di Jean Daujat 1
Prefazione
Uno dei format più diffusi alla televisione è indubbiamente quello del talk-show. Normalmente, in questo tipo di trasmissioni si cerca di affrontare un problema morale, sociale o politico di attualità cercando di fornire a chi è all'ascolto delle risposte. Gli ospiti invitati al programma, in veste di «esperti» dell'argomento trattato, prendono a turno la parola, sotto l'attenta supervisione di un conduttore che ha il compito di moderare la discussione. Tutti parlano e ognuno espone la propria opinione, ossia quella che sembra essere la «sua verità».
Poiché il più delle volte gli esperti chiamati a parlare provengono da schieramenti politici o ideologici assai diversi, lo spettatore sente sullo stesso argomento tutta una pletora di spiegazioni e di possibili soluzioni individuali in netto contrasto tra loro. Alla fine della trasmissione, in teoria, lo spettatore dovrebbe avere un'idea più chiara di quel problema e di come risolverlo. Ma la realtà è ben diversa. Di fronte ad opinioni così differenti e discordanti tra loro, è facile che lo spettatore, soprattutto se non possiede una profonda conoscenza dell'argomento trattato, uscirà da quell'ascolto piuttosto frastornato e confuso.
Sopra: uno dei tanti talk-show in cui si discute... si discute... e si discute... senza mai arrivare alla verità o ad una conclusione certa.
Il più delle volte finisce per abbracciare la tesi di chi ha espresso idee più vicine al suo colore partitico, senza tuttavia giungere ad una maggiore conoscenza di quella specifica problematica o a delle soluzioni pratiche. Ho preso come esempio questo genere di trasmissioni perché riflette più di altri quello che è diventato il modello imperante nell'attuale società di affrontare ogni genere di questione. L'uomo moderno, imbevuto com'è di pluralismo e di rispetto per la diversità, sembra aver perduto il concetto di verità conoscibile.
In tutti i campi non esiste più nulla di stabile, di veritiero, di certo, di assoluto e di immutabile, ma solo opinioni personali intercambiabili a seconda delle necessità o del capriccio del momento. La realtà, che di per sé dovrebbe essere oggettiva e conoscibile, cambia a seconda della percezione personale che ne ha l'individuo. Ne consegue che per l'uomo la realtà è divenuta inconoscibile, e quindi non può più ricorrere alla ragionevolezza e al buon senso comune, perché tutto è divenuto soggettivo, discutibile, incerto. Come dice un celebre adagio, «l'unica verità assoluta è che non esiste alcuna verità assoluta».
Questo stato d'animo generalizzato conduce inevitabilmente a quella che è stata giustamente definita «dittatura del relativismo», ossia alla mancanza di certezze, anticamera del trionfo del disordine e dell'illogicità. Ora, è evidente che ci troviamo di fronte ad una malattia sociale gravissima le cui radici più profonde sono immerse in una corrente di pensiero filosofico: l'idealismo, una filosofia che è frutto di quella ribellione satanica contro ogni ordine e Colui che lo ha creato e che ci ha dato l'intelletto per conoscerLo attraverso la realtà.
I
Mai come oggi l'uomo ha disposto di tanto potere e di tanti mezzi per dominare la natura… e tuttavia, mai nessun altro secolo ha visto colare così tante lacrime e così tanto sangue; l'umanità contemporanea è colpita dalla sciagura e dall'angoscia, e il forte grido della sofferenza umana che sale da tutte le parti riecheggia del disordine in cui viviamo nello stesso momento in cui auspica un mondo nuovo.
Ciò accade perché non ci sono che progetti di riforma e movimenti rivoluzionari. Ma tutto è inutile se non si conosce la causa del disordine moderno: solo sopprimendo la causa è possibile sopprimere il male. La condizione preliminare di tutti i nostri sforzi è dunque quella di ricercare la causa del male: un disordine che si estende a tutta la condizione umana e vizia un'intera civiltà può venire solamente dal modo stesso in cui l'uomo concepisce ed orienta la sua vita, vale a dire da un'attitudine dello spirito.
Tale attitudine, che ha trascinato l'umanità intera nel disordine e sulla strada della sciagura e che, come vedremo, ha deformato la struttura stessa dell’essere umano, è l'idealismo che impregna sempre di più la mentalità e la psicologia tutt'intera dell'uomo contemporaneo: atteggiamento di orgoglio dell'uomo che vuole trarre tutto dalle costruzioni del proprio spirito, ridurre tutto alle proprie idee e dominare tutto secondo le proprie idee, e che si rifiuta di sottomettersi al reale e alle condizioni che il reale impone alla sua vita.
L'uomo è l'artefice della propria rovina perché cozza contro una realtà che ignora, perché rifiuta le condizioni reali del proprio bene, perché vuole trarre tutto da sé stesso e seguire solamente le mire del proprio spirito. Tale è il fatto fondamentale che occorre analizzare e spiegare, e che è indispensabile comprendere a fondo. Ma prima occorre rispondere ad un'obiezione: alcuni saranno stupiti di questa accusa rivolta all'idealismo, quando spesso è nel materialismo che è stata vista la causa principale delle nostre disgrazie e del disordine attuale. Più avanti, dimostreremo che anche il materialismo moderno è una conseguenza dell'idealismo.
Che cos'é l'idealismo?
La maggior parte delle parole che terminano con il suffisso «ismo» designano una concezione che non ammette nient'altro che ciò che è stato congiunto a tale suffisso per formare la parola: ad esempio, il materialismo è la concezione che non ammette nient'altro che la materia. Etimologicamente parlando, l'idealismo è la filosofia che non ammette nient'altro che le idee o il pensiero. Non è possibile comprendere a fondo questa filosofia che nella sua opposizione alle convinzioni spontanee del senso comune.
Quest'ultimo ammette senza discussione che la realtà conosciuta esiste indipendentemente dal pensiero che la conosce, e che il pensiero deve conformarsi alla realtà da conoscere per conoscerla com'è. La verità è questa conformità del pensiero al reale, mentre si è nell'errore se il pensiero non corrisponde alla realtà. È proprio questa dipendenza del pensiero rispetto alla realtà conosciuta che nega l'idealismo che afferma l'autonomia assoluta del pensiero.
Per l'idealismo, non esiste alcuna realtà conosciuta dal pensiero ed esistente indipendentemente da esso; non c'è che il pensiero, indipendente da ogni realtà da conoscere, il pensiero interamente autonomo che è solamente creazione o sviluppo dell'attività intellettuale. Dunque, tutto è costruzione dello spirito.
Idealismo e materialismo
Inizialmente, l'idealismo, ammettendo solamente ciò che è interno al pensiero, appare come un puro spiritualismo. Ma non è difficile comprendere come esso conduca al materialismo e distrugga la nozione stessa di spirituale. Se si ammette, col senso comune, che il pensiero è la conoscenza di una realtà, esso è anche presenza in noi della realtà conosciuta, perché la realtà conosciuta è in un certo qual modo presente in noi nella conoscenza che ne abbiamo (ad esempio, la persona a cui pensiamo è in un certo qual modo presente in noi nel nostro pensiero).
