possibili manifestazioni di questo rifiuto.
La Rivoluzione è unica nell'essenza, e molteplice nelle manifestazioni: manifestazioni che, storicamente diverse ed eterogenee, sono accomunate dall'unicità dell'essenza e del fine. Solo in questa prospettiva si potrà poi intendere in che modo realmente la Riforma Protestante prefiguri la Rivoluzione Francese e questa prefiguri a sua volta, la Rivoluzione Bolscevica: avvenimenti che si presenterebbero altrimenti come blocchi storici a sé stanti, quasi inesplicabili compartimenti stagni. La Rivoluzione invece ha una sua storia, la storia di una marcia verso società sempre meno naturali, sempre meno fondate sul primato dell'essere, sempre più palesi nella negazione di Dio. La Rivoluzione è un blocco, e combatterne solo una parte significa essere sopraffatti dalle altre.
É necessario conoscere il comunismo, l'ala marciante della Rivoluzione, ma è anche necessario imparare a identificare le altre componenti del blocco rivoluzionario che, anche se si presentano come diverse e perfino avversarie del comunismo, in realtà ne facilitano l'avvento. Così, è necessario anche comprendere che la Rivoluzione è un blocco non solo politico o ideologico, ma si sviluppa a partire da un insieme di tendenze, di atteggiamenti, di modi di vivere diffusi anche negli ambienti migliori, e da cui il comunismo nasce e si alimenta.
Il comunismo non è solo un partito politico o una sètta filosofica: il comunismo è un vizio intellettuale e morale di cui gran parte degli uomini moderni (e non soltanto i comunisti dichiarati) finiscono per essere preda. Un autentico anticomunismo dovrà colpire il bersaglio nemico nella sua stessa essenza, nel suo cuore. Per colpire il male alle radici per sconfiggere il comunismo va colpita dunque al cuore la Rivoluzione nella sua essenza, prima ancora che nelle sue manifestazioni. La Rivoluzione appare come il drago a più teste, che produce continuamente nuovi mostri.
Il compito dell'anticomunista è dunque quello di trasformarsi in un buon cristiano, in combattente cioè che non si limiti a tagliare teste che continuano fatalmente a riprodursi, ma che colpisca il drago al cuore, e la chiave per la vittoria è la completa conversione a Gesù Cristo Nostro Signore.
Note
1 Cfr. Tesi politiche del IX Congresso del Partito Comunista Italiano, Ed. Riuniti, Roma 1960. 2 Cfr. I. Stalin, Il materialismo dialettico e il materialismo storico, in Questioni del Leninismo, Ed. italiana, Mosca 1945, pag. 180. 3 Cfr. H. Lefebvre, Il marxismo, Ed. Garzanti, Milano 1954, pag. 19. 4 Cfr. G. Trevisani, Piccola Enciclopedia del socialismo e comunismo, Calendario del popolo, Milano 1958, pag. 32. 5 Cfr. V. Lenin, Tre fonti e tre parti integranti del marxismo, in Opere scelte, Ed. Riuniti-Progress, Roma - Mosca, s.d., vol. I, pagg. 42-44. 6 Cfr. V. Lenin, Materialismo ed empirio-criticismo, in Opere scelte, vol. III, pag. 371. 7 Ibid., pag. 116. 8 Ibid., pag. 141. 9 Cfr. F. Engels, Antiduring, in K. Marx-F. Engels, Opere complete, vol. XXV, Roma 1974, pag.48. 10 Cfr. F. Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca, Rinascita, Roma 1950, pag. 18. 11 Cfr. K. Marx, 1ª tesi su Feuerbach, in Opere scelte, vol. III, pag. 81. 12 Cfr. F. Engels, Antiduring, in K. Marx-F. Engels, in Opere complete, pag. 135. 