Questa presenza della realtà conosciuta nel pensiero che la conosce non è una presenza materiale, ma una presenza immateriale, e così scopriamo il carattere immateriale o spirituale del pensiero. Ma questa scoperta dello spirituale diventa impossibile se il pensiero non è più la conoscenza di una realtà, ma un semplice prodotto dell'attività intellettuale. Cosa accadrà se abbiamo un tale pensiero piuttosto che un altro se questo non è la verità conosciuta che a noi si impone?
Non potranno essere che le nostre inclinazioni che ci porteranno a pensare a questo piuttosto che a quest'altro; penseremo non più secondo ciò che è vero, ma a seconda dei nostri interessi, della nostra cupidigia, dei nostri sentimenti, dei nostri istinti, delle nostre passioni, e quindi, in definitiva, in funzione dello stato dei nostri nervi e delle nostre ghiandole. Il pensiero diventa un prodotto del cervello come la bile è un prodotto del fegato.
L'idealismo non conduce solamente al materialismo, ma anche al pragmatismo, ovvero alla filosofia che sopprime ogni conoscenza per non riconoscere nient'altro che l'azione; se non ci sono più verità da conoscere, non rimane che cercare l'utilità, l'interesse, la riuscita, l'efficacia; tutti i problemi non sono nient'altro che problemi d'azione e di successo; l'uomo non è nulla di più di un'azione che produce il proprio pensiero.
Idealismo e ateismo
L'idealismo ha anche dei legami profondi con l'ateismo (Dio non esiste), o col panteismo (tutto è Dio), che è solamente un'altra faccia dell'ateismo. In effetti, incapaci come siamo di concepire e di conoscere direttamente quell'Essere perfetto ed infinito che è Dio, non possiamo scoprirLo che mediante le cose che ha creato, come Causa dell’esistenza di tutte le realtà di questo mondo 2; poiché tutti gli esseri di questo mondo esistono, ma non hanno in se stessi l'esistenza, occorre una Causa che abbia dato loro quell'esistenza che fà sì che esistano.
Questo Essere primo che esiste per Se stesso (a Mosè si è rivelato come «Colui che è») e che tutto fà esistere, lo chiamiamo Dio. Ecco perché San Paolo ci dice che il Dio invisibile si è fatto conoscere mediante le cose visibili che ha creato. Così, chiunque riconosce la più umile realtà inizia già a riconoscere Dio, riconoscendo e accettando ciò che Dio ha fatto. La sottomissione al reale è una sottomissione a Dio, autore di ogni realtà. Perché la verità si impone al nostro pensiero che deve riconoscerla?
Adamo nel Giardino dell'Eden conosce la realtà che non ha creato.
Perché non dipende da noi di fare in modo che ciò che è vero sia falso e che ciò che è falso sia vero? Perché il nostro pensiero deve conformarsi alla realtà per conoscerla così com’è, e ciò perché non siamo noi che abbiamo fatto o creato la realtà, ma Dio. Ed è proprio questo che l'idealismo rifiuta: volendo trarre tutto dallo spirito umano, esso non ammette nessuna realtà creata da Dio. È l'orgoglio che rifiuta ogni dipendenza e si crede, come Dio, nell'indipendenza assoluta che trae tutto da sé. L'idealismo è una forma di deificazione dell'intelligenza umana che si definisce creatrice e capace di trarre tutto da se stessa come l'intelligenza divina.
Tale pretesa cozza contro il reale che non abbiamo creato, e che è ciò che è, vale a dire ciò che Dio ha fatto. E questo perché l'intelligenza dell'uomo è assolutamente incapace di comunicare l'esistenza o di fare esistere. Le sue invenzioni, le sue concezioni possono solamente modificare ciò che già esiste. L'artista, l'industriale o il tecnico trasformano cose preesistenti, le sistemano diversamente; ma è proprio di Dio, e di Lui solo, di fare esistere, di essere sorgente dell'esistenza stessa.
La realtà non esiste, è solo un'illusione....
Si vede quanto sia errato presentare Dio come un «ideale», ossia come un'opinione o come una creazione dello spirito umano (sarebbe dunque l'uomo che si creerebbe una divinità), prodotta per soddisfare i nostri sentimenti o i nostri bisogni religiosi, in modo che Dio potrebbe essere accettato o rifiutato a seconda che proviamo o meno questi sentimenti o questi bisogni.
Non si riconosce Dio che riconoscendolo come la realtà prima da cui dipende ogni esistenza. Ogni religione autentica collega la realtà a Dio; essa è essenzialmente realistica. L'idealismo non collega l'uomo a nulla poiché lo chiude in se stesso con l'ideale che si fabbrica in seno alle creazioni del proprio spirito in un'indipendenza assoluta: idealismo e religione sono incompatibili.
Origine psicologica dell'idealismo
Da dove può provenire questo atteggiamento orgoglioso? Ci sembra incontestabile che esso abbia la sua sorgente storica in ciò che domina tutto il cammino in avanti della civiltà dopo il Rinascimento: il naturalismo. Nel senso etimologico della parola, il naturalismo non ammette nient'altro che la natura. Dio avrebbe potuto creare gli uomini fornendo unicamente loro la natura umana: in questo caso, l'uomo non dovrebbe ricercare che la sua perfezione umana.
In realtà, mediante un atto totalmente libero di puro amore, per pura generosità, Dio ha fatto all’uomo un dono che la sua natura non comportava e al quale egli era assolutamente incapace di aspirare, dono che per questo motivo si chiama «grazia»: il dono di diventare Suoi figli, ricevendo da Lui, come da un Padre, la comunicazione della Sua stessa natura e della Sua stessa vita divina. E questa vita divina si chiama vita soprannaturale.
È per questa perfezione - non più umana, ma divina - per questo dono della vita stessa di Dio che gli uomini sono stati creati: la loro natura umana esiste unicamente per ricevere questo dono e viverne e portare in sé Dio presente come oggetto conosciuto e amato, Dio vivente in essi come in un tempio spirituale.
Maria SS.ma , la «piena di Grazia».
Ora, prima i demoni, e in seguito Adamo ed Eva, si sono compiaciuti nella loro natura e nelle loro perfezioni naturali al punto di non desiderare nient'altro. Ecco il naturalismo. È la natura che rifiuta la grazia per chiudersi in se stessa, contando unicamente su di sé. In questo stato, l'orgoglio è presente sotto la sua forma primigenia e radicale: volontà d'indipendenza assoluta che rifiuta ciò che non deve che a sé stessa e finisce per ordinare tutto a sé, a non cercare che se stessa e ciò che trae da sé.
Notiamo, en passant, che il naturalismo non è necessariamente materialista poiché è prima di tutto orgoglio dello spirito ed ha avuto inizio con i demoni: un puro spirito non può concepire il materialismo. Tutta la tradizione cristiana ha visto il male più grande nel peccato dello spirito che si ribella a Dio. Da ciò risalta la stupidità di coloro che si dichiarano soddisfatti appena si parla loro di «spiritualismo» o di «forze spirituali», come se i demoni e l'orgoglio dell'uomo non fossero forze immateriali.
Il Medioevo cercava unicamente il regno di Cristo, la vita divina donata all'umanità per mezzo di Gesù Cristo, e gli subordinava tutto lo resto, ivi compreso l'ordine dello sviluppo umano naturale, l'ordine del progredire della civiltà: il progresso umano si compiva nel regno di Cristo e per il regno di Cristo. Il cristianesimo impregnava e ispirava tutte le attività umane. Ciò che oggi viene chiamato «Rinascimento» consumò la rottura tra il cristianesimo e lo sviluppo umano; quest'ultimo venne ormai ricercato per se stesso, come scopo. E così il naturalismo ispirò tutto il movimento della Storia. Fu poco dopo il Rinascimento, nel XVII secolo, che nacque la filosofia moderna con i primi germi d'idealismo.
«Non serviam tibi»!
Sviluppo dell'idealismo nel pensiero moderno
È l'orgoglio di Cartesio (René Descartes; 1596-1650) che ha portato nel pensiero moderno il punto di partenza dell'idealismo (Cartesio stesso sfuggì alle conclusioni idealistiche che risultano dai suoi principî grazie unicamente ad un circolo vizioso), ed è d'altronde la sorgente di tutti gli altri errori del mondo moderno, il quale non sfuggirà alle sue sventure se non rigetterà l'influenza cartesiana. Cartesio, infatti, pretese di rimettere in questione tutto ciò che era stato pensato prima di lui e di ricostruire da solo tutta la scienza e tutta la filosofia fidandosi unicamente della sua ragione.
Ciò lo condusse al «dubbio metodico», alla rimessa in discussione di tutte le convinzioni spontanee del senso comune. Certamente, Cartesio giunse alla conclusione che la nostra intelligenza conosce la realtà, ma volle che questa conclusione venisse dimostrata; di conseguenza, egli stimò necessario iniziare mettendola in dubbio e supporre innanzi tutto che è probabile che la nostra intelligenza non conosca alcuna realtà e che tutto il nostro pensiero sia solamente un'immensa illusione.
Sopra: il filosofo francese Cartesio.
Un tale punto di partenza - se non si vuole cadere in contraddizione - conduce inevitabilmente all'idealismo, perché per dimostrare che la nostra intelligenza conosce il reale e può affermare il vero, bisogna servirsi dell'intelligenza stessa. Ora, la dimostrazione non ha alcun valore se non si suppone che l'intelligenza conosca il reale e affermi il vero, che è proprio ciò che è stato messo in dubbio.
Il punto di partenza di Cartesio chiude in se stessa l'intelligenza (che si suppone suscettibile di non conoscere affatto) separandola dalla realtà. Disgiunta in tal modo dal reale, l'intelligenza non potrà mai più raggiungerlo; essa non potrà fare altro che isolarsi dentro alle proprie costruzioni: ed ecco l'idealismo.
In effetti, se l'intelligenza non è prima di tutto e spontaneamente conoscenza della realtà, è il nostro pensiero che dobbiamo iniziare a conoscere: Cartesio comincia così la sua filosofia. Secondo Cartesio, ciò che conosciamo immediatamente e direttamente è il nostro pensiero. Si tratta dunque di sapere se questo pensiero è un'immagine fedele della realtà.
Sopra: la filosofia idealiste riduce la percezione ad un'illusione.
Compito impossibile: non si può sapere se un ritratto è somigliante che paragonandolo al modello; non si potrebbe sapere se il nostro pensiero è un'immagine fedele della realtà che paragonandolo alla realtà stessa; per far ciò, bisognerebbe conoscere direttamente il reale, che è proprio ciò che Cartesio ritiene impossibile.
Un uomo chiuso da solo in una prigione senza né porte né finestre, con alcuni quadri appesi alle pareti, non potrà mai sapere se essi assomigliano o meno ad un qualsiasi modello: così, l'uomo di Cartesio è chiuso dentro al suo pensiero e nulla può esistere per lui all'infuori di questo stesso pensiero e delle sue creazioni. La filosofia di Cartesio è dunque la rottura del legame spontaneo, naturale ed immediato tra l'intelligenza che conosce e la realtà conosciuta 3.
Abbiamo visto come Cartesio pretende di evitare di giungere a conclusioni idealistiche e poter concludere che la nostra intelligenza conosce il reale. Come giunge a questa deduzione? Egli sostiene che, poiché non siamo l'opera di uno spirito maligno che si sarebbe divertito ad imbrogliarci, ma di Dio che non può né ingannare né ingannarci, abbiamo la garanzia che il nostro pensiero, che ci è stato donato da Lui, è un'immagine fedele del reale. Questo ragionamento, che pretende di giustificare le nostre conoscenze naturali, facendo riferimento alla Rivelazione, è un circolo vizioso.
Da una parte, Cartesio poggia su Dio per giustificare il fatto che la nostra intelligenza conosce il vero, ma d'altra parte è obbligato a supporre che la nostra intelligenza conosce il vero per affermare l'esistenza di Dio e che siamo la Sua opera. Ora, occorre prima di tutto conoscere il reale per poi riconoscere Dio come Autore del reale, ma non possiamo conoscere Dio di primo acchito e direttamente. Cartesio ha dunque posto un punto di partenza che conduce infallibilmente all'idealismo mettendo in dubbio la certezza spontanea e immediata che l'intelligenza conosce il reale, e supponendo che prima di tutto conosciamo il nostro pensiero.
Le conseguenze di questo punto di partenza di Cartesio saranno fatte proprie da Immanuel Kant (1724-1804), primo dei grandi filosofi idealisti, la cui influenza domina tutto il pensiero moderno. Per Kant la realtà è inconoscibile e il nostro pensiero non è conoscenza della realtà, ma prodotto dell'attività dello spirito umano.
Sopra: il filosofo tedesco Immanuel Kant.
Quest'ultimo non deve dunque sottomettersi o conformarsi al reale, ma sviluppare il proprio pensiero in modo autonomo. Questa filosofia ha generato l'individualismo e il liberalismo, essendo ogni spirito umano individuale padrone assoluto del proprio pensiero, e di conseguenza della sua coscienza, della sua azione e della sua vita.
Il divorzio tra l'intelletto e la realtà conduce all'individualismo (che è uno dei componenti del satanismo moderno).
Ma la filosofia di Kant appare illogica anche rispetto al suo punto di partenza idealistico; essa mantiene l'esistenza, indipendente da noi, di una realtà inconoscibile (il che permise d'altronde a Kant di ammettere, per ragioni di ordine pratico, l'esistenza di Dio). La realtà inconoscibile di Kant venne gettata alle ortiche da uno dei suoi allievi, Johann Gottlieb Fichte (1762-1814). Per quest'ultimo, non esiste nient'altro che l'attività del soggetto pensante, autore del proprio pensiero. Tuttavia, non siamo ancora giunti al termine dello sviluppo dell'idealismo, perché la filosofia di Fichte conserva la realtà dell'individuo pensante creatore del proprio pensiero.