13 Cfr. F. Engels, Dialettica della natura, in K. Marx-F. Engels, in Opere complete, pag. 365. 14 Ibid., pag. 529. 15 Cfr. I. Stalin, Materialismo dialettico e materialismo storico, Rinascita, Roma 1954, pag. 9. 16 Cfr. K. Marx-F. Engels, L'ideologia tedesca, Ed. Riuniti, Roma 1958, pag. 70. 17 Cfr. H. Lefebvre, op. cit., pag. 56. 18 Cfr. K. Marx, Per la critica dell'economia politica, prefazione, Ed. Riuniti, Roma 1972, pag. 15. 19 Cfr. I. Stalin, Materialismo dialettico e materialismo storico, pag. 20. 20 Cfr. K. Marx-F. Engels, Manifesto del partito comunista, Ed. Riuniti, Roma 1974, pag. 55. 21 Ibid., pag. 56. 22 Cfr. F. Engels, nella prefazione all'edizione tedesca del Manifesto, pagg. 39-40. 23 Cfr. Lenin, Stato e Rivoluzione, in Opere scelte, vol. II, Progress, Mosca 1947, pag. 168. 24 Ibid., pag. 195. 25 Cfr. K. Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, Introduzione, in K. Marx-F. Engels, Opere scelte, Ed. Riuniti, Roma 1966, pag. 58. 26 Cfr. Lenin, Socialismo e religione, in Opere scelte, vol. I, pag. 674. 27 Cfr. La religione nell'URSS, Feltrinelli, Milano 1961, pag. 3. 28 Cfr. Lenin, Socialismo e religione, pag. 677. 29 Cfr. K. Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, pag. 58. 30 Ibid., pag. 65. 31 Cfr. Lenin, Socialismo e religione, pag. 678. 32 Cfr. K. Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, Introduzione. 33 Cfr. K. Marx-F. Engels, L'ideologia tedesca, Ed. Riuniti, Roma 1967, pag. 53. 34 Cfr. K. Marx, Il capitale, Ed. Riuniti, vol. I, Roma 1967, pag. 536. 35 Cfr. F. Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Newton Compton, Roma 1974. 36 Cfr. F. Engels, Il catechismo dei comunisti, Edizioni del Maquis, Milano 1971, pag. 31. 37 Cfr. F. Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Newton Compton, Roma 1970, pag. 103. 38 Cfr. F. Engels, Il catechismo dei comunisti, Edizioni del Maquis, Milano 1971, pag. 19. 39 Cfr. K. Marx-F. Engels, Manifesto del partito comunista, Ed. Riuniti, Roma 1971, pag. 78. 40 Cfr. F. Engels, Il catechismo dei comunisti, pag. 19. 41 Ibid., pag. 23. 42 Ibid., pagg. 24-26. 43 Cfr. A. Rosenberg, Storia del Bolscevismo, Ed. Sansoni, Firenze 1969, pag. 3. 44 Cfr. H. Lefebvre, op. cit., pag. 49. 45 Cfr. Liu Sciao-Ci, Rapporto del 14 giugno 1950 della segreteria generale del Partito Comunista Cinese. 46 Cfr. K. Marx-F. Engels, Opere scelte, vol. I, pag. 31. 47 Cfr. A. Rosenberg, op. cit., pag. 3. 48 Cfr. H. Lefebvre, op. cit., pag. 49. 49 Cfr. Liu Sciao-Ci, Rapporto del 14 giugno 1950 della segreteria generale del Partito Comunista Cinese. 50 Cfr. Lenin-K. Marx, Opere scelte, vol. I, pag. 31. 51 Cfr. H. Lefebvre, op. cit., pag. 90. 52 Cfr. F. Borkenau, Storia del comunismo europeo, Neri Pozza, Vicenza 1963, pag. 21. 53 Cfr. Lenin, Che fare?, in Opere scelte, Progress, Mosca 1947, vol. I, pag. 224. 54 Cfr. Lenin, I compiti urgenti del nostro movimento, in Opere, vol. IV, Ed. Riuniti, Roma 1957, pag. 406. 55 Cfr. Lenin, Che fare?, pag. 213. 56 Ibid., pagg. 214-215. 57 Ibid., pagg. 213-214. 58 Ibid., pag. 221. 59 Ibid., pag. 223. 60 Ibid., pag. 233. 61 Cfr. Lenin, L'estremismo malattia infantile del comunismo, Ed. Riuniti, Roma 1974, pag. 10. 62 Ibid., pagg. 58-59. 63 Ibid., pag. 38. 64 Ibid., pag. 155. 65 Ibid., pag. 105.
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