L'idealismo assoluto venne raggiunto da Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) che sopprime ogni realtà, sia del soggetto pensante che dell'oggetto conosciuto, per non ammettere più nient'altro che l'idea, la cui evoluzione e il cui sviluppo generano tutta la serie di coscienze individuali e allo stesso tempo tutti gli avvenimenti della Storia. Ogni coscienza individuale non è che una fase o un elemento dello sviluppo storico collettivo del pensiero. Siamo passati ad un collettivismo assoluto; infatti, l'influenza di Hegel fu alla sorgente dei totalitarismi del XX secolo, del nazionalsocialismo e più ancora del comunismo, in cui l'individuo non è che un elemento della Storia che si compie.
Non esiste più alcuna verità, alcun bene da considerare, poiché non c'è più una realtà alla quale ci si dovrebbe conformare; contano solamente le esigenze collettive dello sviluppo della Storia. Karl Marx (1818-1883) è stato l'allievo di Hegel: la filosofia di Hegel è alla base del marxismo, che ne costituisce una trasposizione materialista.
Marx, in effetti, ribalta la filosofia hegeliana affermando che il pensiero è solamente un prodotto del cervello umano, e di conseguenza della materia che lo costituisce. Per il marxismo esistono materiali, la cui continua evoluzione genera tutti i fatti della Storia; l'uomo, dunque, non è nient'altro che un'azione materiale che si esercita per trasformare il mondo, e la filosofia non ha più altro ruolo che condurre ad esercitare l'azione materiale trasformatrice o rivoluzionaria più potente.
Né verità, né bene: conta unicamente l'efficacia dell'azione materiale che si esercita, e l'individuo non ha alcun potere e non esiste che come elemento e strumento del potere collettivo 4. Da Cartesio a Karl Marx abbiamo seguito lo sviluppo logico del pensiero moderno. Non si può sfuggire a questa rigorosa concatenazione che eludendo il punto di partenza stesso dell'idealismo, vale a dire ristabilendo la dipendenza - che Cartesio ha spezzato - tra il pensiero e la realtà.
Pensiero e realtà
Il punto di partenza dell'idealismo consiste nel dubitare che la nostra intelligenza sia in grado di conoscere qualcosa e di affermare il vero. Ora, questa messa in dubbio è impossibile e assurda: se l'intelligenza è incapace di affermare il vero, come può affermare - e provare - che ne è incapace? Si risponderà che non afferma nulla, che semplicemente dubita. Ma allora essa afferma che dubita, e che è vero che dubita; come può dubitare se non ha nessuno potere di distinguere il vero?
Appena l'intelligenza pensa, conosce e afferma qualcosa; la sua stessa natura non consiste in nient'altro che conoscere e affermare. Il solo mezzo per l'intelligenza di dubitare effettivamente del suo potere di conoscere, ovvero di dubitare di se stessa, è di smettere di esistere, di diventare «vegetale», come Aristotele (384-322 a. C) rispose a suo tempo a Protagora (481-415 a. C.), primo degli idealisti. Ora, noi non siamo dei vegetali; pensiamo, e il nostro pensiero è conoscenza di qualcosa. È molto più facile dimostrarlo che negarlo: è un fatto; ciò ci è stato dato con la nostra esistenza e la nostra natura umana.
Ogni messa in discussione di questo fatto è contraddittoria e impossibile. Cartesio dice che conosciamo subito il nostro pensiero e che si tratta di sapere se esso è un'immagine fedele del reale. Ma non si conosce il pensiero se non si pensa a qualcosa, ossia se si conosce qualcosa. Per sua stessa natura, il pensiero è conoscenza: gli occorre conoscere prima una realtà per esistere e quindi poter conoscere se stesso.
Equiparare il pensiero ad un'immagine è un falso paragone; l'immagine è una cosa, mentre il pensiero è un atto di conoscenza. Esso conosce prima di conoscersi per riflessione. Impossibile, dunque, dissociare il pensiero dal reale, perché il pensiero è una realtà conosciuta in noi: l'unità del pensiero e del reale è immediata, diretta e costitutiva.
La morale idealistica
Rifiutando di porre il nostro spirito in dipendenza diretta da qualsiasi realtà, l'idealismo si sente evidentemente in dovere di negare di porre la nostra coscienza e i nostri atti in dipendenza di un bene reale da conseguire: con ciò, esso rigetta tutta la morale realista tradizionale che sottopone la nostra condotta alle regole che ci insegnano ciò che è necessario per il nostro bene, e che giustifica queste regole con il bene da raggiungere.
La lezione di morale realistica più precisa ci è stata data da Gesù Cristo nella parabola dell'economo infedele: poiché coloro che vogliono i beni di questo mondo conoscono ciò che occorre fare per ottenerli realmente, allo stesso modo quelli che vogliono la vita eterna devono conoscere ciò che bisogna fare per ottenerla. La morale idealista è dunque una morale dove non esiste più un bene reale da raggiungere; lo spirito umano è chiuso in se stesso non potendo volere nient'altro all'infuori di sé.
È lo spirito umano che trova in sé la regola dei suoi atti, regola che vale per se stessa senza altro motivo che se stessa. Per Kant, la legge morale non è più l'indicazione dei mezzi necessari per conseguire un bene, ma si impone da se stessa, pura regola ideale e teorica, indipendente da ogni considerazione legata ai risultati dei nostri atti e ai dati del loro compimento. Per Kant anche ogni ricerca di un bene reale costituisce un'attitudine interessata (ad esempio, quella del cristiano che cerca di ottenere la vita eterna).
L'obiezione varrebbe se il bene ricercato fosse un bene utile o un «interesse» che subordiniamo a noi, che mettiamo al nostro servizio; ciò evidentemente non vale quando il bene perseguito è un bene superiore che amiamo per se stesso e al quale subordiniamo la nostra vita e i nostri atti (è così che il vero cristiano, amando Dio in modo disinteressato, subordina la propria vita al ricevimento della vita divina), e al contrario, la morale idealistica ci chiude in noi stessi e non sottomette i nostri atti che al nostro spirito. In effetti, l'imperativo «categorico» di Kant è inaccettabile; non esiste nessuna ragione di sottomettersi ad una regola senza alcun motivo; allo stesso modo, non si vede perché si dovrebbe agire: non ci sarebbe alcuna azione se non ci fosse un bene reale da ottenere mediante i nostri atti.
Non abbiamo una ragione di sottometterci ad una regola d'azione che nella misura in cui ci è necessaria per giungere ad un bene reale. Bisogna mettere da parte il pregiudizio, oggi così diffuso, secondo cui la morale sarebbe il perseguimento di un ideale, di una costruzione interiore dello spirito. La morale deve regolare gli atti reali degli uomini per farli pervenire a risultati reali: tutto ciò che non ottiene un bene, un miglioramento o un perfezionamento reale è privo di valore morale.
Una conseguenza della morale idealista è di non tenere in nessuno conto le circostanze degli atti e di non applicare le regole generali in modo da adattarle alla diversità dei casi; ciò che conta per essa - giacché non vi è nessun bene da perseguire - è la regola: si tratta di conformare i proprî atti ad una costruzione ideale e teorica dello spirito. La regola morale vale per se stessa, indipendentemente dai casi e dalle circostanze, non conosce eccezioni e dev’essere sempre applicata; da qui il rigorismo.
Poco importa all'idealista se in quel caso preciso l'applicazione rigorosa della regola genera un male: solo l'ordine ideale delle azioni gli interessa, e non la realtà delle conseguenze dei nostri atti. L'idealismo conduce così a quel divorzio tra la morale e il reale che riempie la mentalità e la letteratura di oggi: falso problema, poiché il reale entra in conflitto con la falsa morale idealistica e per nulla con la vera morale realistica.
Quest'ultima ordina ciò che occorre per la realtà del bene da ottenere; essa, dunque, varia all'infinito le sue ingiunzioni a seconda della diversità dei casi e delle circostanze; le sue regole valgono nella misura in cui conducono ad un bene reale e non hanno alcun valore quando non conducono più a quel bene.
Litografia del 1953 intitolata Relatività, di Maurits Cornelis Escher.
II
L'uomo in disaccordo con il reale
Ma non basta enunciare questo fatto; bisogna scrutarne tutto lo sviluppo. L'intelligenza dell'uomo è, spontaneamente, adattata a conoscere il reale. A forza di rifiutarlo, per ripiegarsi su se stessa, essa è giunta a funzionare a vuoto sulle proprie costruzioni. Una lenta impregnazione dell'uomo moderno da parte dell'idealismo imperante ha finito per modificare la sua psicologia e per metterlo in contrasto con il reale. L'uomo contemporaneo soffre di una vera e propria malattia psichica: si chiude in sé stesso e crea dei miti, delle ideologie, delle produzioni del suo spirito.
D'altronde, è un fatto noto che ogni anno aumenta in modo allarmante il numero dei malati di mente, dei nevrotici e degli squilibrati. Gli psichiatri riconoscono che la maggior parte delle malattie mentali ha la propria sorgente in una rottura con il reale. Ma bisogna prendere coscienza del fatto che questi casi patologici riconosciuti sono solamente un aggravamento sempre più frequente di un stato patologico generale dell'umanità contemporanea: la maggioranza dei nostri contemporanei soffre senza saperlo di un tale disadattamento. Uno dei segni più tipici di questa malattia collettiva è l'atteggiamento dei nostri contemporanei nella vita sociale quando c'è un problema da risolvere.
Anziché osservare i dati, tali quali sono, per ricercare il bene reale che si può trarre in conformità con il funzionamento naturale dalle cose, essi concentrano tutta la loro attenzione dentro al loro spirito (generalmente, invece di uscire, di causare e di osservare, essi si chiudono nei loro uffici o nei loro gabinetti di lavoro con dei dossier, degli schemi, delle statistiche e dei calcoli) e costruiscono un bel macchinario, un magnifico sistema molto razionale, molto logico, molto coerente, pienamente soddisfacente per lo spirito che lo ha costruito.
Questa costruzione è in generale una cornice artificiale che non corrisponde per nulla ai dati reali, e che funzionerà a vuoto, soddisfando solamente lo spirito dei suoi costruttori. Le grandi scuole che formano i dirigenti d'industria e d'amministrazione fabbricano degli spiriti geometrici che hanno l'ossessione della razionalizzazione e dell'organizzazione dei sistemi e dei piani idealmente logici e coerenti senza nessuna preoccupazione del reale. Ne consegue il pianismo, il dirigismo e un certo socialismo: la superba pretesa di reggere tutto secondo certe vedute aprioristiche.
Poco importa all'idealismo che ciò non corrisponde in nulla alle esigenze del reale, purché lo spirito sia soddisfatto dalla coerenza razionale e dalla chiarezza geometrica dell'organizzazione. All'ordine naturale vivente, folto, diverso, spontaneo e simile ad una foresta che spinge spontaneamente secondo lo stato diversificato del suolo e dell'atmosfera, si sostituisce l'organizzazione uniformata; tale è il giardino artificiale fatto secondo il disegno del giardiniere: la grande caratteristica dei nostro tempi è l'idolatria dell'Organizzazione.
E l'idealismo sforna oggi il suo capolavoro con il «Piano»: il sistema stabilito dallo spirito calcolatore al quale bisogna sottomettere - volente o nolente - una realtà che non vi può inserire 5. Del resto, l'accumulo è tale che già ora è quasi impossibile trovare qualcosa, e presto la superficie del pianeta sarà troppo piccola per ospitare tutti gli archivi (mentre i focolari dove nascono e si formano gli uomini non hanno più alloggi). Un altro segno di degenerazione amministrativa della vita sociale si trova nell'automatismo del regolamento generale e sistematico: il regolamento vale per se stesso, indipendentemente dai casi e dalle circostanze: è come la legge morale di Kant.
Invece di ricercare ciò che bisogna fare nella situazione reale per ottenere un bene reale, l'amministrazione fa automaticamente ciò che prescrive il regolamento. Inutile tentare di mostrare che, in quella determinata situazione, le applicazioni previste dal regolamento provocheranno una catastrofe: all'amministrazione non interessa il bene da perseguire. È il regolamento - ed esso solo - che conta. L'amministrazione non ha altro scopo che il proprio funzionamento.
Ne risulta una vera e propria degenerazione umana; gli uomini perdono ogni senso del bene da realizzare e dell'applicazione della loro intelligenza per la ricerca dei mezzi adattati alla situazione per diventare degli automi della macchina amministrativa che segue ciecamente il regolamento. In particolare, le virtù dell'autorità (la ricerca del bene di cui si è fatta carico, la lucidità intellettuale per scegliere i mezzi per realizzarlo, la ferma volontà di decidere, l'iniziativa e la presa di responsabilità) scompaiono totalmente per lasciare il posto all'inerzia, alla routine e alla passività. Non bisogna stupirsi se si trovano sempre meno uomini capaci di assumersi delle responsabilità.
Del resto, l'orgoglio rifiuta l'ubbidienza ad un uomo che decide in funzione della situazione reale (è ciò che viene definita «arbitrarietà»); esso preferisce l'automatismo di un regolamento anonimo e cieco. La deformazione idealistica è come i nostri contemporanei: quando devono realizzare qualcosa nella vita sociale, si immaginano che lo faranno mediante un decreto o un testo legislativo che apparirà nella Gazzetta Ufficiale. Non si accorgono che creano unicamente una forma legale vuota o una cornice amministrativa artificiale in cui non introducono nessuna realtà umana o sociale.
Dove sarebbe necessario promuovere lo sviluppo naturale di comunità viventi, si creano delle amministrazioni e si moltiplicano gli uffici. L'esempio già vecchio dei tentativi «neo-corporativisti» è significativo. Tramite un «decreto» si potevano creare solamente delle cornici amministrative svuotate da ogni realtà professionale, agli antipodi di ogni autentico regime corporativo. Non può esistere un vero regime «corporativo» che laddove i corpi professionali nascono dalle solidarietà reali tra persone che esercitano la medesima professione: le corporazioni dell'Ancien Régime non sono state create mediante un decreto; esse sono nate spontaneamente da bisogni reali, e sono state riconosciute dalla legge solo successivamente.
Ecco perché l'Ancien Régime corporativo aveva questo carattere diversificato, folto e irrazionale che inorridisce lo spirito idealistico. Più generalmente, ai nostri giorni, non appena gli uomini vogliono effettivamente realizzare qualcosa, organizzano delle riunioni per discutere di ciò che faranno o non faranno, o per stabilire un piano o un programma, anziché - in base alle esigenze del reale - adattarsi ad esso, a seconda degli eventuali imprevisti, ribelli alle cornici razionali e ai sistemi predefiniti, prestando attenzione a ciò che ci viene richiesto. Si nomina una commissione... Infine, l'idealismo cerca delle soluzioni per l'uomo universale ed astrae: è l'umanitarismo.
Si trascura così o si sacrifica l'uomo concreto che si ha vicino e al quale si può realmente fare un bene reale, ovvero il prossimo nel senso evangelico. Gesù Cristo non ci ha mai detto di fare del bene all'umanità: ci ha detto di fare del bene all'uomo al quale le circostanze ci mettono nella possibilità di fare del bene, ed è lì tutto il senso della parola «prossimo». Forse il fariseo della parabola (Lc 10, 29-37), che ha lasciato il ferito sulla strada senza soccorrerlo, era interamente occupato nella costruzione razionale di un'opera universale ed ideale che avrebbe assicurato il soccorso a tutti i feriti, e non poteva dunque perdere il suo tempo con un caso concreto.
Ma è il buon samaritano che ha soccorso il ferito che il Vangelo elogia. In questo campo, il capolavoro dell'idealismo è la costruzione di una sicurezza sociale che assicuri, mediante un unico meccanismo - il cui regolamento prevede tutti i dettagli del funzionamento - tutti i bisogni di tutta la popolazione. Ma un uomo che si trova nel bisogno più urgente, potrebbe morire davanti alla biglietteria senza ottenere alcun soccorso se il suo caso non è previsto dal regolamento: non più uomini reali, ma categorie etichettate e numerate.
La verità sostituita dall'ideologia
Se non c'è più una verità indipendente da noi, che non è possibile modificare, ciascuno penserà a seconda di dove è portato dal movimento del proprio spirito; alla verità riconosciuta da tutti subentra la molteplicità delle opinioni variabili a seconda delle tendenze degli uni e degli altri. Si arriverà così progressivamente a misconoscere o a rigettare le verità più fondamentali: non c'è oggi una sola assurdità che non trovi qualche scuola o qualche autore che la sostenga, e la moltiplicazione delle scuole e delle opinioni è tale che è impossibile non riconoscerla. Addirittura, si arriva ad affermare che non esiste più alcuna certezza ammessa da tutti.
In tutte le epoche della Storia, nonostante i disaccordi e le dispute delle varie scuole su questioni secondarie, c'è sempre stato un certo numero di verità fondamentali, un tesoro di certezze comuni ed incrollabili che nessuno pensava anche solo di mettere in dubbio o in discussione. Oggi non c'è più nessuna certezza comune sulla quale gli uomini possano intendersi, realizzare l'unanimità e costruire in comune. Come stupirsi se tutte le costruzioni della nostra epoca crollano quando sono costruite contro il senso comune e le verità fondamentali da cui tutto dipende?
Sopra: animata discussione tra politici...
Così ognuno pensa a seconda delle tendenze del proprio spirito, e non esiste più un linguaggio comune che permetta agli uomini di comprendersi: l'umanità contemporanea è diventata una sorta di Torre di Babele in cui gli uomini non si comprendono più, dove le parole non hanno più lo stesso senso quando si passa da un sistema di pensiero ad un altro. Tra gli uomini di due scuole o di campi opposti, nessun dialogo è più possibile. L'umanità ha perso così ogni unità che può esistere solamente nella verità riconosciuta da tutti.
Gli uomini non riescono più a comunicare tra loro perché non ci sono più valori o idee condivisi da tutti: è il caos, l'anarchia...
Quale sarà, dunque, la sorgente delle opinioni? Giacché non esistono più verità, ognuno sarà guidato dal movimento dei proprî istinti, delle proprie passioni e dei proprî interessi: ogni passione o istinto collettivo, ogni comunità di interessi determinerà una corrente d’opinione. Gli uomini si troveranno così divisi in campi opposti: ma ciò che proviene dagli interessi o dalle passioni viene mascherato sotto il camuffamento dell'ideale, sotto il rivestimento di idee e di dottrine, sotto ciò che oggi viene definita ideologia. L'umanità contemporanea è preda di una lotta accanita tra ideologie contrapposte.
Alla realtà complessa e misteriosa si sostituisce un ideale astratto, uniforme e chiaro che postula un'intransigenza assoluta a riguardo dell'avversario, da cui deriva un fanatismo cieco. Ne risulta un frazionamento del reale in antinomie (o in dicotomie), e in sistemi opposti: tutto il pensiero moderno è fatto di queste opposizioni artificiali.
La realtà unisce, in effetti, nella sua complessità aspetti diversi che si armonizzano in essa: l'idea astrae (vale a dire estrae e divide) dal reale uno di questi aspetti per considerarlo a parte; una sana filosofia non può dunque basarsi che su una sola idea, che spieghi tutto per farne un assoluto, un sistema.
E a seconda che il sistema poggi su questo o su quest'altro aspetto separato dal reale, si avranno dei sistemi contrari che separano artificialmente - allo stato ideale nello spirito - ciò che è unito nel reale. Il mondo moderno è pieno di queste opposizioni artificiali tra ciò che la realtà unisce: spirito e materia, individuo e società, autorità e libertà, ecc... È possibile così constatare come vengono continuamente generati l'opposizione delle ideologie e il loro fanatismo.
Ad esempio, la libertà reale degli uomini è una libertà limitata: per svilupparsi, essa ha bisogno di essere guidata dalle regole e inserita all'interno di un ordine; il «liberalismo» concepisce una libertà teorica, assoluta, incompatibile con ogni regola, ogni ordine e ogni autorità, e si oppone fanaticamente al socialismo, il quale sopprime ogni libertà mediante un'organizzazione e una regolamentazione totale. Infine, l'uomo che cerca la verità e si sottomette ad essa, sa che le sue conoscenze sono limitate, che non può sapere tutto.
Al contrario, l'uomo contemporaneo, figlio dell'idealismo, vuole avere un'opinione su tutto: l'orgoglio dello spirito non conosce né limite, né competenza. Il risultato è la volgarizzazione che pretende di informare tutti su ogni cosa e tratta di tutto con la stessa incompetenza superficiale. Da qui questa valanga di libri privi di ogni valore, e soprattutto il degrado di una stampa che parla di tutto senza avere competenza su nulla, avente come unico criterio il cattivo gusto del pubblico da adulare e le passioni da eccitare.
L'uomo viene così deformato dalla stampa, dalla televisione, dalla radio, dal cinema e dai libri «alla sua portata». È l'uomo sistematico e ideologico, la cui intelligenza artificiale - e nemmeno il naturale buonsenso - si pronuncia su tutto, ivi compresi i segreti delle vite private che si espongono scandalosamente al pubblico ludibrio per soddisfare le curiosità più malsane 6.
Trasmissioni che esprimono giudizi prima di quelli dei magistrati e che dividono la gente (spesso incompetente) in colpevolisti o innocentisti.
Degenerazione dell'uomo
L'indipendenza assoluta dello spirito umano non può ammettere una legge morale oggettiva indipendente e superiore che si impone alla volontà e all'azione. Invece di sottomettersi ad una morale, l'uomo si costruirà la sua morale. Dunque - non ci sarà più, malgrado l'illusione di Kant a questo riguardo - una morale universale. Non solo ogni individuo, ma ogni gruppo si costruirà una propria morale; siamo tornati alla Torre di Babele (da dove proviene l'insuccesso dell'ONU se non dall'assenza di una concezione comune della morale e del diritto accettata da tutti i partecipanti?).
Sopra: il parlamento europeo a Strasburgo, un vero e proprio monumento alla rottura con il reale.
Inevitabilmente, ogni individuo od ogni gruppo si costruirà la propria morale a seconda delle esigenze delle proprie cupidigie e delle proprie passioni. A poco a poco, si giungerà al punto in cui tutti i vizi e tutti i crimini troveranno qualche scuola, qualche filosofo, qualche romanziere o drammaturgo che li giustificherà e ne farà l'apologia. Indubbiamente, in tutte le epoche della Storia, ci sono stati degli uomini viziosi e criminali, ma i loro vizi e i loro crimini erano riconosciuti come tali da tutti.
Sopra: da un lato la sede delle Nazioni Unite, e a fianco la Torre di Babele simbolo del fallimento di riunire popoli divisi dalle ideologie o dalle passioni.
Oggi, non esiste mostruosità morale che non abbia trovato il suo apologista. Con questo andazzo si sperimenta rapidamente che «l'uomo è un lupo per l'uomo»: avendo ciascuno la morale dei proprî interessi o dei proprî istinti, l'umanità si sbranerà e si auto-distruggerà.
Sopra: manifesto radicale degli anni '70 che invitava le donne (prima della legge 194) a praticare l'aborto da se stesse.
È il totalitarismo, che fà dell'individuo un ingranaggio dell'interesse collettivo. La collettività diventa un lupo per la collettività, lo Stato un lupo per lo Stato, la razza un lupo per la razza, la classe un lupo per la classe, ecc... Con l'anarchia e il totalitarismo si entra in un vicolo cieco. Affinché ci siano al tempo stesso dei diritti e dei doveri dell'individuo nei confronti della collettività - e della collettività nei confronti dell'individuo - bisogna che al di sopra dell'individuo e della collettività ci sia una legge morale superiore: la legge di Dio. Senza di essa, nessun vero ordine è possibile.
Per molto tempo, la civiltà ha tenuto, malgrado la deformazione delle mentalità, perché i costumi tradizionali, formati dall'educazione impartita in seno al focolare familiare, si sono mantenuti: erano soprattutto gli uomini che andavano a sragionare nei club o nelle riunioni; per l'educazione dei figli, le donne mantenevano l'ordine nei costumi. Oggi, i costumi femminili sono tali e quali quelli maschili: la degenerazione è totale e universale. Si può immaginare un segno più netto della profonda deformazione della natura umana che la scomparsa nella donna di un istinto primario e fondamentale come quello della maternità? 7.
La degradazione dell'essere umano non si limita agli spiriti e ai cuori, alle mentalità e ai costumi, ma raggiunge anche i corpi, la loro struttura e il loro funzionamento. Oggi, la maggioranza degli organismi umani, soprattutto nelle città, è sbilanciata o anemica: come potrebbe essere diversamente quando tali organismi sono consumati dalla febbre delle passioni e delle cupidigie, deformati da una vita contro natura? L'umanità dei nostri tempi è gravemente malata, sia nel corpo che nello spirito, perché è stata snaturata dall'idealismo.
L'uomo contro la natura
L'idealismo non può accettare la natura delle cose - e in particolare la natura umana - perché tale natura è una dato di fatto che lo spirito umano non ha potuto costruire a suo piacimento. Esso tende a sostituirgli un mondo che non sarà l'opera di Dio, ma l'opera dell'uomo. Da qui il carattere essenzialmente rivoluzionario del mondo contemporaneo: il movimento rivoluzionario deve distruggere l'uomo della natura e della tradizione e sostituirlo con l'uomo nuovo creato dall'azione umana. Il marxismo ha portato questo desiderio al massimo, ma tutte le tendenze rivoluzionarie ne sono intrise. Anche l'arte contemporanea è un rifiuto della natura in vista di una nuova creazione uscita interamente dal solo spirito umano.
L'arte contemporanea riflette il disordine interiore e allo stesso tempo il malessere che affligge l'uomo moderno.
Più generalmente, il mondo contemporaneo tenta di sostituire al mondo della natura il mondo artificiale delle tecniche, di sostituire il funzionamento naturale delle cose con il funzionamento delle invenzioni dell'uomo. Così, la tecnica tende ad occupare un posto sproporzionato rispetto a quello che occupava nel passato, e assume un senso totalmente nuovo.
In senso classico, la tecnica è un uso della natura da parte dell'intelligenza al servizio dell'umanità; ma c'è tutta un'altra ambizione nel suo sviluppo contemporaneo: modificare la creazione naturale in una creazione puramente artificiale. Si comprende perché il mondo nato dall'idealismo tende a sopprimere la vita rurale così profondamente dominata dalle esigenze della natura, e a costruire una civiltà interamente urbana in cui la vita è il prodotto della pura tecnica dell'uomo che organizza ogni cosa secondo le mire del proprio spirito 8.
Da qui lo sviluppo mostruoso di immensi agglomerati dove milioni di uomini diventano gli ingranaggi di un gigantesco meccanismo ad orario regolare, rigorosamente regolamentato, in cui tutto è comandato dalla tecnica.
Sopra: il trasumanesimo, l'ultima frontiera dell'uomo che, mediante la tecnologia (e l'occulto), vuole diventare una divinità.
Il totalitarismo
Abbiamo visto come l'idealismo generi
o l'individualismo o il collettivismo, a seconda che la
rivendicazione d'indipendenza assoluta venga applicata all'individuo
o alla collettività; nondimeno, l'idealismo sfocia inevitabilmente
nel collettivismo. In effetti, affinché l'uomo possa trarre tutto da
sé, occorre che abbia il potere; ora, quest'ultimo non può trovarsi
che nella collettività organizzata. E dunque, l'idealismo conduce ai
regimi totalitari,
La folta molteplicità delle comunità naturali che si formano spontaneamente ripugna allo spirito idealistico di appiattimento e di standardizzazione. Bisogna dunque sostituire la varietà vivente delle comunità con un'unica società incaricata essa sola di tutte le funzioni: è lo Stato totalitario.
L'idealismo ha bisogno di un uomo meccanizzato, come l'impiegato d'ufficio, puro esecutore del regolamento, o l'operaio dell'industria razionalizzata. Occorre dunque che l'uomo non sia niente di più di un elemento della massa formata dall'ideologia dominante: una «civiltà» in cui l'individuo, prodotto artificiale - prefabbricato in serie - delle correnti d'opinione, non pensi più e reagisca come un fantoccio.
Tale individuo è forgiato dal libro, dalla stampa, dalla televisione, dalla musica, dagli spettacoli, dalle conversazioni, dai manifesti, dai club, dalle riunioni, dai nuovi «costumi» e dalla propaganda. L'insegnamento mira a comunicare una verità alla quale sottomettersi, e fà parte di un ordine naturale che lo domina.
Al contrario, la propaganda sbeffeggia la verità che nega: per essa, si tratta di creare nel cervello alcuni meccanismi di idee-forza, di passioni collettive (è il «lavaggio del cervello») che ne faranno un docile strumento del piano d'insieme concepito a priori dallo spirito, anche semplicemente mediante i bisogni commerciali indotti; così, la pubblicità crea le mode: tutte le donne proveranno il bisogno di vestirsi, di pettinarsi e di truccarsi allo stesso modo...
L'uomo moderno, standardizzato e omologato dalle mode.
La contadina, che viveva legata alle tradizioni come alle condizioni reali di vita del suo villaggio, è diventata inammissibile; occorre che segua le mode della grande città, che ricopi il modello standardizzato. Le opinioni e le mode - vere e proprie fabbricazioni artificiali - hanno sostituito le convinzioni e i costumi nati dall'ordine naturale. Tale è lo stato di degradazione in cui l'idealismo, frutto dell'orgoglio, ha condotto il mondo. Non ci sarà salvezza senza un ritorno all'umile sottomissione al reale, al rispetto dell'opera di Dio. Si tratta semplicemente di sapere che non si dipinge un muro in verde con della vernice rossa.
Note
1 Traduzione dell'originale francese L'idéalisme et le désordre moderne, a cura di Paolo Baroni. Scritto reperibile alla pagina web http://www.dici.org/thomatique_read.php?id=000169 2 Parliamo della scoperta di Dio di cui l'intelligenza umana è per se stessa e naturalmente capace, e non della nostra relazione personale con Dio che si rivela a noi e che ci parla, e che ha luogo solamente in virtù del dono soprannaturale della fede. 3 La filosofia di Cartesio è responsabile di altre fratture oltre a quella tra il pensiero e il reale. Fu lui che con il suo razionalismo separò la fede dalla ragione, la teologia dalla filosofia. Fu lui che ruppe l'unità umana, che tagliò l'uomo in due, che negò che l'essere umano è materiale e spirituale allo stesso tempo, facendo di esso l'accostamento di un corpo puramente materiale ad un puro spirito. 4 Leggasi, a questo proposito, dello stesso Jean Daujat, l'opera Conoscere il comunismo, Società Editrice Il Falco, Milano 1977. 5 Sia chiaro che ciò che diciamo non esclude affatto il ruolo necessario delle previsioni: è proprio dell'intelligenza il permetterci di prevedere le conseguenze dei nostri atti e mediante ciò di ordinare e dirigere i nostri atti in funzione di queste previsioni. Ergersi contro le costruzioni dello spirito non equivale a ribellarsi al ruolo attivo dell'intelligenza umana per agire sulla natura e trasformarla: questo potere artigiano, tecnico e inventore dell'intelligenza umana è un dato del reale, e fa parte dell'ordine della creazione. Ma questa azione inventrice è fondata su ciò che l'intelligenza conosce della realtà sulla quale vuole agire, e dunque guidata dalle esigenze del reale e mediante ciò sottomessa al reale secondo il vecchio detto: «Non si comanda alla natura che obbedendole». Non si tratta dunque assolutamente di condannare le invenzioni, il progresso tecnico e tutto l'insieme delle previsioni fondate sul reale, ogni giorno meglio osservato e meglio conosciuto. Lo sviluppo contemporaneo delle tecniche, l'esistenza dei grandi insiemi dovuti allo straordinario sviluppo dei mezzi di comunicazione, richiedono sempre più un insieme complesso di previsioni. Si tratta solamente di far sì che tali previsioni rimangano sempre fondate sui dati e sulle esigenze del reale, l'unico che conta. 6 L'uomo che non è applicato e attento al reale, e a tutti gli umili doveri della vita quotidiana, vuole vivere in un mondo interiore di idee, di immagini, di sentimenti e di emozioni che bisogna alimentare senza tregua mediante i libri, la stampa, la musica e gli spettacoli dai quali è intossicato e da cui non può più separarsi come l'alcolista dalla sua bottiglia. Egli ha lo spirito incessantemente occupato da cose che non fanno parte dei suoi doveri, come quando sconfina uscendo dal campo delle sue competenze o dei suoi doveri. L'esempio più sorprendente è costituito dal fatto che tutti vogliono avere un'opinione sugli affari giudiziari in corso, che riguardano solamente i magistrati documentati e competenti che ne hanno l'incarico, mettendo così a repentaglio il segreto di vite private che dovrebbe essere sacro anche quando si tratta di criminali. 7 Si potrebbe citare anche il rifiuto, da parte della maggioranza delle donne contemporanee, dei lavori casalinghi, il cui buon compimento è necessario alla vita familiare e, mediante ciò, alla crescita e allo sviluppo dei figli, tanto che l'avvenire della popolazione ne dipende: gli uomini di domani saranno come li hanno forgiati i focolari familiari dove si sarà sviluppata la loro infanzia. La vita privata, luogo di crescita del bambino, è essenziale all'avvenire dell'umanità. Oggi, essa è sempre più distrutta dalla vita collettiva. I figli vengono presi in carico dagli organismi collettivi, in cui la meccanizzazione, il regolamento e l'assenza d'affetto crea in essi alcuni gravi scompensi riconosciuti anche dalla moderna psichiatria. Il pasto familiare, opportunità insostituibile di scambi interpersonali, scompare, ecc... 8 Tale tendenza è stata messa mirabilmente in luce nell'opera principale di Charles Ferdinad Ramuz (1878-1947) intitolata Taille de l'homme («Statura dell'uomo»), e dalle opere di Marcel de Corte (1905-1994) e di Gustave Thibon (1903-2001). Quest'ultimo, purtroppo, ammirato da tanti cattolici italiani e francesi (Jean Madiran, Alleanza Cattolica, ecc...), era discepolo della mistica e filosofa ebrea Simone Weil. Peggio: ammirava Nietzsche e simpatizzava per gli gnostici (N.d.T.).
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